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Prosciutto di Modena Dop - Proposta di modifica ordinaria al disciplinare di produzione - 2024

Pubblicato da disciplinare
Prosciutto  di Modena

Era il 150 a.C. quanto Polibio, attraversando la Pianura Padana, rimase colpito dalla «....terra straordinariamente fertile e ricca» e piu' tardi della Cispadania scrivera' che «...l'abbondanza delle ghiande nei querceti allignati ad intervalli nella pianura, e' attestata da quanto diro': la maggior parte dei suini macellati in Italia per i bisogni dell'alimentazione privata e degli eserciti si ricava dalla Pianura Padana». Ulteriore impulso all'allevamento dei suini ed alla trasformazione delle loro carni si ha con l'avvento dei celti e dei romani. «Questo allevamento comportava anche piccole industrie di trasformazione spesso connesse con la stessa villa (che nella terminologia latina significa azienda agricola). Infatti le carni che dovevano essere inviate per il consumo in altre regioni, andavano salate o affumicate per la conservazione, oppure trasformate in salumi».

MINISTERO DELL'AGRICOLTURA, DELLA SOVRANITA' ALIMENTARE E DELLE FORESTE

DECRETO 18 giugno 2024 

 

Proposta di modifica ordinaria al disciplinare  di  produzione  della
Denominazione di origine protetta «Prosciutto di Modena». (24A03532) 
(GU n.161 del 11-7-2024)
 

 

 
                        IL DIRETTORE GENERALE 
           per la promozione della qualita' agroalimentare 
 
  Visto il regolamento (UE) 2024/1143 del Parlamento  europeo  e  del
Consiglio dell'11 aprile 2024, relativo alle indicazioni  geografiche
dei vini, delle bevande spiritose e dei  prodotti  agricoli,  nonche'
alle  specialita'   tradizionali   garantite   e   alle   indicazioni
facoltative di qualita' per  i  prodotti  agricoli,  che  modifica  i
regolamenti (UE) n. 1308/2013, (UE) 2019/787 e (UE) 2019/1753  e  che
abroga il regolamento (UE) n. 1151/2012,  entrato  in  vigore  il  13
maggio 2024; 
  Visto  l'art.  24  del  regolamento   (UE)   2024/1143,   rubricato
«Modifiche di un disciplinare» e,  in  particolare,  il  paragrafo  9
secondo il quale le  modifiche  ordinarie  di  un  disciplinare  sono
valutate e approvate dagli Stati membri o dai  paesi  terzi  nel  cui
territorio e' situata la zona geografica del prodotto in questione  e
sono comunicate alla Commissione; 
  Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,  recante  norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche ed  in  particolare  l'art.  16,  comma  1,
lettera d); 
  Visto il decreto di incarico di funzione  dirigenziale  di  livello
generale conferito, ai sensi  dell'art.  19,  comma  4,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, alla dott.ssa  Eleonora  Iacovoni,
del 7 febbraio  2024  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
registrato dalla Corte dei conti al n. 337 in data 7 marzo 2024; 
  Visto il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e
forestali 14 ottobre 2013, n. 12511, recante  disposizioni  nazionali
per l'attuazione del regolamento (UE)  n.  1151/2012  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, sui regimi di  qualita'
dei prodotti agricoli e alimentari in materia di DOP, IGP e STG; 
  Vista l'istanza presentata, nel quadro della procedura prevista dal
regolamento (UE) n. 1151/2012,  successivamente  abrogato  dal  sopra
citato regolamento  (UE)  2024/1143,  dal  Consorzio  di  tutela  del
Prosciutto di Modena DOP, che possiede i requisiti previsti dall'art.
13, comma 1, del  decreto  14  ottobre  2013,  n.  12511,  intesa  ad
ottenere  la  modifica   del   disciplinare   di   produzione   della
Denominazione di  origine  protetta  (DOP)  «Prosciutto  di  Modena»,
registrata con regolamento (CE) n. 1107/96 della Commissione  del  12
giugno 1996, pubblicato nella Gazzetta ufficiale - Serie L 148 del 21
giugno 1996; 
  Considerato che le modifiche richieste possono  essere  considerate
ordinarie, ai sensi dell'art. 24 del regolamento (UE) 2024/1143; 
  Acquisito  il  parere   positivo   delle   Regione   Emilia-Romagna
competente per territorio circa la richiesta di modifica; 
  Ritenuto  di  dover  procedere  alla  pubblicazione   dell'allegato
disciplinare di produzione della DOP  «Prosciutto  di  Modena»  cosi'
come modificato; 
 
                              Provvede: 
 
  Ai sensi dell'art. 9 del decreto ministeriale 14 ottobre  2013,  n.
12511, alla pubblicazione dell'allegata proposta di  disciplinare  di
produzione della DOP «Prosciutto di Modena». 
  Le eventuali osservazioni, adeguatamente  motivate,  relative  alla
presente  proposta  di  modifica,  dovranno  essere  presentate,   al
Ministero  dell'agricoltura  della  sovranita'  alimentare  e   delle
foreste - Dipartimento della sovranita'  alimentare  e  dell'ippica -
Direzione generale per la promozione della qualita'  agroalimentare -
Ufficio PQA 1 - via XX Settembre n. 20 - 00187  Roma,  indirizzo  PEC
aoo.saq@pec.masaf.gov.it -  entro  trenta  giorni   dalla   data   di
pubblicazione nella  Gazzetta  ufficiale  della  Repubblica  italiana
della presente proposta dai soggetti  aventi  legittimo  interesse  e
costituiranno oggetto di opportuna valutazione da parte del  predetto
Ministero. 
  Decorso tale termine, in assenza delle suddette osservazioni o dopo
il loro superamento a  seguito  della  valutazione  ministeriale,  la
modifica  ordinaria  al  disciplinare   di   produzione   della   DOP
«Prosciutto di Modena» sara' approvata con apposito  provvedimento  e
comunicata alla Commissione europea. 
    Roma, 18 giugno 2024 
 
                                      Il direttore generale: Iacovoni 
                                                             Allegato 
 
         Disciplinare di produzione Prosciutto di Modena DOP 
 
                                  A 
     NOME DEL PRODOTTO CHE COMPRENDE LA DENOMINAZIONE D'ORIGINE 
 
    Il nome del prodotto e' «PROSCIUTTO DI MODENA». 
    La   denominazione   d'origine   «Prosciutto   di   Modena»    e'
giuridicamente  protetta  a  livello  nazionale  dalla  legge   della
Repubblica  italiana  12  gennaio  1990,   n.   11,   «Tutela   della
denominazione d'origine del Prosciutto di Modena, delimitazione della
zona di produzione e caratteristiche del  prodotto»,  attualmente  in
vigore, ed e' poi stata riconosciuta come DOP ai sensi del  reg.  CEE
2081/92 con regolamento CE n. 1107 del 12 giugno 1996. 
 
                                  B 
DESCRIZIONE DEL PRODOTTO MEDIANTE INDICAZIONE DELLE MATERIE  PRIME  E
DELLE PRINCIPALI CARATTERISTICHE FISICHE,  CHIMICHE,  MICROBIOLOGICHE
                          ED ORGANOLETTICHE 
 
    La  denominazione  di  origine  del  «Prosciutto  di  Modena»  e'
riservata esclusivamente al prosciutto le  cui  fasi  di  produzione,
dalla salagione alla stagionatura completa, hanno  luogo  nella  zona
tipica di produzione e viene attestata dal contrassegno apposto sulla
cotenna citato  alla  scheda  H -  figura  1:  contrassegno,  atto  a
garantire   l'origine,   l'identificazione   e   l'osservanza   delle
disposizioni produttive contenute nel presente disciplinare. 
    Il Prosciutto di Modena e' ottenuto esclusivamente  dalla  coscia
fresca di suini nati, allevati, e macellati nelle  seguenti  regioni:
Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana,
Marche, Abruzzo, Lazio, secondo le prescrizioni produttive  contenute
nel presente disciplinare. 
    I suini devono essere  macellati  in  ottimo  stato  sanitario  e
dissanguati secondo le migliori tecniche di produzione, non prima del
nono mese dalla nascita. 
    E' esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe. 
    La coscia fresca deve avere per base ossea il femore,  la  tibia,
la rotula e la prima fila delle ossa tarsiche. 
    Le cosce dei suini impiegate per la preparazione  del  Prosciutto
di Modena devono essere di peso sufficiente a far conseguire un peso,
a fine stagionatura, non inferiore a otto chilogrammi. 
    Lo spessore del grasso della parte esterna  della  coscia  fresca
rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza  della  testa  del
femore (sottonoce), con la coscia e la relativa faccia esterna  poste
sul piano orizzontale, non deve essere  inferiore  a  15  millimetri,
cotenna compresa, in funzione della pezzatura. 
    La  giusta  consistenza  del  grasso  e'  stimata  attraverso  la
determinazione del  numero  di  jodio  e/o  del  contenuto  di  acido
linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo
adiposo sottocutaneo della coscia. Per ogni singola coscia il  numero
di jodio non deve superare 70 ed il contenuto di acido linoleico  non
deve essere superiore al 15%. 
    Sono  escluse  le  cosce  provenienti  da  suini   con   miopatie
conclamate  (PSE,  DFD,  postumi  evidenti  di   pregressi   processi
flogistici  e   traumatici,   ecc.),   accertate   obiettivamente   e
certificate, al macello, da un medico veterinario. 
    Dopo la macellazione, le cosce suine non devono subire, tranne la
refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi  compresa  la
congelazione. Per refrigerazione si intende che le cosce suine devono
essere conservate,  nelle  fasi  di  deposito  e  trasporto,  ad  una
temperatura interna variabile tra - 1 grado C° e + 4 gradi C°. 
    Non e' ammessa  la  lavorazione  di  cosce  suine  che  risultino
ricavate  da  suini  macellati   da   meno   di ventiquattro   o   da
oltre centoventi ore. 
    Il Prosciutto di Modena, al termine della  stagionatura  presenta
particolari caratteristiche  organolettiche  e  qualitative,  che  si
concretizzano in una oggettiva caratterizzazione e  nella  ricorrenza
di  determinati  parametri;  questi  ultimi   sono   l'inequivocabile
risultato   della   correlazione,   confermata    nel    tempo    fra
caratteristiche organolettiche e parametri chimici in funzione  delle
metodiche produttive. 
    Le particolari caratteristiche organolettiche e  qualitative  del
Prosciutto di Modena rispondono ai seguenti requisiti: 
      a) forma a  pera,  con  esclusione  del  piedino  ottenuta  con
l'eliminazione  dell'eccesso  di  grasso   mediante   rifilatura   ed
asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura; 
      b) peso non  inferiore  a  chilogrammi  8  e  non  superiore  a
chilogrammi 12,5; 
      c) colore rosso vivo del taglio; 
      d) sapore sapido ma non salato; 
      e) aroma di profumo gradevole, dolce  ma  intenso  anche  nelle
prove dell'ago; 
      f)  consistenza  caratteristica  della  carne  dell'animale  di
provenienza. 
    Per quanto riguarda l'osservanza  di  determinati  parametri,  il
Prosciutto di Modena e' altresi'  caratterizzato  dall'osservanza  di
requisiti, verificati mediante  l'analisi  chimica  e  riferiti  alla
composizione  centesimale  di  una  frazione  del  muscolo   bicipite
femorale, rilevati prima dell'apposizione  del  contrassegno  di  cui
alla scheda H - figura 1: contrassegno del presente disciplinare. 
    L'umidita' percentuale non deve  essere  inferiore  al  57%,  ne'
superiore al 63,5%. 
    Il cloruro di sodio in percentuale non deve essere  inferiore  al
4,3% ne' superiore al 6,3%. 
    L'indice di proteolisi (composizione percentuale  delle  frazioni
azotate solubili in acido tricloroacetico -TCA- riferite al contenuto
in azoto totale) non deve essere inferiore al 25%, ne'  superiore  al
32%. 
    Il peso  del  Prosciutto  di  Modena  intero  e'  ricompreso  tra
chilogrammi 8 e chilogrammi 12,5. 
    Il Prosciutto di Modena e' commercializzato anche frazionato;  in
tal caso su ogni pezzo o porzione viene apposto  il  contrassegno  di
cui alla scheda H - figura 1: contrassegno. 
    Il Prosciutto di Modena e' commercializzato anche frazionato;  in
tal caso su ogni pezzo o porzione viene apposto  il  contrassegno  di
cui alla scheda H - figura 1: contrassegno. 
 
