Prosciutto di Parma Dop - Disciplinare di produzione
La zona tipica di produzione del prosciutto di Parma - così come individuata dalla legge 13 febbraio 1990 n° 26 - ed ancor prima la legge 4 luglio 1970 n°506 - comprende il territorio della provincia di Parma (regione Emilia-Romagna - Italia) posto a Sud della via Emilia.
La materia prima proviene da un'area geograficamente più ampia della zona di trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle seguenti Regioni: Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio
PROSCIUTTO DI PARMA DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA
(Disciplinare Generale e Dossier di cui all'articolo 4 del Regolamento CEE n° 2081/92 del Consiglio del 14 luglio 1992)
ALLEGATI
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA A
Legge 4 luglio 1970 n°506
Legge 13 febbraio 1990 n° 26
D.P.R. 03 gennaio 1978 n° 83
D.M. 15 febbbraio 1993 n°253
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA B
Provvedimento che ha definito i parametri analitici qualitativi.
Direttiva concernente le operazioni di affettamento e confezionamento del Prosciutto di Parma.
Esemplare "neutro" di confezione di Prosciutto di Parma preaffettato.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA C
Delimitazione della zona di trasformazione
Delimitazione della zona di provenienza della materia prima
Estratto della legge 19 febbraio 1992 n°142
Raccolta esemplificativa di articoli attinenti:
- l'impiego del siero di latte e di cereali nella dieta del "suino pesante";
- le razze idonee e non alla produzione del "suino pesante";
- alcune ricerche sulle caratteristiche del tessuto adiposo di copertura nel "suino pesante"
Segnalazioni bibliografiche sulla produzione del suino pesante italiano
Esemplare del certificato dell'allevatore
Direttiva sulle procedure per la compilazione e gestione dei certificati dell'allevatore
Esemplari di moduli di domanda per allevamenti e macelli
Esemplare di timbro numerato ("PP") del macello
Esemplari del sigillo
Esemplare di verbale di sigillatura
Esemplare di verbale di contrassegnatura (marchiatura)
Copia parziale del registro del produttore
Impronta della corona ducale
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA D
Bibliografia dei testi contenenti notizie storiche riguardanti diversi aspetti del prosciutto di Parma in particolare l'allevamento del suino nella Pianura Padana ed a Parma, la produzione e commercializzazione del prosciutto di Parma.
Copia di "Avviso per la notificazione delle carni suine salate, e contrattazione all'ingroffo delle medefime" pubblicato dal Governatore di Parma il 21 aprile 1764, in cui figura anche il prosciutto con l'osso ("prefciuto con l'offo").
Copia di un estratto del "vocabolario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla" di Lorenzo Molossi, stampato nel 1832/34, in cui si trova un esplicito riferimento all'allevamento dei "porci" per la produzione di prosciutti crudi.
Copie di alcune pagine del bollettino della Camera di commercio di Parma risalente al 1915 in cui compare, nella classe merceologica dei salumi, il "prosciutto vecchio".
Estratto del registro delle ditte della Camera di commercio di Parma da cui risulta la costituzione, negli anni 20 e 30, di aziende produttrici di prosciutto.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA E
Esemplare di modulo per la richiesta di riconoscimento del produttore
Foto delle fasi di lavorazione del prosciutto di Parma.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA F
Regolamento (CEE) n°3220/84;
Decisione della Commissione del 21 dicembre 1988
Decisione della Commissione del 20 novembre 1989
Decreto del Ministero dell'Agricoltura e Foreste del 24 febbraio 1989
Copie di articoli riportanti cenni sul legame tra la produzione e l'area geografica delimitata.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA H
Verbale di deposito marchio "corona ducale" del 1963
Verbale di deposito del marchio "corona ducale" del 1973 (e modifica di quella del 1963)
Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 4
Certificato di deposito del marchio "corona ducale" del 1987 (strumentale alla registrazione OMPI)
Decreto Ministeriale 26 agosto 1991
Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 3
Decreto Ministeriale 4 agosto 1986
PREMESSA METODOLOGICA
Il presente lavoro si prefigge lo scopo di razionalizzare il panorama normativo posto alla base
della denominazione di origine “prosciutto di Parma”, al fine di renderlo intelligibile e quindi
alla portata di tutti coloro che perseguono una conoscenza dettagliata e specifica dello stesso.
La metodologia reputata maggiormente funzionale allo scopo sopra evidenziato consiste nella
suddivisione per materia di alcuni argomenti base o principi generali, accompagnata dalla
trasposizione, per ogni argomento analizzato, di tutte le disposizioni legislative e
regolamentari allo stesso afferenti, anche se previste da diversi testi di legge, regolamenti o
direttive esecutive.
Pertanto, il lettore potrà trovare con estrema semplicità, a seguito di ogni argomento esposto,
una completa ed esauriente regolamentazione inglobante tutto quanto disposto sull’argomento
stesso.
Il testo che si propone prende in considerazione esclusivamente le norme attualmente in
vigore e dovrà chiaramente essere assoggettato alle variazioni del caso ogni qual volta detto
complesso normativo subirà modifiche di rilievo.
PROSCIUTTO DI PARMA
(DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA)
4
SCHEDA A
NOME DEL PRODOTTO: PROSCIUTTO DI PARMA
La denominazione di origine "Prosciutto di Parma" è stata inizialmente giuridicamente
protetta a livello nazionale dal 1970 attraverso la legge 4 luglio 1970 n° 506 ed è poi stata
riconosciuta come DOP ai sensi del Regolamento CEE n.2081/92 con Regolamento CE n.
1107 del 12.06.96.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA A
A.1: Legge 4 luglio 1970 n°506
A.2: Legge 13 febbraio 1990 n° 26
A.3: D.P.R. 3 febbraio 1978 n° 83
A.4: D.M. 15 febbraio 1993 n°253
SCHEDA B
DESCRIZIONE DEL PRODOTTO CON INDICAZIONE DELLE
MATERIE PRIME E DELLE PRINCIPALI CARATTERISTICHE
FISICHE, CHIMICHE, MICROBIOLOGICHE ED
ORGANOLETTICHE.
La denominazione di origine "prosciutto di Parma" è riservata esclusivamente al prosciutto
munito di contrassegno atto a consentirne in via permanente la identificazione, ottenuto dalla
cosce fresche di suini nati, allevati e macellati in una delle Regioni indicate dall'art. 3 del
Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n.253, prodotto secondo le prescrizioni di legge e
regolamentari stagionato nella zona tipica di produzione di cui all'art. 2 della legge 13
febbraio 1990 n. 26 per il periodo minimo di 12 mesi a decorrere dalla salagione. Il peso è
riferito ai prosciutti con osso all'atto dell'applicazione del contrassegno di cui sopra.
Le specifiche caratteristiche merceologiche del prosciutto di Parma sono:
a) forma esteriore tondeggiante: privo della parte distale (piedino), privo di imperfezioni
esterne tali da pregiudicare la immagine del prodotto, con limitazione della parte muscolare
scoperta oltre la testa del femore (noce) ad un massimo di 6 centimetri (rifilatura corta);
b) peso: normalmente tra gli otto e i dieci chilogrammi e comunque non inferiore ai sette;
c) colore al taglio: uniforme tra il rosa ed il rosso, inframmezzato dal bianco puro delle
parti grasse;
d) aroma e sapore: carne di sapore delicato e dolce, poco salata e con aroma fragrante e
caratteristico;
e) la caratterizzazione mediante l'osservanza di parametri analitici predeterminati.
Il criterio adottato per la selezione dei parametri qualitativi è quello della correlazione fra
attributi organolettici e parametri chimici. Con questo metodo sono stati individuati i seguenti
parametri: la concentrazione di sale, di umidità e di azoto solubile (indice di proteolisi). Infatti
è noto che il prodotto di qualità deve contenere limitate quantità di cloruro di sodio e di
umidità, mentre nel caso dell'indice di proteolisi si è osservato che, se troppo elevato, esso
influisce negativamente sulle caratteristiche di consistenza del magro.
Per ciascuno dei tre suddetti parametri sono stati individuati degli intervalli che diventano i
valori di riferimento per verificare se un campione di prosciutti, estratto a caso da uno
stabilimento di produzione, appartiene alla popolazione di riferimento e può essere quindi
considerato rappresentativo delle caratteristiche medie del Prosciutto di Parma.
Tali intervalli risultano così definiti:
Umidità: 59,0% - 63,5%
Sale: 4,2% - 6,2%
Indice di proteolisi: 24,0% - 31,0%
I valori che definiscono gli intervalli di variabilità dei rispettivi parametri non si riferiscono al
singolo prosciutto, ma alla media dei prosciutti campionati nello stabilimento alla scadenza
prevista, dai quali viene prelevata la sola frazione magra isolata dal bicipite femorale.
La materia prima (cosce fresche) utilizzata per la produzione di prosciutto di Parma presenta i
seguenti elementi di caratterizzazione:
- la consistenza del grasso: è stimata attraverso la determinazione del numero di iodio e/o del
contenuto di acido linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo adiposo
sottocutaneo della coscia. Per ogni singolo campione il numero di iodio non deve superare 70
ed il contenuto di acido linoleico non deve essere superiore al 15%;
- la copertura di grasso: lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca
rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore ("sottonoce"),
dovrebbe aggirarsi intorno ai 20 millimetri per le cosce fresche utilizzate nella produzione di
prosciutto di Parma di peso ricompreso fra i 7 e 9 chilogrammi, ed ai 30 millimetri nelle cosce
fresche utilizzate nella produzione di prosciutto di Parma di peso superiore ai 9 chilogrammi.
Tale spessore non deve, in ogni caso, essere inferiore rispettivamente a 15 millimetri
ed a 20 millimetri per le due categorie di cosce fresche, cotenna compresa.
In "corona" deve essere presente una copertura tale, in ogni caso, da impedire il
distacco della cotenna dalla fascia muscolare sottostante;
- peso delle cosce fresche: le cosce fresche rifilate, di peso preferibilmente compreso tra
12 e 14 chilogrammi, non devono in ogni caso pesare meno di 10 chilogrammi;
- qualità della carne: sono escluse dalla produzione protetta le cosce fresche provenienti
da suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, postumi evidenti di processi flogistici o
traumatici, ecc..) certificate da un medico veterinario al macello;
- le cosce fresche non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di
conservazione, ivi compresa la congelazione; per refrigerazione si intende che le cosce
devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna tra - 1
°C e + 4 °C;
- non possono essere utilizzate cosce che risultino ricavate da suini macellati da meno di
24 ore o da oltre 120 ore.
Il prosciutto di Parma, dopo l'applicazione del contrassegno, può essere commercializzato
anche disossato, ovvero in tranci di forma e peso variabili ovvero affettato ed opportunamente
confezionato. Qualora non sia possibile conservare sul prodotto il contrassegno, questo dovrà
essere apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione, sotto il controllo
dell'Organismo abilitato. In questi casi le operazioni di confezionamento dovranno essere
effettuate nella zona tipica di produzione. Il confezionamento del prosciutto di Parma può
avvenire in confezioni in atmosfera modificata ovvero sottovuoto e di dimensioni, forma e
peso variabili. Tutte le confezioni di prosciutto di Parma presentano obbligatoriamente una
porzione comune posizionata al vertice sinistro superiore della confezione riportante il
marchio consortile e le diciture "Prosciutto di Parma". Denominazione di origine protetta ai
sensi della legge 13 febbraio 1990 n° 26. Confezionato sotto il controllo dell’organismo
incaricato. Tale parte comune deve inoltre avere le caratteristiche e rispondere a tutte le
condizioni specificamente previste dalla Direttiva Affettamento.
Nell'ambito della Direttiva che disciplina la materia sono state definite le caratteristiche
chimico-fisiche e merceologiche del prodotto da utilizzare, con particolare riferimento alla
pezzatura ed al periodo di stagionatura. Tutte le operazioni, dalla fase iniziale della
disossatura a quella finale dell'affettamento e confezionamento sono svolte sotto il diretto
controllo di ispettori dell'Organismo abilitato (per questo particolare aspetto si rimanda alla
scheda G).
