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Ansonica Costa dell'Argentario Doc

Pubblicato da disciplinare
Categoria : Disciplinari, Vini, Doc, Dop Argomenti : ansonica, disciplinare, doc, dop, vino, toscana, grosseto

ZONA DELIMITATA Parte collinare, pedecollinare e insulare dell’area sud della provincia di Grosseto, che comprende in parte i comuni di Manciano, Orbetello e Capalbio e l’intero territorio dei comuni di Isola del Giglio e Monte Argentario

LEGAME CON LA ZONA GEOGRAFICA DOC "Ansonica Costa dell'Argentario"

Informazioni sulla zona geografica:
A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame. La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nella zona collinare, pedecollinare e insulare dell’area sud della provincia di Grosseto, comprendendo parte dei territori amministrativi dei comuni di Manciano, Orbetello e Capalbio e l’intero territorio dei comuni di Isola del Giglio e Monte Argentario. Il territorio è costituito da rilievi di bassa e media collina a pendenza media e alta, i cui terreni, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose, la cui quota media è di 128 metri s.l.m. con una pendenza dell’11%. A sud di Capalbio si rinvengono terrazzi e ripiani di bassa quota a debole pendenza, su depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi, la cui quota media è di 97 metri s.l.m., con una pendenza del 2%. Il promontorio del Monte Argentario e l’isola del Giglio sono formati quasi interamente da un plutone granitico con piccole aree calcaree, ove prevalgono rocce come serpentini, calcari o scisti, con quote medie di 250 metri s.l.m. e pendenze generalmente elevate. Il clima dell’area è di tipo mediterraneo caratterizzato da una percentuale molto alta di giornate di sole, con temperature miti e precipitazioni disordinate ma generalmente scarse, seppur talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra l’inizio di novembre e i primi giorni di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra febbraio e aprile la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla terza decade di aprile, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. La temperatura media oscilla intorno a 16°C e le precipitazioni intorno a 630 mm/anno; l’indice di Huglin si attesta tra 2.300 e 2.500 unità. Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura. I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini «Ansonica Costa dell’Argentario», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Cosa, nella parte meridionale della zona di produzione, l’area di Poggio Buco, più a nord, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Capalbio, Magliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume. Inoltre, sul territorio dell’isola del Giglio, sono stati rinvenuti numerosi palmenti in pietra, specie di vasche cilindriche scavate direttamente sulla roccia talvolta ai piedi di un vigneto, utilizzate da etruschi e, più tardi, romani, per la pigiatura e lo sgrondo delle uve. Ma anche la scoperta di relitti del V secolo a.C. e il recupero di vasellame etrusco, corinzio e fenicio e di anfore vinarie nelle acque prospicienti l’isola del Giglio attesterebbero la presenza di contatti, trasporti e commerci tra l’isola e le città dell’Etruria e d’altri paesi del Mediterraneo. La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Un ulteriore impulso all’attività vitivinicola del territorio fu dato dalle repubbliche marinare, in particolare Pisa, che tramite le potenti reti commerciali tessute dai loro mercanti contribuirono alla valorizzazione dei vini del Giglio e delle altre aree costiere della Maremma meridionale, vini che erano qualificati, all’epoca, come “robusti e forti”.
La tradizione vitivinicola della Maremma meridionale e insulare ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando anche attraverso le vicissitudini legate agli assalti dei Pirati: drammatico quello del 1554, quando il pirata Barbarossa provocò la deportazione di oltre 600 abitanti del Giglio che, all’epoca, era intensamente coltivata a vigneto, e la vinificazione avveniva mediante l’utilizzo dei palmenti, con una produzione di circa 18.000 barili di vino per lo più esportati e venduti in terra ferma, prevalentemente allo Stato della Chiesa e alla Repubblica di Genova; più tardi, l’isola e gran parte del territorio passarono attraverso le dominazioni delle repubbliche di Pisa, Genova e Siena, dello Stato della Chiesa, fino al Regno di Napoli, mantenendo inalterata, tuttavia, la tradizione vitivinicola e una certa attività commerciale di vini, per lo più bianchi, la cui eccellente qualità fu riconosciuta da studiosi di ogni tempo.
L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva l’esistenza di tronchi di vite di dimensioni eccezionali, il che portava a pensare a un’attività viticola fortemente tradizionale. In una relazione del funzionario Granducale Miller del 1766, si afferma che al Giglio abitavano circa 900 persone e vi erano coltivati circa 10 moggia di terreno a vigneto e frutteto, con una produzione di vino che si aggirava intorno a 500 botti (“in tutto il territorio dell’isola si ricoglie negli anni mediocri vino botti 500 di barili 12 per ciascheduna”); è proprio in questo periodo di grandi trasformazioni agricole che è possibile collocare l’attestazione del vitigno Ansonaco sulle altre varietà di vitigni autoctoni. Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, la descriveva come altamente vocata alla viticoltura e, parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona, così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari……
Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”. Nel secolo successivo, Ottorino Brandaglia, a proposito della tradizione e la qualità vitivinicola gigliese, così si esprimeva sulla stampa nazionale: “Buona parte del suo territorio è coltivato a vigneti e il contadino gigliese, tenace e silenzioso lavoratore, ….. ha saputo con lavoro paziente e inaudito sui fianchi ripidi e rocciosi dell’isola, in alcuni punti portandoci la terra, piantare le viti, circondando i minuscoli vigneti, chiamati nel gergo paesano poste o cacchioni, di muriccioli a secco per proteggerli contro la veemenza delle piogge e del vento….E come non ricordare il vino.
Esso possiede delle qualità meravigliose e una tale potenza di alcool da superare di gran lunga tutte le altre specie del Regno pur tanto declamate….Intanto si ponga mente alla vegetazione ricca, all’aria salubre, soprattutto alle magnifiche distese di vigneti, che producono la famosa uva Anzonica, notissima in tutta la Maremma” Nei decenni successivi si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura sempre più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.
Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione della Cantina Sociale di Capalbio, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione. Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra, tra l’altro, le caratteristiche dei vini della zona di Capalbio, soffermandosi anche sui rinomati vini bianchi a base di Ansonica. Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma meridionale e insulare poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per il vitigno Ansonica prodotto nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 28 aprile 1995 per il vino «Ansonica Costa dell’Argentario» ottenuto con l’apporto determinante (minimo 85%) proprio dell’omonima varietà a bacca bianca. L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:
base ampelografica dei vigneti: la produzione si basa essenzialmente sul vitigno Ansonica tradizionalmente coltivato nell’area geografica considerata, oltre alle varietà a bacca bianca che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;
le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e la spalliera semplice, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante con una resa di 77 hl di vino per ettaro;
- le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco dei vini tranquilli.