                                  C 
DELIMITAZIONE DELLA ZONA GEOGRAFICA E RISPETTO  DELLE  CONDIZIONI  DI
                     CUI ALL'ART. 2, PARAGRAFO 4 
 
    La zona tipica di produzione del Prosciutto di Modena corrisponde
alla particolare zona collinare insistente sul bacino  oroidrografico
del fiume Panaro e sulle valli  confluenti,  e  che,  partendo  dalla
fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine comprendendo
i territori dei seguenti comuni: 
      Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario  sul
Panaro,  Savignano  sul  Panaro,  Vignola,  Marano,  Guiglia,  Zocca,
Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno,
Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio  Montano,
Monte San  Pietro,  Sasso  Marconi,  Castel  d'Aiano,  Zola  Predosa,
Bibbiano, San Polo d'Enza,  Quattro  Castella,  Canossa  (gia'  Ciano
d'Enza), Viano,  Castelnuovo  Monti,  Valsamoggia,  limitatamente  ai
territori gia'  dei  Comuni  di  Monteveglio,  Savigno,  Castello  di
Serravalle e Bazzano. 
    Nella zona di cui al precedente comma devono essere  ubicati  gli
stabilimenti di produzione (prosciuttifici) e devono quindi svolgersi
tutte le fasi della trasformazione della materia prima, previste  dal
presente disciplinare fino alla stagionatura completa. 
    La materia prima proviene da un'area geograficamente  piu'  ampia
della  zona  di   trasformazione,   che   comprende   il   territorio
amministrativo  delle  Regioni  Emilia-Romagna,  Veneto,   Lombardia,
Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio. 
    Nella suddetta zona di provenienza della materia prima hanno sede
tutti gli allevamenti dei suini le  cui  cosce  sono  destinate  alla
produzione  del  Prosciutto  di  Modena   e   gli   stabilimenti   di
macellazione  abilitati  alla  relativa   preparazione,   nonche'   i
laboratori di  sezionamento  eventualmente  ricompresi  nel  circuito
della produzione tutelata. 
    Le razze, l'allevamento e l'alimentazione dei suini devono essere
idonei a garantire le tradizionali qualita' del prodotto in  esito  a
precise prescrizioni  produttive,  originate  da  peculiari  tecniche
d'allevamento  praticate   nella   zona   considerata,   puntualmente
codificate  e   pertanto   riconosciute   e   generalmente   adottate
all'interno del circuito della produzione tutelata. 
    La materia prima deve provenire da suini figli di: 
      a)  verri  delle  razze  tradizionali  Large  White   Italiana,
Landrace Italiana e Duroc Italiana cosi' come  migliorate  dal  Libro
genealogico italiano, in purezza o  tra  loro  incrociate,  e  scrofe
delle razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, in
purezza o tra loro incrociate; 
      b) verri delle razze tradizionali di  cui  alla  lettera  a)  e
scrofe meticce o di altri tipi genetici purche' questi provengano  da
schemi di selezione e/o incrocio di razze  Large  White,  Landrace  e
Duroc  attuati  con  finalita'  compatibili  con  quelle  del   Libro
genealogico italiano, per la produzione del suino pesante; 
      c) verri  e  scrofe  di  altri  tipi  genetici  purche'  questi
provengano da schemi di selezione e/o incrocio di razze Large  White,
Landrace e Duroc attuati con finalita'  compatibili  con  quelle  del
Libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante; 
      d) verri degli altri tipi genetici di cui  alla  lettera  c)  e
scrofe delle razze tradizionali di cui alla lettera a). 
    Di  seguito  vengono  esplicitati  i  requisiti  genetici   sopra
espressi riportando le combinazioni genetiche ammesse  e  quelle  non
consentite: 
  
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    La lista degli altri tipi genetici approvati viene periodicamente
aggiornata  e  pubblicata  dal  Ministero   dell'agricoltura,   della
sovranita' alimentare e delle foreste. 
    Non possono essere utilizzate le cosce suine fresche  provenienti
da: 
      suini  portatori  di  caratteri  antitetici,  con   particolare
riferimento alla  sensibilita'  agli  stress  (PSS -  Porcine  stress
sindrome); 
      suini figli di verri e scrofe diversi da quanto indicato  nelle
lettere a), b), c) e d). 
    I tipi genetici utilizzati devono  assicurare  il  raggiungimento
del peso della carcassa, rilevato al  momento  della  macellazione  e
indicato nel paragrafo «Macellazione». 
    I fattori di caratterizzazione della  coscia  suina  fresca  sono
prescritti nelle condizioni indicate nella precedente scheda B. 
    Le fasi di allevamento dei suini destinati  alla  produzione  del
Prosciutto di Modena sono cosi' definite: 
      allattamento; 
      svezzamento; 
      magronaggio; 
      ingrasso. 
    Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un  suino
pesante, obiettivo che deve essere  perseguito  assicurando  moderati
accrescimenti  giornalieri,  nonche'  la   produzione   di   carcasse
appartenenti alle classi «U»,  «R»,  «O»  della  tabella  dell'Unione
europea per la classificazione delle carcasse suine. 
    Allattamento: la fase va dal momento della nascita  del  suinetto
sino ad almeno ventotto giorni; e' ammesso  anticipare  tale  termine
alle condizioni previste dalla vigente normativa dell'UE e  nazionale
in materia di benessere dei suini. 
    In questa fase, l'alimentazione avviene attraverso l'allattamento
naturale sotto la scrofa o artificiale nel rispetto  della  normativa
dell'UE e nazionale vigente.  Al  fine  di  soddisfare  i  fabbisogni
fisiologici  dei  suinetti  in  allattamento  e'  altresi'  possibile
iniziare a somministrare le materie  prime  ammesse  dalla  normativa
dell'UE e nazionale vigente, in materia di alimentazione animale. 
    E' ammessa l'integrazione vitaminica,  minerale  e  amminoacidica
dell'alimentazione  e  l'impiego  di  additivi  nel  rispetto   della
normativa vigente. 
    In questa fase,  entro  il  ventottesimo  giorno  dalla  nascita,
l'allevatore iscritto nel  sistema  dei  controlli  deve  apporre  su
entrambe le cosce del suinetto il seguente  tatuaggio  di  origine  a
inchiostro, indelebile e inamovibile, con le seguenti indicazioni. 
  
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    Il tatuaggio di origine  reca  lettere  e  cifre  riprodotte  con
caratteri  maiuscoli  mediante  punzoni  multiago  disposti   secondo
precise coordinate su piastre di dimensioni 30 mm per  30  mm.  Nello
specifico il tatuaggio di origine presenta: la sigla della  provincia
dove e' ubicato l'allevamento iscritto al sistema di controllo in cui
i suinetti sono nati in  luogo  delle  lettere  «XX»;  il  numero  di
identificazione dell'allevamento  in  luogo  delle  cifre  «456»;  la
lettera identificativa del mese di nascita del suino in  luogo  della
lettera «H». 
    La  seguente  tabella  associa  i  mesi  dell'anno  alle  lettere
identificative del mese di nascita del suinetto da riprodurre con  il
tatuaggio di origine in luogo della lettera «H»: 
  
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    In sostituzione  o  in  associazione  al  presente  tatuaggio  di
origine  sara'  consentito  l'utilizzo  anche  di  altro  dispositivo
identificativo validato dall'organismo di controllo  che  assicuri  e
garantisca la tracciabilita' e la rintracciabilita' del Prosciutto di
Modena. 
    Ai fini del presente disciplinare l'eta' dei  suini  in  mesi  e'
data  dalla  differenza  tra  il  mese  in   cui   si   effettua   la
determinazione dell'eta' e il mese di nascita ed e'  accertata  sulla
base del tatuaggio di origine e/o del dispositivo  identificativo  di
cui sopra. 
    Svezzamento: e' la fase  successiva  all'allattamento,  che  puo'
prolungarsi fino a tre mesi di eta' dell'animale. Il suino in  questo
stadio di crescita raggiunge un peso massimo  di  40  chilogrammi  e,
allo scopo di soddisfare i suoi fabbisogni fisiologici, gli  alimenti
possono essere costituiti dalle materie prime ammesse dalla normativa
vigente in materia di alimentazione animale. L'alimento  puo'  essere
presentato sia in forma liquida (broda) mediante l'utilizzo di  acqua
e/o di siero di latte e/o di  latticello,  che  in  forma  secca.  E'
ammessa l'integrazione vitaminica, minerale e amminoacidica. 
    Magronaggio: e' la fase successiva  allo  svezzamento,  che  puo'
prolungarsi fino  a  cinque  mesi  di  eta'  dell'animale.  Il  suino
raggiunge   un   peso   massimo   di   85   chilogrammi.   Ai    fini
dell'alimentazione  del  suino  in  magronaggio,  le  materie   prime
consentite, le quantita' e le modalita'  di  impiego  sono  riportate
nella tabella sottostante. Sono ammesse tolleranze sulle  percentuali
in peso delle singole  materie  prime  nella  misura  prevista  dalla
normativa dell'UE e nazionale vigente,  relativa  all'immissione  sul
mercato e all'uso dei mangimi. L'alimento puo' essere presentato  sia
in  forma  liquida  -  cosiddetto  «broda»  o  «pastone»  -  e,   per
tradizione, con siero di latte e/o di latticello, che in forma secca. 
    Di seguito, la tabella delle materie prime ammesse: 
  