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA B
Provvedimento che ha definito i parametri analitici qualitativi.
Direttiva concernente le operazioni di affettamento e confezionamento del Prosciutto di
Parma.
Esemplare "neturo" di confezione di prosciutto di Parma preaffettato.
Altri documenti richiamati:
- Legge n°26/90 (Scheda A)
- D.M. 253/93 (Scheda A)
- Prescrizioni produttive in materia di suinicoltura (Scheda C)
SCHEDA C
DELIMITAZIONE DELLA ZONA GEOGRAFICA E RISPETTO DELLE CONDIZIONI DI CUI ALL'ARTICOLO 2 PARAGRAFO 4.
La zona tipica di produzione del prosciutto di Parma - così come individuata dalla legge 13
febbraio 1990 n° 26 - ed ancor prima la legge 4 luglio 1970 n°506 - comprende il territorio
della provincia di Parma (regione Emilia-Romagna - Italia) posto a Sud della via Emilia
distanza da questa non inferiore a 5 chilometri fino ad una altitudine non superiore a 900
metri, delimitato ad est dal corso del fiume Enza e ad Ovest dal corso del torrente Stirone.
Nella zona di cui al punto C.1 devono essere ubicati gli stabilimenti di produzione
(prosciuttifici) ed i laboratori di affettamento e confezionamento e devono quindi svolgersi
tutte le fasi di trasformazione della materia prima previste dal disciplinare.
La materia prima proviene da un'area geograficamente più ampia della zona di
trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle seguenti Regioni: Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio
(Italia).
C.4 Tale zona di provenienza della materia prima è delimitata rigorosamente dalla legge
13 febbraio 1990 n° 26, così come modificata dall'articolo 60 della legge 19 febbraio 1992 n°
142, e dal Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n° 253.
In tale zona hanno sede tutti gli allevamenti dei suini le cui cosce sono destinate alla
produzione del prosciutto di Parma, gli stabilimenti di macellazione abilitati alla relativa
preparazione nonché i laboratori di sezionamento eventualmente ricompresi nel circuito della
produzione protetta.
Per soddisfare alle esigenze indicate nella successiva scheda F, per la produzione delle
materie prime, così come definite all'articolo 2 paragrafo 5 del Regolamento CEE n° 2081/92,
sussistono le seguenti condizioni particolari e prescrizioni:
RAZZE E REQUISITI DEI SUINI DESTINATI ALLA PRODUZIONE DI PROSCIUTTO
DI PARMA
- Sono ammessi gli animali, in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large
White e Landrace, così come migliorate dal Libro genealogico italiano.
- Sono altresì ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, così come migliorata dal
Libro genealogico italiano.
- Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze, meticci ed ibridi, purchè provengano
da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del Libro
genealogico italiano per la produzione del suino pesante.
- In osservanza alla tradizione, restano comunque esclusi i portatori di caratteri
antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS), oggi rilevabili
obiettivamente anche sugli animali "post mortem" e sui prodotti stagionati.
- Sono in ogni caso esclusi gli animali che non producano cosce conformi alle presenti
prescrizioni produttive; per quanto riguarda gli elementi di caratterizzazione della coscia suina
fresca, essi sono prescritti nelle condizioni indicate alla precedente scheda B.
- Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire,
Pietrain, Duroc e Spotted Poland.
ALTRE PRESCRIZIONI E CONDIZIONI PARTICOLARI
- I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone
efficienze e, comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di chilogrammi 160 più o meno
10%.
- L'età minima di macellazione è di nove mesi ed è accertata sulla base della timbro
apposto ai fini del comma 3 dell'articolo 4 del Decreto Ministeriale 253/93.
- E' esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe.
- I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e perfettamente dissanguati.
C.6.3. ALIMENTAZIONE DEI SUINI DESTINATI ALLA PRODUZIONE DI PROSCIUTTO DI PARMA
- Gli alimenti consentiti, le quantità e le modalità di impiego sono riportati nella tabella
di seguito riportata.
- L'alimento dovrà, preferibilmente, essere presentato in forma liquida (broda o pastone)
e, per tradizione, con siero di latte.
Alimenti ammessi fino a 80 chilogrammi di peso vivo.
Tutti quelli utilizzabili nel periodo di ingrasso, in idonea concentrazione, nonché quelli
sottoelencati. La presenza di sostanza secca da cereali non dovrà essere inferiore al 45% di
quella totale.
Semola glutinata di mais e/o corn gluten
feed s.s.: fino al 5% della s.s. della razione
Carrube denocciolate s.s.: fino al 3% della s.s. della razione
Farina di pesce s.s.: fino al 1% della s.s. della razione
Farina di estrazione di soia s.s.: fino ad un massimo del 20%
Distillers s.s.: fino al 3% della s.s. della razione
Latticello* s.s.: fino ad un massimo di 6 l/capo giorno
Lipidi con punto di fusione superiore a 36
C.° s.s.: fino al 2% della s.s. della razione
Lisati proteici s.s.: fino al 1% della s.s. della razione
Silomais s.s.: fino al 10% della s.s. della razione
s.s.= Sostanza secca
Alimenti ammessi nella fase di ingrasso
La presenza di sostanza secca da cereali nella fase d'ingrasso non dovrà essere inferiore al
55% di quella totale.
Mais s.s.: fino al 55% della s.s. della razione
Pastone di granella e/o pannocchia s.s.: fino al 55% della s.s. della razione
Sorgo s.s.: fino al 40% della s.s. della razione
Orzo s.s.: fino al 40% della s.s. della razione
Frumento s.s.: fino al 25% della s.s. della razione
Triticale s.s.: fino al 25% della s.s. della razione
Avena s.s.: fino al 25% della s.s. della razione
Cereali minori s.s.: fino al 25% della s.s. della razione
Cruscami e altri sottoprodotti della
lavorazione del frumento s.s.: fino al 20% della s.s. della razione
Patata disidratata*** s.s.: fino al 15% della s.s. della razione
Manioca*** s.s.: fino al 5% della s.s. della razione
Polpe di bietola surpressate ed
insilate
s.s.: fino al 15% della s.s. della razione
Expeller di lino s.s.: fino al 2% della s.s. della razione
Polpe secche esauste di bietola s.s.: fino al 4% della s.s. della razione
Marco mele e pere; buccette d'uva o
di pomodori quali veicoli di
integratori
s.s.: fino al 2% della s.s. della razione
Siero di latte * s.s.: fino ad un massimo di 15 l. capo/giorno
Latticello* s.s.: fino ad un apporto massimo di 250
grammi capo/giorno di sostanza secca
Farina disidratata di medica s.s.: fino al 2% della s.s. della razione
Melasso** s.s.: fino al 5% della s.s. della razione
Farina di estrazione di soja s.s.: fino al 15% della s.s. della razione
Farina di estrazione di girasole s.s.: fino al 8% della s.s. della razione
Farina di estrazione di sesamo s.s.: fino al 3% della s.s. della razione
Farina di estrazione di cocco s.s.: fino al 5% della s.s. della razione
Farina di estrazione di germe di
mais
s.s.: fino al 5% della s.s. della razione
Pisello e/o altri semi di leguminose s.s.: fino al 5% della s.s. della razione
Lievito di birra e/o di torula s.s.: fino al 2% della s.s. della razione
Lipidi con punto di fusione
superiore a 40 C.° s.s: fino al 2% della razione
s.s.= Sostanza secca
- Ai fini di ottenere un grasso di copertura di buona qualità è consentita una presenza massima
di acido linoleico pari al 2% della sostanza secca della dieta.
-Sono ammesse tolleranze massime del 10%.
-Siero e latticello insieme non devono superare i 15 litri capo/giorno (*).
-Se associato a borlande il contenuto totale di azoto deve essere inferiore al 2% (**).
-Patata disidratata e manioca insieme non devono superare il 15% della sostanza secca della
razione (***).
-Per "latticello" si intende il sottoprodotto della lavorazione del burro e per siero di latte il
sottoprodotto di cagliate.
PRESCRIZIONI RELATIVE ALL'ALLEVAMENTO DEI SUINI DESTINATI ALLA
PRODUZIONE DI PROSCIUTTO DI PARMA
Fasi di allevamento:
- Le fasi di allevamento sono così definite:
allattamento: prime quattro settimane sottoscrofa;
svezzamento: dalla 5^ alla 12^ settimana;
magronaggio: da 30 ad 80 chilogrammi di peso;
ingrasso: da 80 a 160 chilogrammi di peso ed oltre.
- Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un suino pesante, obiettivo che deve
essere perseguito assicurando moderati accrescimenti giornalieri, nonché la produzione di
carcasse incluse nelle classi centrali della classificazione CEE (“U”, “R” e “O”).
A tal fine l'alimentazione dovrà essere distribuita razionata, preferibilmente sottoforma
liquida o di pastone e, per tradizione, con siero di latte.
- Le strutture e le attrezzature dell'allevamento devono garantire agli animali condizioni di
benessere.
- I ricoveri devono risultare ben coibentati e ben aerati in modo da garantire la giusta
temperatura, il ricambio ottimale dell'aria e l'eliminazione dei gas nocivi.
- I pavimenti devono essere caratterizzati da una bassa incidenza di fessurazione e realizzati
con materiali idrorepellenti, termici ed antisdrucciolevoli.
- In relazione alla tipologia dell'alimentazione, tutte le strutture ed attrezzature devono
presentare adeguati requisiti di resistenza alla corrosione.
Salvo ogni specifico ulteriore approfondimento demandato alla successiva scheda G, il regime
di controllo atto a garantire l'osservanza delle condizioni particolari per la produzione delle
materie prime nonché l'osservanza degli obblighi posti a carico di tutti i soggetti ricompresi
nel circuito della produzione protetta dalle norme e dai disciplinari vigenti, è regolato da
disposizioni dettagliatamente descritte nel piano dei controlli approvato dal Ministero delle
politiche agricole alimentari e forestali.
- Per essere compresi nel circuito della produzione protetta, gli allevatori devono essere
preventivamente riconosciuti e codificati dall'organismo abilitato.
- A tal fine, gli allevatori interessati presentano richiesta all'organismo abilitato, che ne
dispone la codificazione e fornisce la documentazione di cui al presente disciplinare di
produzione.
- L'allevatore inserito nel sistema dei controlli appone sulle cosce posteriori di ogni
suino, entro il trentesimo giorno dalla nascita, un timbro indelebile recante il proprio codice di
identificazione.
- Nelle ipotesi in cui il suino timbrato venga trasferito ad altro allevamento, quest'ultimo
deve essere stato preventivamente codificato dall'organismo abilitato e deve apporre un nuovo
timbro indelebile recante il proprio codice di identificazione, comunque prima dell'avvio alla
macellazione. Le modalità di codificazione e di applicazione dei timbri sono stabilite
dall'organismo abilitato. Nell’ipotesi sundicata, per soddisfare tutte le esigenze correlate con il
benessere animale, la seconda apposizione del timbro può essere surrogata dalla indicazione
del codice di origine apposto nelle forme prescritte dal § C.8.4 sui documenti che
accompagnano le partite di suini ad ogni transazione o trasferimento e nell’ambito delle
registrazioni e delle verifiche incrociate operate dalla struttura di controllo. La tracciabilità del
prodotto è garantita anche dalle procedure di registrazione adottate dal macello, soggette ad
omologazione e verifica sistematiche da parte dell’organismo di controllo.
- Timbro di cui al precedente punto.
La apposizione del timbro è effettuata mediante applicazione con apposito strumento a
compressione di un tatuaggio indelebile ed inamovibile anche post mortem, sulla porzione
laterale di entrambe le cosce del suinetto posta appena sopra una linea orizzontale che parte
dalla rotula ed in corrispondenza della parte inferiore del bicipite femorale.