Informazioni sul prodotto:
La DOC «Ansonica Costa dell’Argentario» è riferita esclusivamente alla tipologia bianca ottenuta dal vitigno Ansonica che, dal punto di vista analitico e organolettico, presenta caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare, questo vino presenta un tenore di acidità non troppo elevato (4,5 g/l). Esso presenta un colore giallo paglierino più o meno intenso, talvolta anche giallo dorato, un profumo tendenzialmente fresco, lievemente fruttato e delicato, mentre al gusto si presenta asciutto, morbido, caldo e armonico, scarsamente acido, con una gradazione alcolica mediamente elevata.

Legame causale:
L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nella parte meridionale e insulare della provincia di Grosseto, in parte del territorio comunale di Manciano, Orbetello e Capalbio e nell’intero territorio dei comuni di Isola del Giglio e Monte Argentario, con una quota media intorno a 190 metri s.l.m., una pendenza media dell’10%, una esposizione a sud-est, per il particolare beneficio del territorio aperto alle brezze marine che assicurano una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.
Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche dei vini «Ansonica Costa dell’Argentario».
In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose (depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi a sud di Capalbio, graniti sul promontorio del Monte Argentario e l’isola del Giglio), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata/bassa capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.
Sono terreni per lo più franchi, sciolti o a granulometria mista, di colore tendente al rossastro per la presenza di ossidi di ferro in tutto il territorio gigliese e sull’Argentario, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, tendenzialmente aridi, con discreta dotazione in sostanza organica e microelementi assimilabili, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.
Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una piovosità piuttosto bassa (media intorno a 630 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 50-60 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2300 e 2500°C-giorno), da una buona temperatura media annuale (16°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Ansonica Costa dell’Argentario».
La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma meridionale e insulare, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Ansonica Costa dell’Argentario».
È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Ansonica Costa dell’Argentario», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.
In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma meridionale e insulare è attestata fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti nelle aree archeologiche presenti sul territorio, i numerosi palmenti in pietra diffusi sul territorio gigliese, ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (le repubbliche marinare, in primis Pisa, dettero un forte impulso ai traffici commerciali e agli scambi di vino, contribuendo alla diffusione della coltivazione della vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.
E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, come il Bacci che, alla fine del 1500, così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria, godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore incipit per identificare un territorio viticolo. Gli stessi funzionari Granducali presenti in zona attestarono una fiorente attività produttiva di vini, soprattutto bianchi, considerati di ottima qualità per la robustezza e l’elevato grado alcolico. L’enotecnico Luigi Vivarelli, nel 1906, parla di tronchi di vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato. Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla situazione viticola della Maremma, terra ritenuta altamente vocata alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame. Inoltre, egli afferma che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando i vini “forti e generosi” che si ritrovano nelle aree più marittime “quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”.
In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questa parte di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, una tradizione che, sul territorio isolano del Giglio e su gran parte di quello del promontorio del Monte Argentario, è attestata anche dalla presenza di numerosi terrazzamenti con muretti a secco, proprio allo scopo di consentire l’attività viticola su un territorio aspro, impervio e ripido.
All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale. Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Capalbio e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, anche col recupero di vigneti abbandonati sull’isola del Giglio e col ripristino dei muretti a secco per la coltivazione su terrazze, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per il vino “Ansonica Costa dell’Argentario” col decreto ministeriale del 28 aprile 1995, valorizzando, così, il vino bianco ottenuto in questo territorio, incentrato prevalentemente sul vitigno autoctono Ansonica.


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