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    Al fine di ottenere un grasso di copertura di buona  qualita'  e'
consentita una presenza massima di acido linoleico pari al  2%  e  di
grassi pari al 5% della sostanza secca della dieta. 
    Sono ammessi l'utilizzo di minerali, l'integrazione con  vitamine
e l'impiego di additivi nel rispetto della normativa vigente. 
    La  presenza  di  sostanza  secca  da  cereali  non  deve  essere
inferiore al 45% di quella totale per la fase di magronaggio. 
    Almeno il 50% della sostanza secca  delle  materie  prime  per  i
suini, su base annuale, proviene dalla zona geografica di allevamento
ovvero il territorio  amministrativo  delle  Regioni  Emilia-Romagna,
Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo
e Lazio. 
    Ingrasso: e' l'ultima fase dell'allevamento,  segue  la  fase  di
magronaggio e prosegue fino  all'eta'  della  macellazione  che  deve
essere di almeno nove mesi. Al termine della fase d'ingrasso, i suini
dovranno aver raggiunto in fase di macellazione i pesi della carcassa
indicati nel paragrafo «Macellazione».  Ai  fini  dell'alimentazione,
sono ammesse  le  stesse  materie  prime  consentite  nella  fase  di
magronaggio, come previsto nella tabella  sopra  riportata -  con  le
medesime specifiche previste dalle relative note - a esclusione della
farina di pesce e della soia integrale tostata e/o panello di soia. 
    La presenza di sostanza secca da cereali  nella  fase  d'ingrasso
non dovra' essere inferiore al 55% di quella totale. 
Macellazione 
    L'eta' minima del suino alla macellazione e' di nove mesi;  viene
accertata   sulla   base   del   tatuaggio   di   origine,    apposto
dall'allevatore entro il ventottesimo giorno dalla nascita del suino,
e/o del dispositivo identificativo in sostituzione o in associazione. 
    Il computo dell'eta' in mesi e' dato dalla differenza tra il mese
in cui avviene la macellazione e il mese di nascita. 
    Le cosce suine fresche da utilizzare  devono  provenire  solo  da
carcasse classificate H Heavy ed appartenere  alle  classi  U,  R,  O
della  tabella  dell'Unione  europea  per  la  classificazione  delle
carcasse suine; inoltre, la carcassa deve avere un peso compreso  tra
110,1 chilogrammi e 168,0 chilogrammi. 
    Il peso e la classificazione delle carcasse vengono  rilevati  al
momento della macellazione. 
    Sulle   cosce   suine   fresche   munite   del   timbro   apposto
dall'allevatore e/o del dispositivo identificativo in sostituzione  o
in associazione, accertatane la corrispondenza ai requisiti  indicati
nella precedente scheda B, il macellatore e'  tenuto  ad  apporre  un
timbro indelebile impresso a fuoco. 
    Il timbro di cui al  punto  precedente  riproduce  il  codice  di
identificazione  del  macello  presso  il  quale   e'   avvenuta   la
macellazione ed e' impresso sulla cotenna. 
  
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    Il timbro identificativo del macello e' costituito da  una  sigla
di larghezza 30 mm e altezza 8 mm che identifica il macello  iscritto
al sistema di controllo,  rappresentata  da  una  lettera  e  da  due
numeri, posta  in  luogo  dei  caratteri  «A88»  a  cui  puo'  essere
anteposta la sigla «PP». 
    In  sostituzione   o   in   associazione   al   presente   timbro
identificativo del macello sara' consentito l'utilizzo anche di altro
dispositivo identificativo validato dall'organismo di  controllo  che
assicuri e garantisca la tracciabilita' e  la  rintracciabilita'  del
Prosciutto di Modena. 
 
                                  D 
ELEMENTI  COMPROVANTI  L'ORIGINARIETA'  DEL   PRODOTTO   NELLA   ZONA
                             GEOGRAFICA 
 
    L'indicazione degli elementi che comprovano che  il  prodotto  e'
originario della zona geografica richiamata dalla  denominazione  che
lo designa, deve considerare  necessariamente  l'articolazione  della
delimitazione fissata con la precedente scheda C. 
    Gli elementi  comprovanti  l'originarieta'  di  un  prodotto  con
riferimento  ad  una  zona  geografica  (scheda  D)  e  gli  elementi
comprovanti il legame con l'ambiente geografico (scheda F)  non  sono
suscettibili  di  autonoma  trattazione  data  la  loro  strettissima
interconnessione. La produzione  dell'attuale  Prosciutto  di  Modena
infatti,  nasce  e  si  afferma  nell'arco  del  tempo   nella   zona
pedecollinare  sia  per  la  ricorrenza  di  determinate   situazioni
microclimatiche,  sia  perche'  la  conservazione  della  carne,  con
l'impiego di sale, tempo e aria, e' assolutamente legata  al  diffuso
allevamento del suino ulteriormente tipico di  una  determinata  zona
geografica, a sua  volta  caratterizzata  da  peculiari  tecniche  di
produzione  agraria.  La  stretta  connessione   tra   le   zone   di
approvvigionamento della materia prima e della zona di  stagionatura,
consentono infatti di sostenere e provare che: 
      il Prosciutto di Modena e' sicuramente  originario  della  zona
geografica indicata nella scheda C  e  le  relative  caratteristiche,
sono essenzialmente dovute all'ambiente  geografico  comprensivo  dei
fattori naturali e umani; inoltre, la relativa trasformazione avviene
esclusivamente nell'area geografica delimitata; 
      nel  contempo,  la  stessa  materia  prima  utilizzata  per  la
preparazione del Prosciutto di Modena e' del  pari  originaria  della
zona geografica delimitata nelle forme indicate nella scheda  C  dove
ne viene esclusivamente  sviluppata  la  produzione,  e  le  relative
caratteristiche sono dovute essenzialmente all'ambiente,  comprensivo
dei fattori naturali ed umani. 
    La denominazione «Prosciutto di Modena»,  in  quanto  designa  un
prodotto  originario  di   una   determinata   zona   geografica   e'
caratterizzato  dall'apporto  essenziale   dell'ambiente   geografico
(insieme di fattori naturali ed umani), e' giuridicamente protetta  a
livello nazionale dalla legge della Repubblica  italiana  12  gennaio
1990, n. 11, «Tutela della denominazione d'origine del Prosciutto  di
Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche  del
prodotto», attualmente in vigore, ed e' poi stata  riconosciuta  come
DOP ai sensi del reg. CEE 2081/92 con regolamento CE n. 1107  del  12
giugno 1996. 
    Le considerazioni svolte circa l'originarieta' del  suino  e  del
prosciutto da esso derivato, sono tutte  riprovate  da  riscontri  di
carattere giuridico, storico, socio-economico. 
    Sotto  il  profilo  storico,  e'  attendibile  ritenere  che   la
produzione di prosciutti, nella  zona  tipica  abbia  le  sue  radici
nell'epoca del bronzo. 
    Infatti, pur riconoscendo che la lavorazione del prosciutto crudo
stagionato  appartiene  alla  cultura  storica  di   tutta   l'Italia
settentrionale e che risulta difficile collocare l'inizio  di  questa
pratica in un preciso periodo di tempo, pare inconfutabile che  sulle
sponde  del  Panaro,  zona  geografica  in  cui  ricorrono  tutte  le
caratteristiche ambientali e morfologiche della piu' ampia «Padania»,
l'allevamento del maiale, come animale domestico, sia  cominciato  in
tempi veramente remoti, addirittura prima  che  in  ogni  altra  zona
dell'Emilia-Romagna. 
    Grazie alla  fertilita'  dei  terreni  da  destinare  alle  prime
pratiche agrarie per la preistorica coltivazione dei cereali  e  alle
ampie zone boscate ricche di animali, le popolazioni della valle  del
Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo  sviluppo  della
loro civilta', tanto da poter  essere  considerati  appunto  i  primi
nella regione a praticare  l'allevamento;  si  sa,  dunque,  che  nel
neolitico e nell'eneolitico gli antichi  abitatori  della  valle  del
Panaro erano agricoltori ed allevatori. 
    Appurato che i nostri antenati erano allevatori, e che  il  suino
era  uno  degli  animali  domestici  piu'  rappresentativi,   bisogna
arrivare all'eta' del bronzo per conoscere qualcosa relativamente  ai
metodi di macellazione ed alle tecniche di conservazione delle carni.
Gli  insediamenti  originati  dalla  cultura   terramaricola,   hanno
consentito il consolidamento dell'allevamento degli animali domestici
e scoperto l'utilizzo del sale (cloruro di  sodio).  Si  puo'  quindi
presumere  che  inizi  da  questo  momento  la  produzione  di  carne
conservata tramite la salagione. 
    Era, invece, il 150 a.C. quanto Polibio, attraversando la Pianura
Padana, rimase colpito dalla «....terra straordinariamente fertile  e
ricca» e piu' tardi della Cispadania scrivera'  che  «...l'abbondanza
delle ghiande nei querceti allignati ad intervalli nella pianura,  e'
attestata da quanto diro': la maggior parte dei  suini  macellati  in
Italia per i bisogni dell'alimentazione privata e degli  eserciti  si
ricava dalla Pianura Padana». 
    Ulteriore   impulso   all'allevamento   dei   suini    ed    alla
trasformazione delle loro carni si ha con l'avvento dei celti  e  dei
romani. «Questo allevamento comportava  anche  piccole  industrie  di
trasformazione  spesso  connesse  con  la  stessa  villa  (che  nella
terminologia latina significa azienda agricola). Infatti le carni che
dovevano essere inviate per il consumo  in  altre  regioni,  andavano
salate o affumicate  per  la  conservazione,  oppure  trasformate  in
salumi». 
    La carne di maiale divenne  ben  presto  cibo  ambito  sia  dalle
classi nobili che dalla popolazione contadina, rispettivamente per la
bonta' e per l'elevata capacita'  nutrizionale  «La  salagione  aveva
come oggetto dunque, innanzitutto le carni, a cominciare da quella di
maiale, che per lungo tempo  rappresento'  la  carne  per  eccellenza
nella dieta quotidiana di larghi strati di  popolazione.  Soprattutto
di maiale salato erano costituite le scorte di carne  delle  famiglie
contadine,  che  non  di  rado  erano  tenute  a   corrispondere   al
proprietario della terra un tributo annuo  in  spalle  e  prosciutti.
Soprattutto di maiale erano costituite le scorte delle grandi aziende
rurali, come quella di Migliarina (Carpi), dipendente  dal  Monastero
di Santa Giulia». 
    Alla pratica diffusa  dell'allevamento  (nel  1540  a  Modena  si
contava una popolazione di 17.000 suini) si affiancava sempre di piu'
la pratica della «pcaria», che utilizzava la carne del maiale per  la
fabbricazione degli  insaccati,  raggiungendo  sin  d'allora  livelli
qualitativi e quantitativi particolarmente  apprezzabili.  Nel  1547,
infatti, sempre a Modena, i «lardaroli  e  salsicciai»  che  sino  ad
allora erano assimilati ai «beccari» si costituirono in  corporazione
autonoma; la loro arte era riconosciuta anche oltre i  confini  della
citta' e Modena, in questo campo, era un  vero  e  proprio  punto  di
riferimento. 
    Del prosciutto in particolare, si  cibavano  anche  i  componenti
delle fastose corti rinascimentali,  tra  le  quali  una  delle  piu'
rappresentative era quella del duca  di  Modena;  il  prosciutto  non
consumato  direttamente,  a  conferma  del  suo  pregio,  non  veniva
scartato ma riutilizzato con ricette tramandate fino  a  noi  come  i
famosi «tortellini». Della preparazione del prosciutto  ne  riferisce
Padre Giuseppe Falcone nel suo trattato di agricoltura «Nuova Villa»,
allorquando cita che  in  Emilia  esiste  «l'antica  specializzazione
sull'allevamento dei maiali e nella lavorazione delle  carni  suine»,
precisando che «... Non puo' star bene una villa senza porci, animali
si' utili, e di molta cavata ... i prosciutti nostrani si tengono tre
settimane sotto sale ... In tre settimane le mezene restano salate, e
si possono levar di sale, lavandoli con acqua di fiume». 
    Tra il '600 e l'800 la  lavorazione  della  carne  di  maiale  si
consolida e numerosissime sono le testimonianze scritte di tale arte.
Una volta macellati i maiali venivano commercializzati a Modena  come
«...salsizza  rossa,  salame   nuovo,   salame   vecchio,   panzetta,
presciutto,  distrutto,  lardo   songia,   cotteghino   fino   crudo,
cotteghino fino cotto ...» come scrive il Malvasia.  Nel  1670  nelle
carte della Camera ducale estense, in un lungo elenco di rifornimenti
della cucina del Cardinale Rinaldo, compare la raffinata  distinzione
fra prosciutti «di montagna» e prosciutti «nostrani» con  particolare
predilezione per la qualita' dei primi. Anche il Belloi (1704)  nella
sua cronaca «Del piu' moderno Stato di Vignola»  esalta  la  qualita'
delle carni suine della zona pedemontana e  collinare  e  l'industria
della macellazione della carne suina,  tanto  che  nel  1885  Arsenio
Crespellani, nella sua cicalata  «Passeggiata  in  tramway  a  vapore
Bologna-Bazzano-Vignola»    scrisse,    proprio    avvicinandosi    a
quest'ultima tappa «...  fertili  sono  i  terreni  della  collina  e
dell'altopiano,  producendo  in  copia  cereali,  frutta  e  foraggi;
fertilissime le basse, che oltre ai suddetti prodotti danno foglia da
gelso in abbondanza, e  bella  saporita  ortaglia  ...  Le  industrie
principali sono la manipolazione delle carni porcine, specialmente il
rinomato presciutto ...». 
    L'importanza del suino e della lavorazione delle sue carni e' poi
cresciuta, nella nostra provincia, con il nostro secolo.  Riporta  la
relazione  sull'andamento  economico  della   Provincia   di   Modena
nell'anno 1929, a cura del  consiglio  provinciale  dell'economia  di
Modena: «L'industria dei salumi ha avuto, nel biennio  1928-1929,  un
andamento abbastanza regolare, consentendo pero', in generale,  utili
piuttosto modesti. La produzione delle rinomate specialita' locali, e
specialmente zamponi, mortadelle e cotechini, ecc. e' stata nel 1929,
discreta ed ha continuato ad alimentare la normale nostra corrente di
esportazioni specialmente nei paesi dove prosperano numerose  colonie
di connazionali. L'industria e' stata inoltre favorita dai prezzi dei
suini grassi,  che  si  sono  mantenuti  piuttosto  bassi.  Andamento
pressoche'  analogo  ha  avuto  l'industria   della   salagione   dei
prosciutti, che gode in questa provincia meritata fama ...». 
 