La timbratura riproduce il codice alfa-numerico di identificazione assegnato all'allevatore e
definito con apposita direttiva emanata dall'organismo abilitato ed una ulteriore lettera
alfabetica, utilizzata in funzione variabile in relazione al mese di nascita dell'animale.
La timbratura è apposta sotto la responsabilità dell'allevatore.
- Timbro di cui al precedente punto.
Il timbro riproduce il codice alfa-numerico attribuito all'allevatore ed è apposto su entrambe le
cosce dei suini accompagnati dalla certificazione di cui al presente disciplinare di produzione.
Il timbro è comunque apposto in modo da risultare indelebile ed inamovibile anche post
mortem e deve avvenire sulla porzione laterale della coscia con una superficie d'ingombro
non superiore a 45 millimetri (altezza) per 85 millimetri (base), evitando la sovrapposizione
con il timbro di cui sopra.
L'allevatore appone il timbro preferibilmente non oltre l'ottavo mese di vita.
- L'allevatore è tenuto a rilasciare per i suini avviati alla macellazione un certificato
attestante la conformità dei medesimi alle prescrizioni di cui ai punti C.6 e seguenti.
- All'atto della spedizione dei suini presso il macello, l'allevatore deve compilare, in
triplice copia, la certificazione di cui al punto precedente, attestante l'osservanza delle
prescrizioni produttive, rilasciandone un esemplare al macellatore e trasmettendone un altro
all'organismo abilitato. La certificazione avviene su supporti distribuiti a cura dell'organismo
abilitato e dallo stesso prenumerati e codificati. L'allevatore sottoscrive la certificazione dopo
aver inserito il numero dei capi, la relativa destinazione e la data della spedizione nonché la
indicazione sintetica dei genotipi utilizzati.
- I criteri e le metodologie di compilazione, gestione, utilizzazione e circolazione delle
certificazioni sono disciplinate nel piano dei controlli approvato.
- I macelli che intendono fornire le cosce fresche destinate alla produzione del prosciutto di
Parma devono inoltrare all'organismo abilitato domanda per ottenere un apposito
riconoscimento.
- La domanda deve essere corredata dalla documentazione attestante il possesso
dell'autorizzazione sanitaria, nonché dei requisiti igienico sanitari richiesti dalle norme vigenti
in materia.
- L'organismo abilitato provvede alla attribuzione di un codice di identificazione del macello
ed alla fornitura del timbro di cui al successivo punto.
Sulle cosce fresche destinate alla preparazione del prosciutto di Parma il macellatore è tenuto
alla apposizione del timbro indelebile, impresso a fuoco sulla cotenna, in modo ben visibile
secondo le direttive impartite dall'organismo abilitato.
-Il macellatore appone il timbro indelebile sulle cosce fresche ricavate dai suini pervenutigli
accompagnati dalla certificazione sopra descritta e dopo averne accertata la corrispondenza ai
requisiti indicati nella precedente scheda B.
-Il timbro riproduce il codice di identificazione del macello presso il quale è avvenuta la
macellazione.
-Il macellatore è tenuto a munire ogni singola partita di cosce fresche sulle quali ha
provveduto ad apporre il timbro di cui al presente punto di un esemplare o di una copia della
certificazione rilasciata nelle forme previste precedentemente.
-Qualora la certificazione originariamente rilasciata dall'allevatore si riferisca a suini le cui
cosce vengano destinate a diversi stabilimenti e, comunque, a separate forniture, il
macellatore è tenuto a trasmettere al prosciuttificio, per ogni singola consegna di cosce
fresche sulle quali è stato apposto il timbro di cui sopra, copia della certificazione stessa
nonché eventuali altri documenti richiesti dall'organismo abilitato.
-I laboratori di sezionamento ricompresi nel circuito della produzione protetta sono tenuti ad
unire alla documentazione accompagnatoria delle cosce fresche destinate alla preparazione
del prosciutto di Parma fotocopia dei documenti previsti dalla vigente normativa
amministrativa e sanitaria, relativamente al trasferimento delle mezzene o degli altri tagli da
uno dei macelli riconosciuti, nonché copia della certificazione di cui sopra.
- I laboratori di sezionamento sono altresì assoggettati ai controlli.
- Solo le cosce fresche provenienti da macelli inseriti nel sistema dei controlli munite del
timbro indelebile ed accompagnate dalla richiesta documentazione, possono essere avviate
alla produzione protetta del prosciutto di Parma.
- Per ogni operazione di introduzione di cosce fresche destinate alla preparazione del
prosciutto di Parma presso uno stabilimento riconosciuto, un incaricato dell'organismo
abilitato verifica la documentazione sanitaria di accompagnamento nonché quella di cui ai
precedenti punti e accerta:
a) gli allevamenti ed il macello di provenienza, l'eventuale laboratorio di sezionamento e
la data di spedizione allo stabilimento di lavorazione;
b) il numero delle cosce fresche munite dei timbri dell'allevamento e del macello;
c) l'assenza di trattamenti diversi dalla refrigerazione.
- All'atto della salagione sulle cosce fresche deve essere apposto un sigillo attestante la data di
inizio della lavorazione.
- Per ottenere l'apposizione del sigillo sulle cosce fresche, il produttore deve farne richiesta
all'organismo abilitato che, mediante i propri incaricati, controlla il corretto svolgimento di
tutte le operazioni.
- L'apposizione del sigillo è effettuata a cura del produttore, comunque prima della salagione,
in modo da rimanere visibile permanentemente.
- Il sigillo riporta l'indicazione del mese e dell'anno di inizio della lavorazione; tale data
equivale alla data di produzione ai sensi delle leggi vigenti in materia di vigilanza sanitaria
sulle carni.
- L'incaricato dell'organismo abilitato vieta l'apposizione del sigillo:
a) sulle cosce ritenute non idonee alla produzione protetta;
b) sulle cosce non accompagnate dalla prescritta documentazione e/o prive dei timbri
dell'allevamento e/o del macello;
c) sulle cosce che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120
ore.
- Qualora circostanze pregiudizievoli vengano accertate successivamente, il sigillo
eventualmente già apposto è rimosso a cura degli incaricati dell'organismo abilitato, che
redigono apposito verbale.
- Al termine delle operazioni di cui al punto precedente, viene redatto per ogni partita avviata
alla produzione protetta apposito verbale contenente le seguenti indicazioni:
a) gli estremi del documento sanitario di accompagnamento;
b) la data della salagione;
c) il numero ed il peso complessivo delle cosce fresche sulle quali è stato apposto il sigillo;
d) il numero ed il peso complessivo delle cosce ritenute inidonee od oggetto di contestazione;
e) il numero ed il peso complessivo delle cosce sulle quali non è stato apposto il sigillo
trattenute presso lo stabilimento, ovvero da rendere al macello conferente, ovvero da avviare
ad altro stabilimento.
- L'operazione di apposizione del sigillo deve risultare distintamente per ciascuna partita in un
apposito registro.
- Il verbale è redatto in duplice copia, di cui una è conservata presso lo stabilimento di
lavorazione e l'altra dall'organismo abilitato.
- L'incaricato dell'organismo abilitato può procedere all'identificazione delle cosce ritenute
non idonee e che non costituiscono oggetto di contestazione, in tutti i casi in cui lo ritenga
necessario, mediante l'applicazione di specifici contrassegni indicati a verbale.
- Durante le fasi della lavorazione, gli incaricati dell'organismo abilitato possono operare
controlli ed ispezioni sia per effettuare verifiche ed esami sulle carni, sia per accertare la
regolarità della tenuta dei registri e di ogni altra documentazione, sia per constatare che le
modalità di lavorazione corrispondano alle prescrizioni della legge e del relativo regolamento.
- In caso di contestazione, ovvero in caso di accertamenti il cui esito non sia immediato, gli
incaricati dell'organismo abilitato provvedono ad una speciale identificazione del prodotto.
- Gli incaricati dell'organismo abilitato presenziano all'apposizione del contrassegno,
accertando preliminarmente la sussistenza dei seguenti requisiti:
a) compimento del periodo minimo di stagionatura prescritto, previo esame dei registri, della
documentazione e del sigillo e computando nel periodo stesso il mese nel quale è stato
apposto il sigillo;
b) conformità delle modalità di lavorazione;
c) esistenza delle caratteristiche merceologiche prescritte dal presente disciplinare;
d) rispetto della osservanza dei parametri analitici.
-Gli incaricati procedono preliminarmente alla spillatura di un numero di prosciutti sufficiente
per ricavarne un giudizio probante di qualità; se necessario, possono effettuare l'ispezione del
prodotto, mediante apertura di prosciutti fino ad un massimo di 5 per mille o frazione di mille,
che restano a carico del produttore.
- Le caratteristiche organolettiche sono valutate nel loro insieme, potendosi operare una
compensazione solo per lievissime deficienze.
- Il contrassegno è apposto, anche in più punti, sulla cotenna del prosciutto in modo da restare
visibile fino alla completa utilizzazione del prodotto.
- L'organismo abilitato custodisce la matrice degli strumenti per l'apposizione del
contrassegno; gli strumenti devono recare ciascuno il numero di identificazione del produttore
e sono affidati dall'organismo abilitato ai propri incaricati in occasione dell'applicazione del
contrassegno sui prosciutti.
- L'incaricato dell'organismo abilitato compila, per ogni operazione di apposizione del
contrassegno, apposito verbale da cui risultino:
a) il numero dei prosciutti presentati per l'apposizione del contrassegno;
b) la data dell'inizio della lavorazione;
c) i riferimenti per l'individuazione del prodotto, riportati nello apposito registro;
d) il numero complessivo dei prosciutti sui quali è apposto il contrassegno e la data delle
relative operazioni;
e) il numero dei prosciutti ritenuti inidonei alla produzione protetta;
f) il numero dei prosciutti eventualmente oggetto di contestazione.
- I prosciutti oggetto di contestazione sono custoditi, con le cautele necessarie e con
l'apposizione di eventuali segni di identificazione per impedire la loro sostituzione e
comunque la loro manomissione, a cura dell'organismo abilitato che li affida in custodia al
produttore.
- Il produttore, al quale viene consegnata una copia del verbale, può farvi inserire sue
osservazioni e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo esame tecnico con l'intervento
della Stazione Sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma, con facoltà di
nominare un proprio consulente.
- I prosciutti non idonei alla produzione protetta sono privati del sigillo; l'operazione di
annullamento è compiuta a cura del produttore, alla presenza dell'incaricato dell'organismo
abilitato.
- Le operazioni di apposizione del contrassegno o di annullamento del sigillo devono essere
trascritte in un apposito registro.
- Il produttore deve tenere, per ogni singolo stabilimento, un apposito registro, suddiviso in
fogli mensili; le registrazioni devono essere effettuate nella parte mensile del registro
corrispondente al mese ed all'anno indicati nel sigillo.
- Il registro deve indicare:
a) il numero d'ordine progressivo e la data di ogni singola registrazione;
b) il numero delle cosce con l'indicazione della data di apposizione del sigillo e del macello di
provenienza;
c) il numero delle cosce con sigillo pervenute da altro stabilimento;
d) il numero delle cosce con sigillo inviate ad altro stabilimento;
e) il numero delle cosce dalle quali viene asportato il sigillo;
f) il numero dei prosciutti muniti di contrassegno, con l'indicazione del numero progressivo
del verbale e della data delle relative operazioni;
- Nel registro sono inoltre annotati, in apposita sezione, le decisioni, le osservazioni ed i
provvedimenti degli incaricati dell'organismo abilitato, relativi ad errori o ad irregolarità
riscontrati.
I compiti di controllo sono svolti da un organismo di controllo autorizzato conforme alle
norme EN 45011.
- Per quanto riguarda, in generale, l'attività di controllo volta ad accertare l'esatto
adempimento degli obblighi normativi da parte dei soggetti ricompresi nel circuito della
produzione protetta ed in particolare l'osservanza delle prescrizioni produttive, l'organismo
abilitato:
- fornisce agli allevatori i certificati pre-intestati e pre-numerati e ne controlla la corretta
gestione;
- fornisce ai macellatori il timbro indelebile numerato e ne controlla la regolare utilizzazione;
- fornisce ai produttori i sigilli metallici e ne controlla la regolare utilizzazione;
- fornisce ai produttori i registri vidimati di cui sopra;
- appone il contrassegno finale sui prosciutti che presentano tutti i requisiti richiesti;
- effettua controlli sul rispetto delle prescrizioni produttive presso gli allevamenti e i macelli;
- effettua controlli durante le fasi di lavorazione per verificare il costante rispetto della
normativa vigente e degli usi tradizionali.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA C
C.1: Delimitazione della zona di trasformazione
C.2: Delimitazione della zona di provenienza della materia prima
C.3: Estratto della legge 19 febbraio 1992 n°142
C.4: Raccolta esemplificativa di articoli attinenti:
- l'impiego del siero di latte e di cereali nella dieta del "suino pesante";
- le razze idonee e non alla produzione del "suino pesante";
- alcune ricerche sulle caratteristiche del tessuto adiposo di copertura nel "suino
pesante".
C.5: Segnalazioni bibliografiche sulla produzione del suino pesante italiano
C.6: Esemplare del certificato dell'allevatore
C.7: Direttiva sulle procedure per la compilazione e gestione dei certificati dell'allevatore
C.8: Esemplari di moduli di domanda per allevamenti e macelli
15
C.9: Esemplare di timbro numerato ("PP") del macello
C.10 Esemplari del sigillo
C.11: Esemplare di verbale di sigillatura
C.12: Esemplare di verbale di contrassegnatura (marchiatura)
C.13: Copia parziale del registro del produttore
C.14: Impronta della corona ducale
Altri documenti richiamati:
- legge n°26/90 (scheda A) - D.M. n°253/93 (scheda A)
SCHEDA D
ELEMENTI COMPROVANTI L'ORIGINARIETA' DEL PRODOTTO
NELLA ZONA GEOGRAFICA.
PREMESSA
Nella produzione agroalimentare italiana trovano spazio i prodotti che si distinguono per le
materie prime impiegate, per una forte caratterizzazione del processo produttivo ed infine per
la delimitazione della zona di produzione.
I prodotti tutelati per origine e tecniche di produzione sono sottoposti ad un complesso di
controlli che nel loro insieme garantiscono specifiche caratteristiche qualitative; a queste si
unisce un ulteriore elemento fondamentale, che scaturisce dal concatenarsi di elementi
naturali, ambientali ed umani, dovuti alle profonde relazioni che nel tempo si sono create tra
la produzione agricola e la trasformazione del prodotto.
Questo insieme di relazioni si compenetra e si evolve con la storia stessa delle persone e dei
luoghi che le hanno generate, ed è per questo che la descrizione storica, culturale, nonché
legislativa della nascita e del divenire di un prodotto alimentare rappresenta senz'altro il modo
migliore, forse addirittura l'unico, per descriverne la peculiarità che gli è propria.
L'indicazione degli elementi che comprovano che il prodotto è originario della zona
geografica richiamata dalla denominazione che lo designa, deve considerare necessariamente
l'articolazione della delimitazione fissata con la precedente scheda C. Infatti:
- il prosciutto di Parma è sicuramente originario della zona geografica indicata alla
precedente scheda C e le relative caratteristiche sono essenzialmente dovute all'ambiente
geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani; inoltre, come già indicato al precedente
punto C.2, la relativa trasformazione avviene esclusivamente nell'area geografica delimitata;
- nel contempo la materia prima utilizzata per la preparazione del prosciutto di Parma è
anch'essa originaria della zona geografica delimitata indicata alla precedente scheda C., dove
viene esclusivamente sviluppata la produzione e le relative caratteristiche sono dovute
essenzialmente all'ambiente, comprensivo dei fattori naturali ed umani.
IL MAIALE PADANO NEI TEMPI STORICI.
Il maiale è un animale abbastanza facile da domesticare, onnivoro e di agevole alimentazione.
Per questo motivo è da ritenere che il passaggio dalla selvaticità alla domesticazione sia
avvenuto più volte, in diversi luoghi, a partire da diverse razze suine, varietà e sottovarietà.
Per questo motivo ogni "regione culturale" ha il "suo maiale" ed a questo principio non fa
eccezione la Padania.
La domesticazione del maiale, in ogni area o regione culturale, è stata per lunghissimo tempo
parziale. Solo in tempi relativamente recenti il maiale è divenuto realmente un "maiale
domestico" e cioè completamente dipendente dall'uomo. Recentissimamente poi questa
16
dipendenza si è ulteriormente accentuata attraverso la tecnicizzazione degli allevamenti, con
la quale si è arrivati al maiale denominato "maiale tecnologico" o "maiale industriale".
Gli studi, le ricerche, nonché le testimonianze acquisite, fanno ritenere che, forse, il maiale è
stato domesticato in Europa, ma molto più probabilmente è stato importato già domestico
dall'Est e successivamente sono stati domesticati i suini europei autoctoni (il cinghiale ancora
esistente - noto come Sus scrofa ferus sarebbe il residuo di tali maiali). Comunque con incroci
tra il "Sus vittatus" di importazione e il "Sus scrofa" autoctono, il processo di domesticazione
del maiale ha interessato prevalentemente l'Europa mediterranea. E' infatti agevole constatare
che in epoca preistorica la domesticazione del maiale è avvenuta soprattutto nell'Italia del
nord (Alpi, Pre-Alpi, Pianura Padana) e questo in rapporto al tipo di vegetazione dominante.
Il maiale è infatti un animale "selvatico" che si alimenta largamente dei frutti della selva o
bosco come le ghiande.
Tutto porta quindi a ritenere che vi sia stato lo sviluppo di una semi-domesticazione nell'Italia
Settentrionale del maiale, tipica dell'area culturale padana, soprattutto in ambito della cultura
celtica.
Verosimilmente, quindi, nel lento passaggio tra la preistoria e la storia, nella Pianura Padana
esistevano più "tipi" di suini, differenziati più per le dimensioni e le abitudini che per altri
motivi. Tutti inoltre costituivano un'unica "specie" biologica con possibilità di reciproco
incrocio fecondo.
Il cinghiale (Sus scrofa ferus) viveva libero nei vasti terreni boschivi e/o paludosi della
pianura e nelle boscaglie delle colline e montagne, si alimentava dei frutti del bosco, in
particolare delle ghiande, ed era oggetto di caccia. Branchi di animali di relativamente grande
taglia e semidomestici, ma con continue possibilità di incrocio con i cinghiali, vivevano nelle
boscaglie attorno agli insediamenti umani; da questi branchi gli uomini prelevavano i giovani
per la macellazione. Maiali ancora più domestici e di minor taglia vivevano inoltre in stretta
vicinanza dell'uomo, nei suoi villaggi e abitazioni, in stretta "antropofilia", alimentandosi di
rifiuti.
Fin dagli inizi della civilizzazione umana il maiale assume quindi due aspetti: quello di
animale "di bosco" in opposizione quindi agli animali "di pascolo" come le pecore, e come
animale "di città".
Per quanto concerne l'allevamento del maiale in periodo etrusco e nella pianura padana, come
riferito anche da Dancer (1984) è necessario riferirsi a Polibio (Storie, XII, 4) ed a M.T.
Varrone (De Re Rustica, II, 4, 9).
Estremamente interessanti sono le recenti ricerche su di un insediamento etrusco a Forcello
(Bagnolo S. Vito, nei pressi di Mantova) eseguiti da Olivieri del Castillo (1990) e riguardanti
una città etrusca del V secolo a.C.. Tra i reperti ossei oltre il 60% riguarda il maiale. L'età di
macellazione dei maiali era verso i due, tre anni. Questo significa che gli Etruschi padani
praticavano un tipo di allevamento stabile e specializzato per la produzione di carne suina. Gli
studi effettuati dimostrano che si trattava di maiali di piccola taglia (65-75 centimetri di
altezza al garrese al momento della macellazione); erano allevati sia i maschi che le femmine.
Si tratta di maiali simili a quelli allevati in un'altra città etrusca padana, Spina, ed analoghi a
quelli di razze suine pre-romane, di altezza e robustezza sicuramente inferiori a quelli di razze
più antiche.
Quella ora tratteggiata è più o meno la situazione che nella Pianura padana si trova all'inizio
della dominazione romana, quando il già citato Polibio ricorda la estensione dei querceti e la
conseguente abbondanza di suini. Conferma ulteriore viene da Strabone secondo il quale
l'Emilia riforniva di carni suine e di maiali vivi tutta l'Italia: "Tanta è l'abbondanza di ghiande
raccolte nei querceti della pianura, che la maggior parte dei suini macellati in Italia, per le
necessità dell'alimentazione domestica e degli eserciti, si ricava da quella zona"(Polibio, II
secolo a.C.).
Nel periodo romano, e per questo possiamo riferirci a Columella, esistevano allevamenti
stanziali e "razionali" di maiali. Le scrofe con i loro maialini sono allevate in parchetti singoli,
nei quali Columella consiglia di mettere un gradino davanti a ogni cella. Che questo
espediente, atto ad impedire la uscita della scrofa, fosse "reale" è stato dimostrato dai reperti
archeologici nella fattoria di Settefinestre recentemente scavata in Toscana e descritta da
Carandini e Settis (1979). Si deve quindi ritenere che, almeno nelle fattorie più "moderne", i
Romani avessero attuato un allevamento razionale ed intensivo del maiale, nel quale
eseguivano una scelta dei singoli riproduttori e quindi una selezione, ed effettuavano
un'alimentazione guidata, seppure integrata dal pascolo, come appunto fa supporre l'artificio
del "gradino" per impedire o permettere l'uscita della scrofa dal suo parchetto.
La grande crisi agricola e demografica del III-IV secolo d.C. vide grandemente estendersi le
aree incolte e boschive e di conseguenza rilanciò l'allevamento brado e semibrado dei suini, a
scapito dell'allevamento degli animali pascolativi (ovini e bovini). Un'ulteriore spinta in
questa direzione venne dalle successive ondate di invasioni di popoli dell'Est e del Nord
Europa e decisiva fu soprattutto l'invasione Longobarda (anno 569), che a poco a poco diffuse
consuetudini economiche e alimentari diverse da quelle romane.
Nella Pianura Padana si diffusero le abitudini tipiche di una civiltà seminomade che sfruttava
soprattutto ciò che la natura offriva spontaneamente, e quindi utilizzava il bosco con i suoi
diversi frutti e "sottoprodotti": tra questi il maiale era uno dei più importanti (Baruzzi e
Montanari, 1981).
Nelle parti della Pianura Padana invase dai Longobardi (Longobardia da cui Lombardia)
l'allevamento del maiale subisce un ulteriore rafforzamento e si estende nei boschi, soprattutto
di querce.
La zona di Parma, Modena e tutto il Veneto sono comprese nella vasta area di cultura
longobarda del maiale.
Nel Medioevo fra le attività silvo-pastorali un rilievo tutto particolare aveva il pascolo dei
maiali, al punto che i boschi venivano "misurati" non in termine di superficie, ma di maiali.
Ad esempio si diceva "il bosco di Alfiano può ingrassare 700 porci" e con questa unica stima
si forniva il dato che si riteneva più utile (Baruzzi e Montanari, 1981). I branchi di maiali
erano "guidati" da un verro secondo le leggi longobarde, denominato "sonorpair" quando
comanda un gregge di almeno trenta capi, o da una scrofa detta "ducaria", sempre secondo le
leggi longobarde (Baruzzi e Montanari, 1981; Grand-Delatouche, 1968). I branchi di maiali
erano sotto la custodia di un porcaro molto spesso "legato" al territorio (servo della gleba) che
inoltre provvedeva ai maiali nei periodi di "difficoltà".