                                  E 
                 METODI DI OTTENIMENTO DEL PRODOTTO 
 
    Sono confermate le metodologie e le  prescrizioni  relative  alla
materia prima, gia' illustrate  nelle  schede  B  e  C  del  presente
disciplinare. 
    Il procedimento per la  lavorazione  delle  cosce  suine  fresche
corrispondente alle prescrizioni e ai  requisiti  gia'  indicati  nel
presente  disciplinare  e'  illustrato  di   seguito,   mediante   la
elencazione delle diverse fasi del procedimento produttivo. 
    La lavorazione del Prosciutto di Modena prevede otto fasi: 
      1) isolamento; 
      2) raffreddamento; 
      3) rifilatura; 
      4) salagione; 
      5) riposo; 
      6) lavaggio; 
      7) asciugamento; 
      8) stagionatura. 
Isolamento 
    Il maiale, dal quale si ricava  la  coscia  fresca  da  impiegare
nella preparazione del Prosciutto di Modena  deve  essere:  sano,  di
razza bianca, alimentato nel trimestre precedente la macellazione con
sostanze tali da limitare l'apporto  di  grassi  ad  una  percentuale
inferiore al 10%, riposato e  a  digiuno.  Dopo  la  macellazione  si
procede al sezionamento della coscia, quindi al suo inoltro presso lo
stabilimento di produzione dove viene subito sottoposta ai  necessari
controlli. 
Raffreddamento 
    Le cosce fresche ritenute idonee vengono  sistemate  in  apposita
cella, dove  sostano  per  il  periodo  necessario  a  consentire  il
raggiungimento di una temperatura delle carni attorno  agli  0  gradi
centigradi; in tal modo la carne raggiunge la giusta  consistenza  ed
una uniforme temperatura, facilitando cosi' la successiva  operazione
di salagione in quanto una coscia  troppo  fredda  assorbirebbe  poco
sale, mentre una coscia non sufficientemente fredda  potrebbe  subire
fenomeni di deterioramento. 
Rifilatura 
    La fase di rifilatura consiste nell'asportare grasso e cotenna in
modo da conferire al prosciutto  la  classica  forma  tondeggiante  a
«pera». La rifilatura oltre a conferire il taglio tipico consente: 
      a) di correggere eventuali imperfezioni del taglio; 
      b) di agevolare il verificarsi di condizioni  ottimali  per  la
successiva penetrazione del sale; 
      c)    di    identificare    eventuali    condizioni    tecniche
pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione. 
    Le cosce impiegate per la produzione del Prosciutto di Modena non
devono subire alcun trattamento ad eccezione della refrigerazione. 
Salagione 
    Le cosce  rifilate  vengono  quindi  sottoposte  alla  salagione,
effettuata con il seguente procedimento. 
    Le cosce vengono asperse con sale, in modo che venga coperta  sia
la superficie esposta del lato interno che  la  cotenna.  Per  questa
operazione la coscia rimane adagiata su un piano orizzontale. 
    Preliminarmente o contemporaneamente le  cosce  sono  massaggiate
con procedimenti manuali o meccanici onde  predisporre  la  carne  al
ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni puntuali,
il perfetto dissanguamento. 
    Per  la  salagione  viene  utilizzato  cloruro  di   sodio,   con
esclusione di procedimenti di affumicatura. 
    All'inizio della fase di salagione delle cosce  fresche  su  ogni
coscia viene apposto dal prosciuttificio il sigillo a fuoco di inizio
lavorazione, indicato nella scheda H - figura 2: sigillo  a  fuoco  -
che riporta: 
      nella parte superiore, la sigla «Pm»; 
      nella parte inferiore, il mese in numeri romani e le ultime due
cifre dell'anno in numeri arabi. 
    Tale operazione e' definita sigillatura. 
    In sostituzione o in associazione al presente sigillo a fuoco  di
inizio  lavorazione  sara'  consentito  l'utilizzo  anche  di   altro
dispositivo identificativo validato dall'organismo di  controllo  che
assicuri e garantisca la tracciabilita' e  la  rintracciabilita'  del
Prosciutto di Modena. 
    Mantenute sempre su un piano orizzontale, le cosce salate vengono
sistemate in apposita cella, detta di «primo  sale»,  dove  rimangono
per un periodo  variabile  tra  i cinque  e  i sette  giorni  ad  una
temperatura oscillante tra 0 e 4 gradi  centigradi  e  condizioni  di
umidita' relativa che varia tra 65% e 90%. 
    Trascorso tale periodo, le cosce vengono prelevate  dalla  cella,
il sale residuale viene asportato dalla superficie, viene ripetuto il
massaggio e, infine, viene ripetuta l'aspersione con ulteriore  sale,
secondo le modalita' descritte. 
    Riposte in cella, detta di «secondo sale»,  le  cosce  salate  vi
rimangono per ulteriori dieci/quindici giorni cioe' fino a compimento
della durata del processo di  salagione,  nelle  medesime  condizioni
ambientali.  Durante  l'intero   processo   il   prosciutto   assorbe
lentamente sale e cede parte della sua umidita'. 
Riposo 
    Dopo aver eliminato il sale residuo le cosce salate vengono poste
in una sala apposita, per un periodo non inferiore a sessanta giorni,
in  funzione  della  pezzatura  e  delle  esigenze  tecnologiche,   a
condizioni di umidita'  variabile  tra  il  55%  ed  il  75%  ed  una
temperatura compresa tra 1 e 5 gradi centigradi. Nel corso della fase
di  riposo,  il  sale  assorbito  penetra  con  graduale  omogeneita'
all'interno della massa muscolare, distribuendosi in  modo  uniforme.
Vi si esercita la funzione preposta alla prosecuzione del processo di
disidratazione, iniziata con il trattamento con il sale  e  le  basse
temperature. 
Lavaggio 
    Ultimato il riposo, la coscia viene sottoposta ad una  «lavatura»
definitiva, mediante getti d'acqua ad una temperatura non superiore a
50 gradi centigradi. 
    Oltre ad un effetto  completamente  rivitalizzante,  il  lavaggio
rimuove  tutte  le  formazioni  superficiali  prodottisi  durante  la
salatura e riposo per  effetto  della  disidratazione  e  tonifica  i
tessuti esterni. 
    Prima del  lavaggio  le  cosce  vengono  «toelettate»  e,  cioe',
rifinite sul piano superficiale dagli effetti del  sopravvenuto  calo
di peso. 
Asciugamento 
    Dopo  averle  fatte  sgocciolare  dall'acqua  le  cosce   entrano
nell'essiccatoio a 17/26 gradi centigradi per un  periodo  che  varia
tra le cinque e le dieci ore in rapporto alla quantita' del prodotto,
con una umidita' relativa molto alta, caldo umido  70/90%.  Raggiunti
questi livelli, si interviene con le batterie a freddo  e  si  inizia
cosi' la vera fase deumidificante che puo' durare circa una settimana
a  seconda  dei  carichi  e  delle   modalita'   di   impiego   delle
apparecchiature.  La  variabilita'  dei  valori  e'  funzionale  alle
tecniche del trattamento successivo, la stagionatura. 
Stagionatura 
    La fase della stagionatura si puo' dividere in  due  periodi:  la
prestagionatura   e   la   stagionatura   vera   e   propria.   Nella
prestagionatura prosegue il processo di rinvenimento - acclimatamento
delle carni a temperature variabili progressivamente tra i 10 e i  20
gradi centigradi, in condizioni di umidita' in progressiva riduzione. 
    E  cosi',  in  ogni  caso,  dopo  l'asciugamento  e   l'eventuale
prestagionatura, i  prosciutti -  a  questo  punto  e'  piu'  proprio
chiamarli prosciutti anziche' cosce  suine -  vengono  trasferiti  in
appositi saloni  di  stagionatura,  ambienti  le  cui  condizioni  di
umidita'   e   temperatura   sono   normalmente   naturali,    grazie
all'esistenza e all'apertura quotidiana delle numerose finestre delle
quali sono dotati, disposti in  funzione  trasversale  rispetto  alla
disposizione dei prosciutti che,  quindi,  sono  continuamente  tutti
sollecitati dall'aerazione naturale. 
    Solo  quando  le  condizioni  climatiche  ed  ambientali  esterne
presentano irregolarita' od anomalie rispetto  ai  normali  andamenti
stagionali, e' ammesso l'uso di impianti di climatizzazione  di  tipo