Ricoveri provvisori, denominati "porcaritie" dai documenti altomedioevali, venivano
approntati nei boschi quando il tempo si faceva inclemente. D'inverno i maiali venivano
riportati a casa, per brevi e provvisori periodi di stabulazione, durante i quali inoltre si
procedeva alla macellazione dei soggetti previamente ingrassati. Un significativo segno di
importanza del capo-porcaro (magister porcarius) risulta dall'Editto di Rotari del 653: la
somma che si pagava al loro proprietario, come risarcimento, qualora uno di questi venisse
ucciso o ferito, ha il valore più alto in assoluto, uguagliato solo da quello di un maestro
artigiano.
Sulla base della abbondante iconografia recentemente raccolta e discussa da Baruzzi e
Montanari (1981) i maiali padani medioevali erano magri e snelli, con gambe lunghe e sottili,
di colore scuro, rosso o nerastro, ma non mancavano anche animali con pelo più chiaro o
animali con "fasce", ad esempio del tipo della razza "cinta senese".
Il passaggio dal bosco al porcile avviene con la ripresa dell'agricoltura ed il connesso sviluppo
demografico che inizia nei secoli X-XI e continua, sia pure con alterne vicende, in
connessione all'estendersi dei territori destinati all'agricoltura ed alla sottrazione all'uso
comune dei boschi e delle selve acquisite dai ceti dominanti a favore della selvaggina "Res
regalis". Piero De Crescenzi, agronomo bolognese del XIII secolo, scrive che "si devono dar
loro le ghiande, le castagne e simiglianti cose, o le fave, o l'orzo, o il grano: imperocché
queste cose non solamente ingrassano, ma danno dilettevole sapore alla carne".
Con la comparsa della mezzadria (Roda, 1979-80) l'allevamento del maiale tende a
restringersi, ma soprattutto si modifica. Il contadino continua a tenere qualche animale
all'interno del podere al quale dedica tutta la sua attività non svolgendo più attività silvoforestali (Montanari, 1979 - Baruzzi e Montanari, 1981).
Tuttavia, come risulta da una relazione del Du Tillot della fine del 1700, relazione riguardante
il territorio di Parma e recentemente messa in luce e discussa da Dall'Olio (1983), in tale
periodo la produzione del maiale era ancora strettamente legata al pascolo ed alle ghiande,
così vi erano annate favorevoli a sfavorevoli in rapporto alla produzione di ghiande.
Sempre alla fine del 1700 il consumo di carne di maiale a Parma era relativamente elevato
(4.500 maiali circa macellati ogni anno, ad uso soprattutto dei monasteri e conventi) e si
propose di allestire due macelli per suini analoghi al Pelatoio di Bologna.
CENNI SULL'USO ALIMENTARE DEL MAIALE NELLA PADANIA.
Precise documentazioni dell'uso alimentare del maiale si hanno dallo studio dei reperti ossei
preistorici, davanti alle grotte o nei primi insediamenti umani (terramare). Etruschi, Galli (a
questo ultimo riguardo esiste la testimonianza di Ateneo) e soprattutto i Romani della Pianura
Padana usavano ampiamente le carni suine. A questo ultimo proposito, come ricorda Susini
(1960), poche comunità romane come quella bolognese hanno restituito un numero così
cospicuo di menzioni artigianali e professionali, e tra queste quella di "suarius". Bisogna
infatti ricordare che la funzione della città come incrocio tra la via Emilia e le strade
dell'Appennino e del Delta del Po cui forse conduceva una via d'acqua, aveva determinato, già
dalla fiorentissima età felsinea etrusca, il formarsi di un cospicuo ceto mercantile ed
artigianale. In modo analogo era avvenuto in altri centri lungo la via Emilia, ad esempio
Parma nella quale la via Emilia si incrocia con il Torrente Parma e con una via appenninica
che portava al mare Tirreno; una via, quest'ultima, che ebbe incremento con lo sviluppo del
porto di Luni e da questo le derrate alimentari prodotte nella zona di Parma arrivavano
agevolmente via mare fino a Roma.
Venivano macellati animali che difficilmente avevano meno di un anno di vita e le ossa
riportate alla luce dagli scavi archeologici appartengono il più delle volte ad animali uccisi fra
il primo e il secondo anno di vita, ma anche al terzo e perfino al quarto anno di vita (Marcuzzi
e Vannozzi, 1981; Barker, 1973; Tozzi, 1980). Il lungo periodo di allevamento era la
conseguenza delle caratteristiche genetiche delle razze allevate, ad alta rusticità ed a bassa
precocità e ad una alimentazione certamente non adeguata e ricca di carenze.
Il periodo dell'uccisione era per lo più nei mesi di novembre e dicembre, comunque sempre
nell'inverno (Marcuzzi e Vannozzi, 1981). Da un'ampia iconografia è anche nota la tecnica di
mattazione con stordimento tramite un colpo sulla testa e successiva iugulazione o colpo al
cuore; seguiva la raccolta del sangue e la successiva pulitura della pelle con fuoco ed acqua
bollente, apertura e divisioni in mezzene e successivamente in parti. I "tagli" erano destinati al
consumo fresco od alla conservazione.
NOTIZIE STORICHE SUI PROSCIUTTI PADANI
Una tecnica fondamentale di conservazione della carne era quella della salagione, la cui
origine si perde nella notte dei tempi, che certamente è stata "scoperta" più volte ed
indipendentemente, applicata su carni di tipo diverso, ma soprattutto su carni prodotte
stagionalmente, in particolare di maiale e di pesce. "Nulla è più utile del sale e del sole"
scriveva nel I secolo a.C. Plinio Il Vecchio e nel VII ripeteva Isidoro Di Siviglia. La prima
importante, anche se "indiretta", testimonianza di cosce salate di maiale (prosciutti o proto-
prosciutti) nella Pianura Padana la si ricava dalle già citate indagini archeologiche di Olivieri
del Castillo (1990) a Forcello (Bagnolo S. Vito di Mantova) e riguardante un insediamento
etrusco del V secolo a.C.. Infatti tra le numerosissime ossa di maiale ritrovate (circa 30.000
reperti!!) sono sorprendentemente rare quelle degli arti posteriori. Questo fatto non può essere
casuale e fa ritenere che le cosce di maiale fossero utilizzate altrove e quindi esportate,
ovviamente dopo essere state salate e quindi trasformate in prosciutti o "proto-prosciutti".
Non è escluso che questi prosciutti fossero esportati fino in Grecia, dove erano noti. Infatti
indizi sulla conoscenza del prosciutto nella Grecia Antica li ricaviamo anche dai termini usati
di kolia e perna (Aristofane: Plutus, Luciano: Lessifane XXXIV, 6).
I romani conoscevano bene il Prosciutto di maiale, che denominavano "perna" (Varrone, De
Lingua Latina) e che ritroviamo anche in una insegna di taverna (Tacca, 1990). E' anche da
ricordare Q. Orazio Flacco (Satira II, vv 116-117) e l'uso medicinale dell'osso di prosciutto
(Marcello Empirico - De medicamentibus fisycis razionalibus). Columella (I secolo d.C.) nel
suo De Re Rustica ricorda che "tutti gli animali, ma specialmente il maiale, devono essere
tenuti senza bere il giorno prima della macellazione, perché la carne risulti più asciutta...
Quando avrai ucciso il maiale... disossalo accuratamente; con questo si rende la carne salata
meno soggetta a decomporsi e più durevole.. salalo con del sale torrefatto.. e soprattutto
riempi di sale con tutta abbondanza quelle parti in cui sono state lasciate le ossa; dopo aver
predisposto le placche o i pezzi sopra dei tavolati, mettili sopra dei larghi pesi, in modo che
scolino bene. Al terzo giorno rimuovi i pesi e strofina diligentemente con le mani la carne
salata, quando poi la vorrai rimettere a posto, aspergila di sale sminuzzato e ridotto in polvere,
e riponila così; non tralasciare di strofinare tutti i giorni col sale finché sarà matura.
Se mentre si strofina la carne ci sarà bel tempo, la lascerai sotto sale per nove giorni; ma se il
cielo sarà nuvoloso, bisognerà portare la carne salata alla vasca dopo undici o dodici giorni:
dopo i quali prima si scuote il sale, poi si lava accuratamente con acqua dolce, in modo che da
nessuna parte rimanga attaccato del sale e dopo averla lasciata asciugare un poco, la
sospenderemo nella dispensa della carne, dove giunga un po' di fumo che possa asciugarla del
tutto, nel caso che contenesse ancora un po' d'acqua. Questo tipo di salatura si potrà fare
molto bene durante l'epoca del solistizio invernale, ma anche nei mesi di febbraio, prima però
delle idi". E' facile rilevare una serie di consigli tutt'ora validi: attenzione alle parti vicine
all'osso, uso di sale ben asciutto, schiacciamento per estrarre l'umidità, macellazione del
maiale durante il periodo freddo (dal 21 di dicembre a metà febbraio) e così via.
Tuttavia qui si parla di carni salate e poi in parte asciugate al calore del fuoco e non
affumicate, disossate, e non del "prosciutto crudo" quale ora lo intendiamo, ma con una
tecnica analoga a quella ancora attuale per quest'ultimo.
Per quanto riguarda la conservazione di cosce intere di maiale tramite "prosciugamento" (da
cui il termine di "perxuctus" o prosciugatissimo) bisogna arrivare a Catone Il Censore che
nella sua De Agricoltura (II secolo a.C.) indica che le cosce devono venir poste in un doglio a
strati, coprendo ogni strato ed il tutto con abbondante sale, avendo l'avvertenza che i pezzi
non si tocchino tra loro; dopo una permanenza di dodici giorni i pezzi di carne vengono tolti
dal sale, accuratamente lavati, fatti asciugare al vento secco per due giorni, quindi unti con
olio ed aceto, ed appiccati ad un palo nei pressi del focolare.
Anche in questo caso non vi è alcun affumicamento, ma soltanto un asciugamento favorito
dall'aria calda.
Nel Medioevo, quando abbiamo ulteriori e più precise informazioni, era diffusa l'abitudine di
tagliare il maiale a metà in senso longitudinale, costituendo due "mezene" da cui il termine
ancora diffuso di mezzena, di peso abbastanza limitato (Messedaglia, 1943-44) e che
venivano conservate tramite salagione.
Quando il maiale non veniva conservato intero, si salavano le parti più pregiate: coscia o
prosciutto e "gambuccio", "scamarita" (parte della schiena vicina alla coscia; Sella, 1937),
spalla. Non si salvano parti meno pregiate a causa dell'alto prezzo del sale.
L'importante ruolo del sale per la conservazione della carne come di altri alimenti tra cui pesci
e formaggi, ed equilibratore di una alimentazione umana prevalentemente vegetariana, quindi
ricca di potassio, mantenne sempre vivo un intenso commercio di questa derrata. Come anche
recenti autori hanno dettagliatamente descritto e discusso (Meyer, 1981) il sale delle saline
costiere (Venezia, Comacchio, Cervia) risaliva all'interno della Pianura Padana orientale,
soprattutto tramite le vie fluviali, lungo il Po ed i suoi affluenti. A causa del costo non tanto di
trasporto, quanto delle gabelle alle quali era sottoposto, appunto perché derrata alimentare
"indispensabile", si cercava di produrlo in loco sfruttando le miniere di salgemma ed in
particolar modo le sorgenti saline dell'entroterra.
La Pianura Padana, formatasi lentamente per sedimentazione, contiene nelle sue profondità e
racchiusi tra strati di argilla impermeabile notevoli quantità di sale marino fossile e per questo
acque e pozzi salati pullulano nella bassa pianura, sulle colline e nella montagna (Marenghi,
1963).
Famosi erano i pozzi di acque salse della collina parmense attorno ai paesi denominati
appunto Salsomaggiore e Salsominore (Baruzzi e Montanari, 1981; Bonatti, 1981). In questi
luoghi si svilupparono quelle che furono denominate "fabbriche del sale" che risalgono
probabilmente al tempo dei romani (Bonatti, 1981; Drei, 1939).
Evidentemente la lavorazione delle carni e la loro conservazione con il sale esigeva una
determinata tecnologia e fin dall'inizio del IX secolo il capitolare di Carlo Magno sulla
gestione delle Aziende Regie prescriveva che "Omino praevidendum est cum omni diligentia
it quicquid manibus laboraverint aut facerint, id est lardum, siccamen, sulcia, niusaltus...
omnia cum summo nitore sint facta vel parata".
Il maiale produceva una derrata che doveva servire per una intera annata. Accanto alle parti
da conservare a lungo, le preparazioni salate, ve ne erano altre da utilizzare immediatamente
(frattaglie, sangue...) ed altre a "media conservazione", costituita dagli insaccati, fra cui si
ricordano i salami, i cotechini, gli zamponi, i cappelli da prete, le bondiole e così via.
Da quanto esposto è facile individuare, nella Pianura Padana, una antichissima "vocazione"
suinicola, che è stata intensificata dalla dominazione longobarda. In questa vasta "area", fin
dai tempi molto antichi, si sono sviluppate alcune tecnologie di conservazione delle carni, ad
esempio la salagione. Contemporaneamente si è avuta una quasi infinita serie di "varianti",
per le quali non è possibile individuare singole origini e motivazioni storiche. Una di queste è
per esempio tipica dell'area bolognese e risalente almeno al periodo romano. Con la finissima
triturazione delle carni e del grasso, si ottiene un impasto da conservare tramite l'aggiunta di
sale e spezie ed eventualmente tramite cottura (mortadella), da consumare cruda (salsicce e
salami) o dopo cottura (cotechini e zamponi). Più ad Ovest, in una zona in cui erano presenti
affioramenti di sali iodati con bromo e piccole quantità di salnitro (Marenghi, 1963), si
sviluppa la tecnologia di conservazione di cosce di maiale di dimensioni medie, ma
soprattutto elevate, con la sola salagione e la loro "asciugatura" in ambiente asciutto come
indicato da Catone Il Censore.
Con la rivoluzione agraria dell'inizio di questo millennio la Pianura Padana fu disboscata e
contemporaneamente le acque vennero regolate: il coltivo prese il sopravvento sull'incolto e
di conseguenza il maiale al pascolo ridusse sempre più la sua importanza, ma trovò una nuova
opportunità: il siero di latte derivato dalla produzione dei formaggi, soprattutto nelle zone di
produzione del Formaggio Grana (Parmigiano-Reggiano, Grana Padano) e di altri formaggi,
come nel Veneto. La rivoluzione agraria, se ridusse e fece scomparire gran parte degli animali
che sfruttavano l'incolto, non influì sul maiale, che anzi se ne avvantaggiò, come risulta ad
esempio dalle opere di Tanara (1965) e di Landi (1969). La evoluzione della alimentazione
del maiale padano alla fine del XIX secolo si associò alla modifica delle popolazioni suine,
con la introduzione delle "razze bianche" inglesi, di buona taglia e particolarmente vocate alla
produzione di grasso. Caratteristiche queste che influirono positivamente sulla taglia del
prosciutto da stagionare.
Nonostante i cambiamenti avvenuti nella alimentazione e nelle popolazioni di maiali allevati,
rimasero assolutamente costanti alcune caratteristiche indispensabili per la produzione di un
prosciutto crudo (stagionato) di tipo padano:
- accrescimento corporeo "lento" e quindi macellazione di maiali "maturi" e non con carni
"giovani";
- peso "elevato" dell'animale, ma soprattutto della coscia e buona copertura di grasso
sottocutaneo anche a livello della coscia.
La salagione delle carni di maiale ed in particolare dei tagli più pregiati, come le cosce e
quindi il prosciutto, è sempre stata presente nella Pianura Padana fino ai giorni nostri.
Una tecnologia di conservazione fondamentalmente unitaria e che ha avuto una
differenziazione territoriale importante secondo anche alcune fondamentali caratteristiche
climatiche ambientali e che ha portato ad una distinzione tra allevamento e stagionatura dei
prosciutti.
CONCLUSIONI SUL PROSCIUTTO PADANO.
Allevamento dei maiali
In tutta la Padania l'allevamento del maiale ha sempre prevalentemente interessato la parte
pianeggiante e collinare. Inizialmente perché coperta da querceti che fornivano le ghiande con
cui il maiale, onnivoro, veniva prevalentemente ingrassato. Successivamente l'allevamento e
l'ingrasso si basarono sui prodotti derivati dall'allevamento di bovini (siero di latte) ed altri
vegetali, come il grano turco (mais). L'allevamento è quindi sempre stato prevalentemente di
pianura od al massimo di collina.
Stagionatura dei prosciutti
La salatura delle carni è possibile in qualsiasi ambiente che abbia talune caratteristiche di
temperatura ed umidità. Non a caso la tradizione riservava la macellazione del maiale e la
lavorazione delle sue carni al periodo dicembre-febbraio e gli stessi Autori antichi sopra citati
davano periodi di salagione diversi a seconda delle condizioni climatiche. Diversamente è per
quanto concerne la successiva "stagionatura" che necessita di un ambiente non
eccessivamente umido. In questo contesto di ambiente non eccessivamente umido si
comprende come la stagionatura dei prosciutti di maiale nella Padania si sia sviluppata nelle
colline che circondano la pianura: verso Sud nelle colline parmensi (anche per la locale
disponibilità di sale) e successivamente modenesi, verso Nord e nella parte veneta della
padania. La stagionatura è quindi una attività delle zone collinari od immediatamente ai loro
piedi, dove sia possibile avere un clima non eccessivamente umido, soprattutto durante l'estate
successiva alla macellazione del maiale. La stagionatura infatti deve permettere di mantenere
il prosciutto per almeno un anno. Vi era un detto che "per avere un prosciutto padano il maiale
aveva dovuto passare due inverni ed il prosciutto due estati": un maiale "maturo" ed un
"prosciutto maturato".
Una chiara linea unisce quindi il prosciutto padano dalle sue origini (probabili nel V secolo
a.C.; certe nel II secolo a.C.) ad oggi con una precisa distinzione e caratterizzazione dei:
* territori di allevamento: bassa pianura;
* aree di stagionatura: pre-collinare e collinare;
* tipologia del maiale: "maturo" e con sufficiente grasso sottocutaneo;
* trattamento con limitata quantità di sale (prosciutti "dolci") in conseguenza della "maturità
del maiale";
* assenza di altri trattamenti "conservativi" e soprattutto del fumo;
* possibilità di una lunga stagionatura (e quindi di una naturale, elevata aromatizzazione) in
conseguenza della "maturità del maiale", limitata quantità di sale e caratteristiche ambientali
di stagionatura.
La lunghissima storia dei Prosciutti Padani testimonia della loro origine comune, strettamente
legata alla unità ambientale e culturale della Padania. Le particolari caratteristiche di un
allevamento di pianura e di stagionatura collinare e precollinare, unitamente alle
caratteristiche qualità del maiale che, nonostante le modificazioni di popolazioni e di
alimentazioni, hanno mantenuta intatta la "maturità", il peso relativamente "elevato" e una
certa copertura di grasso sottocutaneo. Tutti questi elementi sono indispensabili per una
"lunga stagionatura", ma ancor più per una ridotta quantità di sale che condiziona una elevata
aromatizzazione naturale del Prosciutto.
La indubbia "unicità" del Prosciutto Padano non ha però impedito che si siano potute avere
delle "modulazioni", alcune delle quali ben definite e con una più o meno lunga storia
(Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele, Prosciutto di Modena, Prosciutto Veneto).
Questa "modulazione" ha interessato diversi caratteri, ad esempio la forma del prosciutto, ma
soprattutto la entità e la qualità della sua "aromatizzazione naturale" derivata dai processi
maturativi endogeni, guidati da:
* qualità (maturità) dei maiali allevati;
* ambiente di maturazione;
* tecnologia di produzione.
PROSCIUTTO DI PARMA
Sulla vocazione salumiera di Parma abbiamo diverse note storiche che riguardano il
Prosciutto, ma anche altri salumi a lunga stagionatura (ad esempio il Culatello o Culattello).
Nella "Secchia Rapita" di A. Tassoni pubblicata nel 1622, durante il Concilio degli Dei il
"cuoco maggiore" è Mastro Presciutto ("traduzione" del dialetto Persutt o Parsutt).
Abbastanza chiara è l'origine del termine "prosciutto": si tratta di carne "prosciugatissima" o
"perxuctus".
La spalla - e con questo ci riferiamo alla "Spalla di S. Secondo", un paese vicino a Parma e
posto nella pianura nelle vicinanze del Po - è costituita da una porzione di maiale abbastanza
grossa, corrispondente appunto alla spalla, che viene conservata per un limitato periodo di
tempo con la salagione e l'essiccazione, e che prima dell'uso viene cotta. La sua presenza è
documentata nella zona fin dalla fine del 1100, come riportano sia l'Allodi che il Drei sulla
base delle loro ricerche nelle Carte degli Archivi Parmensi, dove la spalla, oltre che come
"spalla", viene anche indicata con il termine latino di "spatulam".
Il culatello, che pure è tradizionalmente prodotto nella parte più bassa della provincia di
Parma, è costituito da una parte della coscia di maiale, conservata con la sola salagione
(limitata!) e l'essiccazione all'aria. La sua presenza è documentata fin dal 1322: Bonaventura
Angeli, nella sua Historia della Città di Parma della fine del 1500, ricorda che al principesco
sposalizio avvenuto nel 1322 fra Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanvitale
erano presenti, quali doni dei Marchesi Pallavicino di Busseto e dei Conti Rossi di Zibello
cugini degli sposi, degli "eccellentissimi culatelli".
La citazione di questi due salumi parmensi e soprattutto del Culatello o Culattello (da
"culatta"), prodotto nella pianura e quindi in ambiente umido - è d'obbligo in quanto può
permettere di intuire i rapporti di tecnologie tra la pianura (Culatello) e la collina e precollina
(Prosciutto) e quindi meglio comprendere la evoluzione nella produzione del Prosciutto di
Parma, ma soprattutto lo stretto legame con il territorio.
E' infatti ipotizzabile che l'esperienza accumulata nei secoli con la "lavorazione" della spalla,
ma soprattutto del culatello, abbia dato origine al Prosciutto di Parma, scarsamente salato e
quindi "dolce", quando questa lavorazione sia stata "tentata" con successo in un'area
ambientale favorevole per la scarsa umidità. Nelle colline parmigiane era presente un tale
ambiente ed era possibile l'incontro tra la tecnologia della pianura ed il sale di Salsomaggiore.
Circa il prosciutto di Parma vi sono numerose notizie storiche che riguardano diversi aspetti:
* Allevamento del maiale a Parma.
Oltre alle notizie generiche e comuni per tutta la Pianura Padana, l'allevamento del maiale è
fortemente inserito nella tradizione parmigiana, come documentato anche da modi di dire e
proverbi dialettali. Per l'allevamento di questo animale e le relative tecniche sono inoltre da
ricordare le seguenti pubblicazioni:
- Landi, O. "Commentario delle più notabili e mostruose cose d'Italia." -Venezia, Bariletto,
1569;
- Manoscritto di Anonimo del secolo XVIII sull'Agricoltura (1744);
- Spaggiari, P.L. "Insegnamenti di Agricoltura parmigiana del XVIII sec."
- Silva, Parma, 1964.