«domestico» tali comunque da impiegare l'aria esterna. 
    Il processo di stagionatura  dura  minimo  dieci  mesi,  fermi  i
limiti  minimi  del  ciclo  completo  di  lavorazione  descritti  nel
proseguo. 
    Nel  corso  della  stagionatura,  nelle  carni  si  verificano  i
processi biochimici ed  enzimatici  che  completano  il  processo  di
conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni,  determinando  le
priorita'   organolettiche   caratteristiche    grazie    all'apporto
dell'ambiente naturale esterno (poca umidita', ventilazione  naturale
che determinano l'aroma ed il gusto del prodotto). 
    Durante la stagionatura non  avviene  quindi  alcun  procedimento
specifico di lavorazione, eccettuata  la  cosiddetta  «sugnatura»  (o
«stuccatura»), operata una  o  due  volte  mediante  rivestimento  in
superficie della porzione scoperta del  prosciutto,  con  un  impasto
composto di sugna o strutto, sale, pepe e farina di  riso,  applicato
finemente ed uniformemente mediante massaggio manuale. 
    Tale  preparato  e  relativa  applicazione  hanno  esclusivamente
funzioni tecniche di  ammorbidimento  della  superficie  esterna  non
coperta dalla cotenna e  di  contemporanea  protezione  della  stessa
dagli agenti esterni, senza compromettere la prosecuzione dell'azione
osmotica. Per tale ragione, la legislazione italiana non considera la
sugna un ingrediente. 
    Il  periodo  minimo  che  comprende  la   durata   del   processo
complessivo di lavorazione, dalla salagione  alla  ultimazione  della
stagionatura, si definisce come di seguito. 
    Ai  fini  del  presente  disciplinare  il   periodo   minimo   di
lavorazione scade nel corso del quattordicesimo mese dalla salagione. 
    La  valutazione  del  completamento  del  processo  resta  quindi
collegata alle esigenze obiettive di lavorazione ed alle condizioni e
caratteristiche proprie del  prodotto.  Quindi,  le  indicazioni  del
presente  disciplinare  hanno  rilevanza  di  normazione  per  quanto
attiene alla esecuzione dei controlli e delle verifiche  qualitative,
relative  all'osservanza  dei  requisiti  previsti  dal  disciplinare
stesso e quindi per l'apposizione del contrassegno. 
    Infatti, ai fini del presente disciplinare il  completamento  del
processo  di  produzione  viene  attestato  dalla   apposizione   del
contrassegno costitutivo o distintivo d'origine, indicato alla scheda
B ed apposto nei modi descritti nella successiva scheda H. 
 
                              SCHEDA F 
                  LEGAME CON L'AMBIENTE GEOGRAFICO 
 
                              Premessa 
 
    Gli elementi riportati nella precedente scheda D a  testimonianza
della originarieta' del Prosciutto di Modena e della relativa materia
prima dalle aree geografiche  rispettivamente  delimitate  consentono
gia' di dimostrare  ampiamente,  attraverso  l'excursus  storico,  lo
stretto  e  profondo  legame  tra  le  produzioni   agricole   e   la
trasformazione del  prodotto  con  le  aree  di  riferimento,  legame
vieppiu' rinsaldato e confermate dall'evoluzione dei fattori sociali,
economici,  produttivi  e  di  esperienza   umana   consolidatasi   e
stratificatasi nel corso  dei  secoli.  Per  quanto  riguarda  l'area
delimitata della provenienza della  materia  prima  (animali  vivi  e
carni)  esistono  fattori  geografici,  ambientali  e  di  esperienza
produttiva nell'allevamento assolutamente costanti e caratterizzanti.
Per  quanto  riguarda   viceversa   la   piu'   ristretta   zona   di
trasformazione  nella  quale   insistono   tutti   i   prosciuttifici
riconosciuti, i fattori  ambientali,  climatici,  naturali  ed  umani
costituiscono,   nella    loro    irripetibile    combinazione,    un
irriproducibile «unicum». 
 
Evoluzione       dell'allevamento del suino pesante       nell'Italia
                        Centro-Settentrionale 
 
    Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari scavi,  molti  dei
quali  effettuati  lungo  le  rive  del   Panaro,   si   deduce   che
l'allevamento di bovini, ovi-caprini e suini  si  e'  sviluppato  nel
Nord-Italia nel periodo  neolitico.  In  particolare  e'  emerso  che
grazie alla fertilita' dei terreni e dalle ampie zone boscate  ricche
di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato  le
condizioni favorevoli allo sviluppo ed alla pratica  dell'allevamento
del bestiame molto prima che  in  altre  zone  della  stessa  Regione
Emilia-Romagna. Inizialmente pero', come risulta  dai  reperti  ossei
ritrovati  in  quantita'  omogenea,  il  bestiame   veniva   allevato
unicamente  per  soddisfare  le  necessita'  della  famiglia  o   del
villaggio.  Solo  in  epoca  etrusca  viene  praticato  un  tipo   di
allevamento  stabile  e  specializzato,  il  cui  obiettivo   e'   la
produzione di carne suina e bovina,  lana,  latte  e  suoi  derivati,
finalizzati non solo  a  soddisfare  i  fabbisogni  locali  ma  anche
all'esportazione. Particolare menzione meritano, a tal proposito, gli
scavi del Forcello, un insediamento etrusco (V secolo a.C.)  posto  a
sud di Mantova, sul terrazzo della  sponda  destra  del  Mincio,  non
molto lontano da Andes, localita' che diede i natali a  Virgilio.  In
detta localita' furono trovati un numero notevolissimo di reperti  e,
tra  essi,  ben  50.000  resti  di  ossa  animali,  di  cui  il   60%
appartenenti alla specie suina,  segno  evidente  della  predilezione
degli etruschi per l'allevamento del maiale; seguendo  in  ordine  di
importanza gli ovini ed i bovini. Dallo studio delle  ossa  si  pote'
dedurre che i maiali erano stati macellati in eta' adulta a due o tre
anni  ed  inoltre  che   proporzionalmente   mancavano   molti   arti
posteriori; mancando gli arti posteriori si puo' dedurre che le cosce
venissero consumate in momenti diversi dal resto  del  suino,  previa
differente tecnica di lavorazione e di  conservazione.  L'allevamento
del maiale ha sempre  costituito  uno  fra  i  piu'  importanti  rami
dell'industria zootecnica italiana. Nel censimento del  bestiame  del
1908, sono indicati presenti in Italia 2.507.798 capi di cui  322.099
scrofe. 
    Nel 1926, secondo  il  Fotticchia,  i  capi  allevati  in  Italia
assommano a 2.750.000 di cui 1.400.000  in  Italia  settentrionale  e
750.000 nell'Italia centrale. All'inizio  del  secolo,  e  fino  alla
Prima guerra mondiale, tre sono i sistemi di allevamento tradizionale
praticati: 
      l'allevamento familiare, un tempo il piu' diffuso  nella  valle
padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente  ben
curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ortivi. Tali capi
sono destinati all'autoconsumo ed  in  parte  al  rifornimento  delle
salumerie locali. Questo allevamento e' andato riducendo via  via  la
sua importanza con il diffondersi della specializzazione; 
      l'allevamento dello stato brado  o  semi-brado  era  preminente
lungo l'Appennino ed  i  suoi  contrafforti,  nonche'  sulle  Prealpi
lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed  i  boschi
di quercia; 
      l'allevamento di tipo industriale primeggiava in  Lombardia  ed
in Emilia gia' nel secolo scorso, perche' collegato al caseificio per
lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero  e  latticello),
dell'industria molitaria (farinette, crusca  e  cruschello)  e  della
brillatura del riso (pula di riso). 
    Il 1872 puo' essere indicato come l'anno in cui  ebbe  inizio  in
Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell'anno, per iniziativa
del   Ministero   dell'agricoltura,   che   si   avvalse   dell'opera
dell'Istituto sperimentale di zootecnica  di  Reggio  Emilia,  furono
importati  dall'Inghilterra  in  alcune  province  padane   i   primi
riproduttori Yorkshire. 
 
                          Le razze indigene 
 
    Esistevano   in   Italia   molte   razze   indigene,   che,   con
l'introduzione dello Yorkshire a seguito dei ripetuti  incroci  fatti
nell'intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all'ingrasso,
maggiore precocita' e con scheletro piu' ridotto, finirono per vedere
sminuite la loro importanza  e  la  loro  identita'.  Le  razze  piu'
diffusamente  allevate  in  Italia  centro-settentrionale  ed  ancora
presenti all'inizio della Prima guerra mondiale, divise per  regioni,
sono le seguenti: 
      Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour,  a  mantello
nero, orecchie pendenti, maschera  facciale  bianca,  allevata  sulla
riva destra del Po; la Garlasco che si  allevava  invece  sulla  riva
sinistra; razza  un  po'  piu'  ridotto  con  pelle  e  setole  color
rosso-giallastro. Le caratteristiche di entrambe le  razze  erano  la
robustezza, la precocita' e la buona abitudine al pascolo; 
      Lombardia: si allevava la  razza  Lombarda  dal  mantello  nero
rossiccio con varie  macchie  bianche,  di  grande  mole,  facile  da
ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Kg.; 
      Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel  parmense
anche  nel  piacentino  ed  in  parte  a  Reggio  Emilia.  Essa   era
caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto
prolifica, alta, robusta, viveva al  pascolo  per  la  maggior  parte
dell'anno. Altra razza  emiliana  che  occupava  un'area  assai  piu'
estesa della parmigiana (bolognese, modenese e  parte  del  reggiano,
del  mantovano  e  del  Veneto),  di  taglia  ancor  maggiore   della
precedente, era la Bolognese, a setole  corte,  rade,  tra  le  quali
traspariva la cute  di  color  rosso-violaceo.  Le  sue  carni,  come
riferisce il Marchi nel suo testo del 1914, «hanno costituito la fama
degli zamponi di  Modena,  delle  mortadelle,  spalle  e  bondole  di
Bologna»; 
      Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa  in
tutta  la  Romagna  e  detta  appunto  razza  Romagnola.  Lo   Stanga
(Suinicultura pratica,  1922)  la  considerava  la  sottorazza  della
Bolognese.  Le  caratteristiche  che  contraddistinguevano  la  razza
romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm al garrese), il
tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa e  soprattutto  la
cosiddetta linea sparta, «costituita da  robustissime  irte  e  fitte
setole che trovansi lungo la linea dorsale» (Ballardini); 
      Veneto: oltre  alle  razze  Lombarda  e  Romagnola  nel  Veneto
troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare,  sia
al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma  di  mediocre
fertilita'; 
      Toscana: terra ricca di boschi e di leccio, quercia, castagno e
cerro che costituivano l'ambiente ideale per il pascolo dei suini; si
allevavano tre razze la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana.  Di  esse
la piu' importante era la Cinta senese, maiale  lungo  ed  alto,  con
tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso
retratta. Altre caratteristiche di detta razza  riguardano  la  testa
molto lunga, le orecchie piccole portate in avanti, un mantello  nero
ardesia e setola sottile e folta con fascia bianca che, partendo  dal
garrese scende alle spalle e cinge tutto il torace estendendosi anche
agli arti anteriori. La Cinta era prolifica e precoce. Il Dondi ne fa
un'accurata descrizione e riferisce che «la carne e' ottima  e  molto
saporita e sono noti nel commercio i prodotti senesi di salumeria, in
particolar  modo  salsicce,  mortadelle  e  prosciutti,  prodotti  in
notevoli quantita' da stabilimenti locali che di preferenza attingono
la materia prima dalla montagna senese».  Il  Mascheroni  (Zootecnica
Speciale, 1927) afferma che «questa razza e' allevata  ed  ingrassata
al bosco, sia durante la buona che la cattiva stagione  e  solo  alla
sera fa ritorno al porcile. L'alimentazione si basa  sul  pascolo  di
quercia e di leccio la cui produzione in ghianda  e'  variabilissima,
integrata con beveroni, farina di castagne, granoturco e crusca»; 
      Umbria: la  popolazione  suina  umbra,  genericamente  chiamata
Perugina  variava  parecchio  dal  monte  al   piano.   In   montagna
prevalevano i suini «da macchia» a manto scuro e  setole  abbondanti,
con testa lunga e orecchie pendenti; maiali nel complesso  rustici  e
resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi erano poi  i  suini
Perugini di collina e di pianura, molto simili alla  razza  Cappuccia
della Toscana; erano caratterizzati da  alta  statura,  da  testa  di
media lunghezza con orecchie pendenti, da  una  linea  dorso  lombare
convessa accompagnata da groppa spiovente e da cosce  e  natiche  non
molto muscolose.  Il  mantello  era  nero  ardesia  con  setole  poco
abbondanti ed arti quasi sempre balzani. In collina  ed  in  pianura,
dove esistevano  zone  boschive,  l'allevamento  era  semi-brado;  se
mancava il pascolo in genere prevaleva l'allevamento da  riproduzione
per la produzione di lattoni, riservando  all'ingrasso  solo  qualche
capo. 
 
           Dalle razze autoctone alla suinicoltura moderna 
 
    La sostituzione delle popolazioni  suine  con  razze  selezionate
piu' produttive, iniziata gia'  alla  fine  del  secolo  scorso,  fu,
soprattutto nei primi decenni, molto lenta e graduale. Cio' non tanto
per le difficolta' proprie del  settore  primario  nell'acquisire  ed
introdurre le novita' emergenti, ma per il fatto che pure molto lenta
e graduale e' stata l'evoluzione dei sistemi di allevamento.  Finche'
brado e semi brado hanno rappresentato per molte  regioni  i  sistemi
piu'  comuni  e  piu'  economici  per  l'ingrasso  del   maiale,   la
rusticita', la resistenza, l'attitudine al pascolo e piu'  in  genere
la  capacita'  di  procurarsi  cibo  hanno  rappresentato  condizioni
prioritarie ed irrinunciabili;  detti  caratteri  sono  propri  delle
razze autoctone, affermatesi sul territorio per  selezione  naturale.
Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, anche a seguito
della notevole espansione nella valle  padana  degli  allevamenti  da
latte, andarono via via aumentando le richieste di lattoni e  magroni
da parte degli allevamenti collegati ai caseifici.  Gli  ingrassatori
rivolgevano  le  loro  preferenze  ai  maiali   di   grande   taglia,
sufficientemente rustici, dotati di elevata capacita'  di  utilizzare
il  siero,  i  cruscami  e  le   farine;   caratteristiche   che   si
riscontravano nei prodotti di incrocio  delle  razze  locali  con  il
verro  Yorkshire  Large  White.  Contemporaneamente,  a   causa   del
disboscamento era andato scomparendo il sistema  brado  e  semi-brado
per l'ingrasso dei maiali, in Emilia-Romagna, in Toscana ed in Umbria
si era affermato l'allevamento delle scrofe  per  la  produzione  dei
suinetti, ricercati dagli ingrassatori della valle padana. 
    Questa   suddivisione   di   compiti    tra    regioni    diverse
nell'allevamento del suino favori'  ed  accelero'  il  processo  gia'
iniziato di incrociare le popolazioni suine,  e  tra  esse  in  primo
luogo la Romangnola, la Cinta senese, la  Perugina  e  la  Cappuccia,
razze rustiche e di buona taglia, con verri della piu' precoce e piu'
selezionata razza Large White. Vi e' da osservare a questo punto che,
nonostante l'affermarsi degli allevamenti industriali, permane  e  si
accentua, proprio in questo  periodo,  la  pratica  di  ingrassare  i
maiali fino al peso di 160-180 Kg. ed oltre. Il motivo  va  ricercato
nel fatto che la produzione del suino pesante trova  concordi  sia  i
suinicoltori che gli operatori industriali.  L'industria  richiedeva,
come tuttora richiede, carcasse pesanti per disporre di carni mature,
adatte a conferire ai prodotti lavorati e stagionati, primi fra tutti
i prosciutti, quelle insuperabili caratteristiche organolettiche  che
hanno reso famosa nel mondo la salumeria italiana. 
    I caseifici  dell'Emilia  e  della  Bassa  Lombardia,  in  grande
maggioranza  orientati  alla   produzione   del   formaggio   «Grana»
iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo
svezzamento dei vitelli, e chiudevano  a  fine  novembre,  quanto  le
vacche andavano in asciutta. I suini, allevati  per  il  consumo  del
siero e del latticello, venivano percio' acquistati verso il mese  di
marzo al peso di 35-45 Kg. (magroncelli) e venduti dopo  la  chiusura
del caseificio, durante l'inverno, per la  lavorazione  delle  carni,
considerato che  ancora  non  esistevano  i  frigoriferi.  Durante  i
nove-dieci mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva il
peso di  160-180  Kg.  Il  suino  pesante  pertanto  soddisfaceva  le
esigenze del mercato e quelle del caseificio. Un solo  ciclo  annuale
consentiva d'altra  parte  di  meglio  ammortizzare  il  costo  della
rimonta  nonche'  di  contenere  le  perdite  per  malattie   e   per
mortalita', molto piu' frequenti nel periodo  di  ambientamento.  Una
critica che viene fatta a questo sistema riguarda l'alto  consumo  di
alimenti necessari nell'ultima fase dell'ingrasso,  per  produrre  un
chilo di incremento. 
    Bisogna tuttavia tener presente che, in detta fase,  piu'  di  un
terzo del valore nutritivo della dieta era fornito dal siero  fresco,
disponibile in abbondanza. La produzione di incroci utilizzando verri
Large White e scrofe di razze locali continuo' per alcuni anni  anche
dopo  l'ultima  guerra  mondiale.  Gia'  da  tempo  pero'  le   razze
autoctone, a seguito di ripetuti incroci, al fine di ottenere animali
piu' adatti  al  caseificio,  avevano  finito  per  perdere  la  loro
importanza fin ad essere costituite  da  una  popolazione  avente  le
caratteristiche proprie del Large White. 
    Soggetti «fumati» (Large White  per  Romangola)  provenienti  dal
mercato di Cesena e soggetti  «grigi»  o  «tramacchiati»  provenienti
dalla Toscana (Large White  per  Cinta)  erano  presenti  in  qualche
porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni '50. In questo
periodo in conseguenza delle piu' approfondite conoscenze in fatto di
alimentazione   e   dello   sviluppo   dell'industria   mangimistica,
incominciarono ad affermarsi allevamenti specializzati in  suini  non
collegati a  caseifici.  A  seguito  di  questi  nuovi  indirizzi  la
popolazione suina subisce in  Italia,  e  soprattutto  nel  Nord,  un
sensibile aumento. Contro  una  consistenza  media,  nel  quinquennio
1951-1955, da 3.320.000 capi si passa nel 1962  a  4.800.000  unita'.
Incrementata la produzione lattiera, si potenziano i caseifici  e  si
estende l'ingrasso suino; pero' all'aumento dei capi concorrono  pure
gli allevamenti specializzati, per lo piu' senza terra, non collegati
ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da  attivita'
extraagricole, dediti di preferenza alla riproduzione  piuttosto  che
all'ingrasso.  Si  diffusero  gli  allevamenti  iscritti   ai   libri
genealogici,  che  con  l'aiuto  dei  centri  di  controllo  genetico
istituiti dal Ministero dell'agricoltura (1960), si diede  inizio  ad
un serio programma di selezione delle razze Large White  e  Landrace.
Si gettarono pertanto le basi  di  una  moderna  suinicoltura  avendo
sempre come riguardo la produzione di un  suino  pesante  dotato  dei
requisiti richiesti dell'industria di trasformazione  in  continua  e
rapida espansione. Dal 1960 al 1970 furono  molte  ed  importanti  le
tecnologie innovative introdotte negli allevamenti, specie in  quelli
da  riproduzione.  Da  allevamenti  agricoli,  suddivisi  in   gruppi
costituiti da poche unita', condizione irrinunciabile per  combattere
le pericolose malattie neonatali, si passo', nel giro di pochi  anni,
alla  concentrazione  di  centinaia  di   fattrici   in   allevamenti
industriali completamente automatizzati. 
    Dette innovazioni, che consentirono  la  produzione  di  suinetti
anche negli allevamenti intensivi della  valle  padana,  modificarono
gli equilibri, durati per molti decenni, tra  le  regioni  del  Nord,
prevalentemente   dedite   all'ingrasso   e   quelle   del    Centro,
specializzate nella riproduzione. Mentre  nel  Nord  la  suinicoltura
trovo' motivo per ulteriore rafforzamento ed espansione, la Romagna e
le regioni dell'Italia centrale si avviarono ad una  ristrutturazione
dell'intero settore suinicolo. La consistenza della popolazione suina
italiana passa dai 4.800.000 capi nel 1962 ai 9.014.600 nel 1981, con
un  incremento  medio  annuo  del  4,4%.  Negli  anni  immediatamente
successivi, e piu' precisamente  fino  al  1987,  si  assiste  ad  un
ulteriore incremento dei capi suini, ma  con  un  ritmo  di  crescita
molto piu' modesto rispetto al decennio  precedente.  Pero'  anche  a
seguito  della  necessita'  di  ristrutturazione  sopra  evidenziata,
l'espansione risulta meno accentuata nelle regioni del Centro Italia.
Negli ultimi anni peraltro l'emanazione in alcune regioni del Nord di
normative locali  di  tipo  ambientalistico,  tali  da  rendere  piu'
problematico il mantenimento delle attuali strutture,  e,  ancora  di
piu', il reperimento di aree idonee per nuovi allevamenti, ha  creato
i presupposti per un potenziamento dell'allevamento anche nelle  zone
omogenee delle  regioni  dell'Italia  centrale  dove  comunque,  come
dianzi richiamato, la tradizione contadina di' una produzione  di  un
suino pesante e' ugualmente antichissima. 
 