- Anonimo "Trattato sopra i Majali" dedicato a Sua Eccellenza Mederico-Luigi-Elia Moreau
Saint-Mery;
- Jacini, S. "Relazione finale sui risultati dell'inchiesta agraria" - 1884;
- Rozzi, U. "L'allevamento suino in provincia di Parma" - 1932;
- Rozzi, U. "I suini" - Parma, 1937;
- Cassella, P. e O. "Manuale per l'allevamento del maiale" - 1880;
- Lemoigne, A. "Torniamo all'antico?" - Parma, 1893;
- Strobel 1844.
* Produzione e commercializzazione del Prosciutto di Parma.
Diverse notizie storiche riguardano il Prosciutto di Parma e tra queste sono da segnalare le
seguenti.
- 1309: Statuto dei Beccai, ASP, Fondo Comune, Sez. 1, Serie XXII b. 1959. (citazione del
prosciutto, denominato "bassa")
- 1386: Pacta ordines et statuta dacy douane salis (1386) (ASP comune, b. 1765) cit. A. Tacca
- Perna et Parma, 1990) - (prima citazione del Prosciutto di Parma)
- 1440 circa: Dall'Olio, E. "Sagre, mercati e fiere di Parma e Provincia", 1979
- 1589: Menù nozze Marcantonio Colonna -Orsina Peretti (Furositto, R.-aggiunta al
"Trinciante" del Cervio - Roma, Burchioni, 1953).
- 1503-1545: (censimenti) Consumi di sale pro-capite nella pianura e collina parmense
(da A. Tacca - Perna et Parma, 1990)
- 1500-1600-1700: Calmieri e "Gridari" diversi sui prezzi degli alimenti (tra i quali il
Prosciutto con osso e senza osso)
- 1768-1799: Acquisti di Prosciutto dalla Corte Borbonica (A. Tacca, 1990)
- 1700 (prima metà): Situazione delle Miniere del Sale nel parmense - Di Noto, S. (a
cura di) "Le Istituzioni dei Durati Parmensi nella Prima Metà del Settecento", 1980 (pag. 164
e seg.)
- 1700: (come risulta da una relazione del Du Tillot della fine del 1700) Relazione
riguardante il territorio di Parma e recentemente messa in luce e discussa da Dall'Olio (1983),
in tale periodo la produzione del maiale era ancora strettamente legata al pascolo ed alle
ghiande, così vi erano annate favorevoli e sfavorevoli in rapporto alla produzione di ghiande.
Sempre alla fine del 1700 il consumo di carne di maiale a Parma era relativamente elevato
(4500 maiali circa macellati ogni anno, ad uso soprattutto dei monasteri e conventi) e si
propose di allestire due macelli per suini analoghi al Pelatoio di Bologna.
- 1899: Micheli, G. "Le Corporazioni Parmensi d'arti e mestieri" - Battei, Parma, 1899
- 910: Distribuzione del sale Salsomaggiore (A. Tacca, 1990, pag. 136)
- 1860-1915: Prime Ditte che si occupano della produzione del Prosciutto di Parma
(Relazioni e Bollettini Camera di Commercio e d'Arti della Provincia di Parma - Cataloghi
Esposizioni)
- 1937: Bianchi, M. "Le specialità della nostra industria salumiera (1937, p. 96).
* Caratteristiche morfologiche
Sulle caratteristiche morfologiche (dimensioni, conformazione, ecc..) del Prosciutto di Parma
nel passato sono molto importanti le nature morte che lo rappresentano. Una di queste - che
rappresenta un Prosciutto di Parma perfettamente riportabile a quello tradizionale ed attuale -
è la natura morta del XVII secolo di N. Levoli (Natura morta con prosciutto, olio su tela,
Parma, collezione privata - cit. A. Tacca - Perna et Parma, 1990).
Sulla base della documentazione disponibile è possibile riconoscere che per quanto concerne
la produzione del Prosciutto di Parma si ripete lo schema degli altri prosciutti padani e cioè
l'allevamento dei maiali nelle zone pianeggianti della pianura padana e la stagionatura dei
prosciutti nella zona pedecollinare e collinare.
E' inoltre stabilito quanto segue:
* l'allevamento del maiale è una antica tradizione parmigiana che si riallaccia a quella celticalongobarda padana;
* l'allevamento del maiale ha avuto soprattutto dal 1700 in avanti l'attenzione sia delle
istituzioni pubbliche che dei privati;
* l'allevamento del maiale nel parmigiano ha interessato tutto il territorio di pianura,
sfruttando i querceti e le ghiande da questi prodotte (allevamento semibrado).
Successivamente vi è stata l'utilizzazione del siero di latte e quindi, uno stretto collegamento
tra l'allevamento del maiale ed il caseificio per la produzione del formaggio ParmigianoReggiano;
* la salagione delle carni di maiale nel territorio parmigiano ha una antica tradizione, con la
produzione di prodotti rinomati già alla fine del 1300, anche per la disponibilità delle locali
"miniere di sale";
* la produzione del Prosciutto di Parma (come degli altri prodotti salumieri parmigiani)
esclude nel modo più assoluto l'uso del fumo o di altri procedimenti conservativi, ad
esclusione del sale e del controllo dell'umidità e della temperatura ambientale;
* il Prosciutto di Parma è citato già nel 1300 ed una buona bibliografia ne accerta la
continuità produttiva e commerciale;
* le caratteristiche morfologiche del Prosciutto di Parma nel passato e soprattutto la sua
dimensione sono ricavabili da nature morte di pittori che hanno operato a Parma;
* la industrializzazione della produzione del prosciutto di Parma è passata attraverso una fase
di artigianato che ha mantenuto le caratteristiche tradizionali del prodotto.
EVOLUZIONE DELLA ATTIVITA' DI STAGIONATURA DEL PROSCIUTTO DI
PARMA DAI PRIMI DEL 1900.
E' con l'inizio del XX secolo che il prosciutto del Parmense comincia a costruirsi
pazientemente la sua grande fama anche dal punto di vista commerciale, dato che proprio in
quegli anni si crearono i presupposti che favorirono due eventi di fondamentale importanza
per lo sviluppo del comparto:
- introduzione nel processo produttivo della cella frigorifera;
- primi passi di un cambiamento di indirizzo produttivo, consistente nella installazione
dei primi stabilimenti attrezzati per la stagionatura di ingenti quantità di prosciutto.
Nel periodo antecedente l'adozione delle celle frigorifere, gli uomini impegnati nella
stagionatura dei prosciutti, sfruttando abilmente - come detto - l'andamento stagionale dei
mesi invernali (nei mesi caldi la lavorazione delle carni fresche non poteva avere luogo causa
le elevate temperature), portavano a maturazione un numero di prosciutti sufficienti ai bisogni
locali ed alle prime richieste del mercato di Parma.
Questi stagionatori fondavano il loro lavoro su cognizioni empiriche. C'erano infatti
inquietanti incognite e aspetti imprevedibili nella lavorazione del prosciutto. Scoprire e
colpire la radice dei mali che insidiavano il processo di maturazione voleva dire assicurare
l'avvenire al prodotto; in questo senso operarono i pionieri del settore, quelli che tentarono
ogni strada pur di arrivare alla meta. Di quelle esperienze compiute agli inizi del 1900 dà
attendibile testimonianza, forse l'unica, Guglielmo Bonati, che nelle sue memorie descrive la
tecnologia adottata in quel momento e le prospettive per l'avvenire del comparto. Erano i
giorni che precedevano l'avvento dei frigoriferi, con i quali si pensava sarebbe stato scritto un
nuovo capitolo della "stagionatura" del prosciutto, poiché consentivano la conservazione delle
cosce fresche anche nei mesi caldi. Viceversa, al dire del memoriale, i frigoriferi "non
portarono che mali peggiori dei primi" in quanto le immediate esperienze, costituirono una
grande delusione, un sogno svanito ben presto.
Nella storia del prosciutto di Parma furono scritte, proprio in quel periodo, pagine difficili, per
il verificarsi di tracolli di aziende nate e cresciute nel settore, con la perdita di capitali ingenti.
La tecnica della salagione era nota a tutti, ma non altrettanto gli accorgimenti per ovviare ai
malanni lungo il corso della maturazione, e non c'erano scuole in tutto il mondo in grado di
insegnare tale disciplina. Ci vollero anni per individuare la natura di tali mali, e dopo tentativi
di vario genere, emerse che il fattore principale non era il freddo, bensì l'umidità; pertanto,
disciplinare la temperatura per non lasciare spazio alcuno all'umidità, fu il campo di battaglia
di tutti gli stagionatori.
I consigli produttivi contenuti nelle memorie del Bonati (52 anni di esperienze), erano a quei
tempi senz'altro coraggiosi e lungimiranti, tornando utili a chi vi prestò fiducia. Al periodo
compreso tra le due guerre si possono ascrivere talune acquisizioni rilevanti, e precisamente,
la formazione di un'alta specializzazione nella lavorazione del prodotto, dovuta alla lunga
esperienza degli stagionatori, ed il consolidarsi di patrimoni aziendali che contribuirono,
insieme ad altri fattori, alla successiva espansione produttiva del settore.
Per quanto riguarda invece il secondo evento fondamentale, il mutamento di indirizzo
produttivo, occorre sottolineare come la stagionatura del prosciutto iniziò ad assumere le
caratteristiche di attività economica di un certo peso intorno agli anni '20, anche se fino al
secondo dopoguerra la ristrettezza del mercato, dovuta ai limitati consumi interni non
bilanciati da correnti di esportazione, fu un dato che venne a condizionare la politica
produttiva dell'epoca, politica essenzialmente di adattamento. I primi stagionatori, insediati
prevalentemente a Langhirano e Collecchio, operavano su scala familiare e con prevalente
utilizzo di mano d'opera stagionale. Negli anni '50, però, la diffusione di condizioni agricole e
zootecniche più favorevoli, unitamente all'aumento dei redditi individuali, ridotti di molto e
quasi annullati durante la guerra, contribuirono a modificare quella statica situazione che
aveva contraddistinto il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. In particolare, mentre lo
sviluppo dell'attività casearia, legato alla produzione del formaggio parmigiano, diede alla
suinicoltura un notevole impulso in virtù di una nuova e più razionale alimentazione costituita
dai sottoprodotti di caseificio e dai cascami di cereali, gli incrementi dei redditi individuali,
partendo da soglie assai modeste, provocarono una espansione della spesa in beni di consumo,
specie alimentari, ed un innalzamento generale dello standard di vita della popolazione.
Conseguentemente, si registrò un ampliamento dimensionale e spaziale del mercato, per cui
vennero incrementati i contatti con le province limitrofe e, gradatamente, attraverso una
capillare espansione, il prodotto cominciò ad essere apprezzato non solo su tutto il territorio
nazionale, ma anche oltre frontiera.
La nuova ampiezza del mercato, tuttavia, mal si combinava con le modeste dimensioni delle
singole imprese, caratterizzate da una gestione strettamente familiare. Se in passato, però, tale
conduzione aziendale, stante i modesti volumi di prodotto e la stazionarietà dell'assorbimento,
aveva potuto affrontare la domanda senza un particolare assetto organizzativo, l'attuale attività
produttiva, che nel frattempo si era portata a livelli decisamente elevati e che trovava il suo
sbocco in mercati sempre più ampi e dinamici, non poteva seguire i vecchi schemi, ma
doveva utilizzarne dei nuovi.
Alcuni operatori, sentendo questa necessità, potenziarono - grazie anche agli apporti del
risparmio privato - le imprese esistenti o ne costituirono delle nuove, favorendo, così, il
progressivo avvicinamento delle stesse verso maggiori volumi produttivi, nonché il graduale
abbandono del cliché familiare che, da sempre, le aveva caratterizzate. Simili trasformazioni
non operarono, però, sull'intero numero di aziende del settore, poiché la maggior parte di esse
mantenne la fisionomia originaria: in ogni caso, l'incidenza dei cambiamenti fu tale da
imprimere una rilevante dinamica all'evoluzione del comparto.