                              Premessa 
 
    Vi e' peraltro un ulteriore elemento,  attuale,  scientificamente
provato, normato a  livello  comunitario -  che  comprova  il  legame
esistente tra la materia prima e la zona geografica in funzione di un
insieme di requisiti specifici e vocazionali. 
    Infatti se e' vero che la caratterizzazione produttiva di  natura
zootecnica e' strettamente funzionale ai  requisiti  del  prodotto  a
denominazione  di  origine,  tanto  da  assumere  tratti   distintivi
esclusivi  e  peculiari  con  riferimento  all'area  geografica,   e'
altrettanto vero che il riconoscimento di questa  peculiarita' -  che
definisce legame di cui si discute - interviene a conferma di  quanto
fin qui sostenuto.  Il  tratto  distintivo  che  collega  territorio,
produzione agricola e trasformazione del prodotto a denominazione  di
origine «Prosciutto di Modena» e' indiscutibilmente sintetizzato  nel
concetto di «suino pesante» piu' volte specificato  nella  precedente
scheda D, nella stessa legislazione nazionale di protezione e  sempre
richiamato, nella forma e nella sostanza, dal presente  disciplinare,
con particolare riferimento alle prescrizioni produttive di cui  alla
precedente scheda C. E' quindi assolutamente pertinente  sottolineare
che questo particolare indirizzo produttivo della suinicoltura  delle
aree delimitate, insieme alla definizione di suino pesante  e'  stata
riconosciuto  formalmente  a  livello   comunitario   attraverso   la
legislazione  concernente  la   classificazione   commerciale   delle
carcasse  suine.  Il  reg.  (CEE)  n.  3220  del  13  novembre   1984
costituisce l'ultimo aggiornamento introdotto dalla Commissione sulla
materia. Entrato in vigore a partire  dal  primo  gennaio  1989  tale
dispositivo introduce metodi di misura oggettivi per  la  valutazione
della  percentuale  di  carne   magra   contenuta   nelle   carcasse,
suddividendola in cinque classi  commerciali  con  le  lettere  della
sigla EUROP e la  possibilita'  di  introdurre  una  classe  speciale
denominata «S». In sede di applicazione del regolamento in questione,
unicamente  all'Italia  e'  stata  riconosciuta   la   presenza   sul
territorio di due popolazioni suine: 
      a) una di «suino leggero» macellato a pesi conformi alle  medie
europee; 
      b) l'altra di «suino pesante» macellato a pesi di 150-160  Kg.,
le cui carni sono destinate alla trasformazione. 
    Conseguentemente, con decisione della Commissione del 21 dicembre
1988, si e' autorizzata la distinzione delle  carcasse  in  «leggero»
(peso morto < a 120 Kg.) e «pesanti» (peso morto > a 120 Kg.), con la
derivante  applicazione  di  due  formule  nettamente  diverse  nella
valutazione commerciale. 
    Sul piano attuativo nazionale, poi, e'  noto  che  il  competente
dicastero ha elaborato un piano per dare attuazione all'art. 3, comma
4, del citato reg. (CEE) 3220/84, per la messa a punto di criteri  di
valutazione della qualita' della carne che possano essere associati a
quelli della qualita' del magro. Interpretare lo  sdoppiamento  della
popolazione suinicola nazionale normato in sede comunitaria, come  un
riconoscimento dell'esistenza di  requisiti  diversificati  che,  con
totale sovrapposizione,  si  identificano  con  quelli  previsti  dal
presente disciplinare,  comporta  l'identificazione  della  categoria
«suino pesante» con quella insistente nell'area delimitata e ad  essa
legata da precise motivazioni  storiche,  economiche  e  sociali.  Ne
consegue che il riconoscimento  della  presenza  di  due  popolazioni
cosi'  profondamente  diverse  sullo  stesso  territorio   nazionale,
costituisce una formale anticipazione del riconoscimento  del  legame
che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici. 
    In sintesi quanto sopra esposto sta a significare che: 
      la materia prima utilizzabile per la produzione  di  Prosciutto
di Modena e' tratta unicamente dal cosiddetto suino pesante; 
      la Comunita' ha riconosciuto attraverso  la  decisione  del  21
dicembre  1988  l'esistenza  in  Italia  e  solo  in  Italia  di  due
popolazioni suinicole, una delle  quali  «leggera»  e  conforme  alle
medie   europee,   l'altra   «pesante»   conforme    alle    esigenze
dell'industria salumiera, tradizionali  e  storicamente  affermate  e
documentate; 
      il  suddetto  riconoscimento  ha  indotto  ad  autorizzare   la
definizione  di  due  categorie  di  carcasse  con   la   conseguente
applicazione  di  formule   nettamente   diversificate   nella   loro
valutazione commerciale; 
      la normazione dello sdoppiamento  della  popolazione  suinicola
nazionale riconosce  l'esistenza  di  requisiti  peculiari  che,  non
casualmente, si sovrappongono con quelli previsti dalle  prescrizioni
contenute nel presente disciplinare, e che, ancora senza  casualita',
identificano  la  categoria  del  «suino  pesante»  insistente,  come
ampiamente documentato, nell'area delimitata in quanto ad essa legata
da precise motivazioni storiche, sociali e produttive; 
      il   riconoscimento   comunitario   costituisce   pertanto   un
sostanziale riconoscimento  del  legame  al  contesto  geografico  di
riferimento. 
 
                      Zona tipica di produzione 
 
    Come gia' riportato nella scheda C, la zona tipica di  produzione
del Prosciutto di Modena corrisponde alla particolare zona  collinare
insistente sul bacino idrografico del  fiume  Panaro  e  sulle  valli
confluenti, e che, partendo dalla fascia pedemontana,  non  supera  i
900 metri  di  altitudine,  comprendendo  i  territori  dei  seguenti
comuni: 
      Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilamberto, San Cesario  sul
Panaro,  Savignano  sul  Panaro,  Vignola,  Marano,  Guiglia,  Zocca,
Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogno,
Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio  Montano,
Monte San  Pietro,  Sasso  Marconi,  Castel  d'Aiano,  Zola  Predosa,
Bibbiano, San Polo d'Enza,  Quattro  Castella,  Canossa  (gia'  Ciano
d'Enza), Viano,  Castelnuovo  Monti,  Valsamoggia,  limitatamente  ai
territori gia'  dei  Comuni  di  Monteveglio,  Savigno,  Castello  di
Serravalle e Bazzano. 
    Tale zona  e'  favorita  da  eccezionali  condizioni  ecologiche,
climatiche   e   ambientali.    In    particolare    le    condizioni
micro-climatiche   presenti   nella   zona   di   produzione   (clima
prevalentemente asciutto e leggermente ventilato)  sono  strettamente
connesse alla conformazione  del  territorio  di  produzione,  tipico
della zona pedemontana dell'Appennino Tosco-Emiliano.  Per  sfruttare
al  meglio  le  costanti  brezze  che  insistono   nella   zona   gli
stabilimenti di produzione sono orientati trasversalmente  al  flusso
dell'aria e sono dotati di  grandi  e  numerose  finestre,  affinche'
l'areazione  possa  dare  il  suo  decisivo  contributo  ai  processi
enzimatici  e  di  trasformazione   biochimica   del   prodotto   che
caratterizza il Prosciutto di Modena. 
    Tali trasformazioni biochimiche che si verificano durante la fase
della stagionatura, seguono un loro preciso andamento proprio  grazie
alle condizioni ecologiche che  esistono  nella  zona  di  produzione
sopra descritta. 
    La riprova di quanto detto si ha immediatamente  confrontando  il
Prosciutto di Modena con altri  prodotti  sottoposti  ad  artificiosi
trattamenti allo scopo di conferire ad essi l'aspetto di una regolare
maturazione. In realta' si  tratta  di  prodotti  i  quali,  sia  per
l'effetto dell'alto tenore di sale, sia in seguito all'esposizione in
ambienti  necessariamente  condizionati  in  assenza   delle   ideali
condizioni naturali, si prosciugano in breve tempo e, in particolare,
assumono esteriormente l'aspetto del  prosciutto  che  ha  subito  un
razionale e naturale processo di stagionatura, senza pero' averne ne'
il profumo ne' la fragranza ne' la dolcezza caratteristica. 
    La zona a «monte» della zona tipica di produzione del  Prosciutto
di Modena e' caratterizzata dall'assoluta  mancanza  di  insediamenti
produttivi che possano in  qualsiasi  modo  determinare  fenomeni  di
inquinamento ambientale. 
    L'insediamento dei prosciuttifici nella zona tipica di produzione
non e' stato casuale e nemmeno conseguente a disposizioni di legge ma
piuttosto l'espressione dello stretto rapporto che si instaura fra il
sistema  di  produzione  e  l'ambiente  geografico:   il   prosciutto
necessita di un ambiente assolutamente salubre e al  tempo  stesso  i
suoi sistemi di  produzione  non  alterano  tali  caratteristiche  di
salubrita'. 
    L'attuale  quadro  normativo  nazionale,  che  costituisce  parte
integrante del presente disciplinare, in via formale  e  sostanziale,
altro  non  rappresenta   che   il   consolidamento   e   conseguente
codificazione del percorso che i fattori  umani  e  produttivi  hanno
storicamente  compiuto,  in   contesti   geografici   ed   ambientali
particolari, nell'ambito delle aree rispettivamente  vocate  ai  fini
della produzione della materia prima destinata ad approvvigionare  la
lavorazione del Prosciutto  di  Modena  e  della  trasformazione  del
Prosciutto  di  Modena  stesso,  aree  rigorosamente  identificate  e
delimitate. 
 
                                  G 
                         PROVA DELL'ORIGINE 
 
    Ogni fase del processo produttivo viene  monitorata  documentando
per ognuna gli input e gli  output.  In  questo  modo,  e  attraverso
l'iscrizione  in  appositi   elenchi,   gestiti   dall'organismo   di
controllo,  degli  allevatori,   macellatori,   sezionatori   e   dei
produttori   nonche'   attraverso   la    dichiarazione    tempestiva
all'organismo di controllo delle quantita' prodotte e'  garantita  la
tracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche o  giuridiche,
iscritte nei relativi elenchi,  sono  assoggettate  al  controllo  da
parte  dell'organismo  di  controllo,  secondo  quanto  disposto  dal
disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. 
 
                                  H 
ELEMENTI SPECIFICI DELL'ETICHETTATURA CONNESSI ALLA  DICITURA  DOP  E
             DICITURE TRADIZIONALI NAZIONALI EQUIVALENTI 
 
    Il  contrassegno,  apposto  dal  produttore  sotto   la   diretta
sorveglianza e responsabilita' dell'organismo  di  controllo,  e'  il
solo  elemento  che  comprova  la  rispondenza  del   prodotto   alla
disciplina giuridica di produzione. 
    Inoltre,  il  presente   disciplinare   prevede   l'apposizione -
preliminare rispetto all'apposizione del contrassegno - di tutta  una
serie di tatuaggi, timbri e sigilli, non meno di tre e  non  piu'  di
quattro - tatuaggio di origine, timbro  identificativo  del  macello,
sigillo a fuoco di inizio lavorazione - e  di  altri  dispositivi  di
identificazione in loro sostituzione o associazione, il cui riscontro
e' funzionale ed indispensabile  per  attestare  la  rispondenza  del
prodotto - anche in corso  di  lavorazione -  ai  requisiti  ed  agli
adempimenti  che  risultano  obbligatori  per  i   diversi   soggetti
produttivi, interagenti nel sistema di filiera che forma «il circuito
della produzione tutelata». 
    Il «Prosciutto di Modena»  e'  permanentemente  identificato  dal
contrassegno apposto sulla cotenna. 
    Per ottenere il  contrassegno  di  cui  al  punto  precedente  e,
comunque, anche dopo la relativa apposizione, il Prosciutto di Modena
deve recare inoltre anche i seguenti timbri e/o sigilli: 
      a)  timbro  indelebile   apposto   dall'allevatore   entro   il
ventottesimo giorno dalla nascita e/o dispositivo di  identificazione
in associazione o in sostituzione di cui alla scheda C; 
      b) timbro identificativo indelebile impresso  a  fuoco  apposto
dal macellatore e/o dispositivo di identificazione in associazione  o
in sostituzione di cui alla scheda C; 
      c)  sigillo  a  fuoco  apposto  dal  produttore   prima   della
salagione, riproducente il mese e l'anno d'inizio  della  lavorazione
e/o dispositivo di identificazione in associazione o in  sostituzione
di cui alla scheda E. 
    Il contrassegno comprende come  parte  integrante  il  numero  di
codice di identificazione del produttore. 
    Il  contrassegno,  i  timbri,  i  sigilli  e  i  dispositivi   di
identificazione in sostituzione o in associazione a timbri e  sigilli
sono apposti con le modalita' previste dal presente disciplinare. 
    Il contrassegno,  il  timbro,  il  sigillo  e  i  dispositivi  di
identificazione in sostituzione o in associazione a timbri e  sigilli
sono  approvati,   anche   ai   fini   del   presente   disciplinare,
dall'organismo di controllo. 
    Inoltre ai fini del presente disciplinare: 
      l'etichettatura del Prosciutto di Modena intero con  osso  reca
le seguenti indicazioni obbligatorie: 
        «Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione  di  origine
protetta» o dall'abbreviazione «DOP» e accompagnata dal  simbolo  DOP
dell'Unione  europea,   collocati   nel   campo   visivo   principale
dell'etichetta frontale cosi' da distinguersi sempre dalle  rimanenti
indicazioni; 
        l'indicazione  degli  ingredienti:   carne   di   suino/carne
suina/coscia suina/coscia di suino e sale; 
        il nome o la ragione sociale  o  il  marchio  depositato  del
produttore o del prosciuttificio iscritto al sistema di controllo che
commercializza il Prosciutto di Modena DOP; 
        la sede dello stabilimento di produzione; 
      l'etichettatura del  Prosciutto  di  Modena  disossato  intero,
oppure  presentato   in   tranci   reca   le   seguenti   indicazioni
obbligatorie: 
        «Prosciutto di Modena» seguita da «denominazione  di  origine
protetta» o dall'abbreviazione «DOP» e accompagnata dal  simbolo  DOP
dell'Unione  europea,   collocati   nel   campo   visivo   principale
dell'etichetta frontale cosi' da distinguersi sempre dalle  rimanenti
indicazioni; 
        l'indicazione  degli  ingredienti:   carne   di   suino/carne
suina/coscia suina/coscia di suino e sale; 
        il nome o la ragione sociale  o  il  marchio  depositato  del
prosciuttificio produttore o del prosciuttificio iscritto al  sistema
di controllo che commercializza il Prosciutto di Modena DOP; 
        la sede dello stabilimento di confezionamento; 
        la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora  il
sigillo a fuoco  non  risulti  piu'  visibile  o  il  dispositivo  di
identificazione in sostituzione del sigillo  a  fuoco  non  sia  piu'
presente; 
        la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora  il
sigillo a fuoco  non  risulti  piu'  visibile  o  il  dispositivo  di
identificazione in sostituzione del sigillo  a  fuoco  non  sia  piu'
presente; 
        la quantita' netta; 
        il termine minimo di conservazione; 
        la dicitura di identificazione del lotto. 
    Agli effetti del presente disciplinare valgono inoltre  tutte  le
seguenti regole relative alla etichettatura del Prosciutto di Modena: 
      e' vietata l'utilizzazione di  qualificativi  come  «classico»,
«autentico», «extra», «super» e di altre qualificazioni, menzioni  ed
attribuzioni abbinate alla denominazione di origine, ad esclusione di
«disossato», nonche' di  altre  indicazioni  non  specificamente  qui
previste,  fatte  salve  le  esigenze   di   adeguamento   ad   altre
prescrizioni di legge; 
      i medesimi divieti  valgono  anche  per  la  pubblicita'  e  la
promozione del Prosciutto di Modena, in qualsiasi forma o contesto. 
    Qualora  il  Prosciutto  di   Modena   venga   utilizzato   quale
ingrediente di un altro prodotto alimentare  deve  essere  menzionato
secondo la normativa vigente al momento. 
    Il Consorzio di tutela  riconosciuto  e'  il  proprietario  delle
matrici e degli strumenti  per  l'apposizione  del  contrassegno  che
vengono affidati all'Organismo di controllo per il loro utilizzo. 
    Il  Consorzio  di  tutela   riconosciuto   puo'   utilizzare   il
contrassegno come proprio segno distintivo e autorizzarne  l'uso  per
iniziative volte alla protezione e valorizzazione del Prosciutto  di
Modena.  
Prosciutto modena
 

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