In seguito all'espansione del mercato e all'aumento dei consumi, l'attività di stagionatura dei
tradizionali centri della fascia pedemontana (Langhirano, Collecchio, Felino e Sala Baganza),
iniziò a diffondersi lungo le vallate della Provincia. E' noto, infatti, che i risparmi, formatisi
nelle zone limitrofe alle citate località, affluirono agli stagionatori sotto forma di mutui o di
conferimenti di prosciutti freschi per la lavorazione, per cui le considerevoli prospettive
economico-commerciali e la sperimentata possibilità ambientale, favorirono la trasformazione
in imprenditori da parte di coloro che, in precedenza, avevano proficuamente investito nel
settore.
Di qui alcune delle ragioni della diffusione dell'attività industriale anche in zone diverse da
quelle usuali: alla stagionatura dei prosciutti, si interessarono, infatti, i Comuni di Corniglio,
Neviano e Palanzano (confluenti su Langhirano), di Calestano (confluente su Felino e Sala
Baganza) di Varano, Pellegrino, Traversetolo, Montechiarugolo, confluenti su altri centri
della pedemontana.
Nel 1963 fu fondato da un gruppo di 23 Aziende di stagionatura il Consorzio Volontario fra i
Produttori del Prosciutto Tipico di Parma.
Le finalità di base di tale Ente miravano, in sostanza, a difendere, distinguere e garantire la
produzione ed il commercio del prosciutto tipico, tutelare il nome "prosciutto di Parma" da
abusi del nome, imitazioni, contraffazioni, atti di concorrenza sleale in danno del prodotto
autentico, ottenere il riconoscimento giuridico del nome Prosciutto di Parma, ossia una legge
di tutela della denominazione di origine.
Tale legge fu effettivamente emanata nel 1970 ed il seguito è storia contemporanea.
CONCLUSIONI
Sulla base delle notizie archeologiche, storiche, linguistiche, delle tradizioni e della
iconografia esistente, nonché delle conoscenze scientifiche di biologia, allevamento del
maiale e tecnologie di trasformazione degli alimenti, in particolare della conservazione delle
carni tramite la salagione, è possibile riconoscere quanto segue.
Da un punto di vista sociale e culturale, ma soprattutto delle esperienze di produzione
sviluppate e conservate dalla tradizione, la Padania costituisce una "unità" anche per quanto
riguarda l'allevamento del maiale e soprattutto la lavorazione di alcune sue parti di grande
pregio, come la coscia dalla quale si origina il prosciutto.
La "unità" padana ha dato origine ad un unico "modello" di addomesticamento e allevamento
del maiale e di produzione di prosciutto stagionato. Questo "modello" nel tempo si è
successivamente differenziato dando origine alle "modulazioni" che oggi corrispondono al
Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele, Prosciutto di Modena, Prosciutto Veneto.
Per quanto attiene al Prosciutto di Parma, è stato attestato che la applicazione delle tecniche
arcaiche di produzione, sopravvissute nella sostanza nel corso dei secoli - anzi arricchitesi
sempre più di esperienze personali ereditate da ogni epoca - ed evolute in parallelo con il
complesso dipanarsi delle situazioni storiche, economiche e sociali, non ha conosciuto
soluzioni di continuità; ciò dimostra come le peculiari caratteristiche qualitative del prosciutto
di Parma siano essenzialmente ed intimamente collegate - anzi da essi dipendono - con
insostituibili ed irriproducibili fattori naturali, ambientali ed umani.
Ulteriore conferma delle suddette conclusioni potrà essere tratta dalla analisi storica e dalle
indicazioni considerate nella seguente scheda F che riprende e sviluppa gli argomenti trattati
con peculiare riferimento al legame con l'ambiente geografico.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA D
Bibliografia dei testi contenenti notizie storiche riguardanti diversi aspetti del Prosciutto di
Parma in particolare l'allevamento del suino nella pianura Padana ed a Parma. La produzione
e la commercializzazione del prosciutto di Parma.
Copia di "Avviso per la notificazione delle carni suine salate e contrattazione all'ingroffo delle
medefime" pubblicato dal Governatore di Parma il 21 aprile 1764, in cui figura anche il
prosciutto con l'osso ("prefciuto con l'offo").
Copia di un estratto del "vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla"
di Lorenzo Molossi, stampato nel 1832/34, in cui si trova un esplicito riferimento
all'allevamento dei "Porci" per la produzione di prosciutti crudi.
Copie di alcune pagine del bollettino della Camera di commercio di Parma risalente al 1915
in cui compare, nella classe merceologica dei salumi, il "prosciutto vecchio".
Estratto del registro delle ditte della Camera di commercio di Parma da cui risulta la
costituzione, negli anni 20 e 30, di aziende produttrici di prosciutto.
SCHEDA E
METODO DI OTTENIMENTO DEL PROSCIUTTO
I metodi di ottenimento del prosciutto di Parma sono contemplati dalla Legge della
Repubblica Italiana 13 febbraio 1990 n° 26 e dal Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n.°
253 e da ultimo sono stati riconosciuti dal Regolamento CEE n. 1107 del 12.06.96. Sono
confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima illustrate nelle
precedenti schede B e C.
La lavorazione del "Prosciutto di Parma", prevede 9 fasi:
1. Isolamento
2. Raffreddamento
3. Rifilatura
4. Salagione
5. Riposo
6. Lavatura-Asciugatura
7. Pre-stagionatura - Toelettatura
8. Sugnatura
9. Sondaggio-Stagionatura
Isolamento
Il maiale deve essere:
- sano - riposato - digiuno da 15 ore
In presenza di queste condizioni si procede alla macellazione, in seguito la coscia viene
isolata dalla mezzena.
Raffreddamento
Il prosciutto isolato viene portato in apposite celle di raffreddamento per 24 ore:
- per portare la temperatura della coscia da 40 °C. a 0 °C.;
- perché il freddo rassoda la carne che può essere rifilata più facilmente.
Durante la fase di raffreddamento il prosciutto subisce un calo di peso pari ad almeno 1%.
Rifilatura
Attraverso la rifilatura, asportando grasso e cotenna, si conferisce al prosciutto la caratteristica
forma tondeggiante a "coscia di pollo".
La rifilatura si esegue per due motivi, uno prettamente estetico, l'altro tecnico, favorisce infatti
la salagione.
Durante questa operazione vengono scartate le cosce che presentano imperfezioni anche
minime.
Con la rifilatura la coscia perde grasso e muscolo per un 24% del suo peso.
Le cosce impiegate per la produzione del prosciutto di Parma non devono subire, tranne la
refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione.
Salagione
La coscia raffreddata e rifilata viene avviata dai macelli agli stabilimenti di salagione; è molto
importante che questa operazione sia effettuata su cosce con temperatura giusta e uniforme;
infatti, una coscia troppo fredda assorbe poco sale, mentre una coscia non sufficientemente
fredda può subire fenomeni di deterioramento. La salagione avviene usando sale umido e sale
secco: le parti della cotenna sono trattate con sale umido, mentre le parti magre vengono
cosparse con sale secco.
Non vengono utilizzate sostanze chimiche, conservanti o altri additivi, né si fa ricorso a
procedimento di affumicatura.
I prosciutti vengono posti in una cella frigorifera ad una temperatura variante fra 1 e 4 °C.,
con un'umidità dell'80% circa. Dopo 6/7 giorni di permanenza in questa cella, detta di primo
sale, i prosciutti vengono ripresi, puliti dal sale residuo e infine sottoposti ad una leggera
passata di sale, per poi tornare in una nuova cella frigorifera, detta di secondo sale, e restarvi
per 15/18 giorni a seconda del loro peso.
Durante questo periodo il prosciutto assorbe lentamente il sale e cede parte della sua umidità.
Al termine di questo periodo di salagione la perdita di peso è del 3,5/4% circa.
Riposo
Dopo aver eliminato il sale residuo, i prosciutti vengono posti in cella di riposo per periodi
variabili da 60 a 90 giorni con una umidità del 75% circa a temperatura da 1 a 5 °C. Durante
questa fase il prosciutto deve "respirare" senza inumidirsi o seccarsi troppo. E' molto
frequente il ricambio dell'aria nelle celle. Il sale assorbito penetra in profondità distribuendosi
uniformemente all'interno della massa muscolare. Il calo di peso nel riposo è pari a 8/10%
circa.
Lavatura-Asciugatura
I prosciutti vengono lavati con acqua tiepida, raschiati nella cotenna per togliere eventuale
sale e impurità. L'asciugatura avviene sfruttando le condizioni ambientali naturali, nelle
giornate di sole secche e ventilate, oppure in appositi asciugatoi.
Pre-stagionatura
Avviene in stanzoni con le finestre contrapposte, dove i prosciutti sono appesi alle tradizionali
"scalere". Le finestre vengono aperte in relazione ai rapporti umidità interna/esterna e umidità
interna/umidità del prodotto. Tali rapporti devono permettere un asciugamento del prodotto
graduale e quanto più possibile costante.
Dopo la fase di pre-stagionatura viene battuto per meglio conferirgli la forma tondeggiante e,
talvolta, la fossetta attorno alla noce viene cosparsa di pepe per mantenere asciutta la zona di
contatto. Il calo di peso in questa fase è pari a 8/10%.
Sugnatura
La fossetta attorno alla noce, la parte muscolare scoperta ed eventuali screpolature vengono
ricoperte di sugna, un impasto di grasso di maiale macinato cui viene aggiunto un po’ di sale e
di pepe macinato e, eventualmente, farina di riso. La sugnatura svolge la funzione di
ammorbidire gli strati muscolari superficiali evitando un asciugamento degli stessi troppo
rapido rispetto a quelli interni e consentendo una ulteriore perdita di umidità. La sugna non è
considerata ingrediente dalla legislazione italiana.
Sondaggio e Stagionatura.
Dopo la sugnatura, al 7° mese, il prosciutto viene trasferito nelle "cantine", locali più freschi e
meno ventilati delle stanze di pre-stagionatura. All'atto del trasferimento si effettuano le
operazioni di sondaggio, momento essenziale nella "vita del prosciutto". In questa fase, un
ago di osso di cavallo, che ha la particolarità di assorbire rapidamente per poi riperdere gli
aromi del prodotto, viene fatto penetrare in vari punti della massa muscolare ed è poi annusato
da operai esperti dotati di particolari caratteristiche olfattive che potranno stabilire il buon
andamento del processo produttivo.
Nel corso della stagionatura avvengono importanti processi biochimici ed enzimatici che
determinano il caratteristico profumo e il sapore del prosciutto. In corso di stagionatura il calo
di peso è di 5% circa.
Trascorsi 12 mesi di stagionatura e dopo appositi accertamenti effettuati dagli ispettori
dell'Organismo Abilitato viene apposto il marchio a fuoco "corona ducale".
RICONOSCIMENTO DELL'IMPRESA PRODUTTRICE E IDONEITA' DEGLI STABILIMENTI.
- Le aziende che intendono produrre il prosciutto di Parma devono essere riconosciute
dall'Organismo abilitato e, a tal fine, presentano domanda dalla quale risultino:
a) l'iscrizione alla Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato di Parma;
b) la denominazione e la sede della ditta;
c) la sede dello stabilimento, nonché la relativa capacità produttiva, con gli estremi della
autorizzazione sanitaria in conformità alle norme vigenti in materia.
- L'Organismo abilitato, all'atto del riconoscimento, provvede alla attribuzione di un numero
di identificazione del produttore; tale numero figura sul contrassegno di cui all'art. 1 della
legge n° 26/90.
- Sono a carico delle aziende interessate tutte le spese derivanti dagli adempimenti previsti dal
presente dispositivo e le spese per le perizie a tal fine richieste dall'Organismo abilitato o
dall'interessato.
- Per essere considerati idonei alla produzione del prosciutto di Parma, gli stabilimenti devono
essere in possesso delle autorizzazioni igienico-sanitarie prescritte dalle norme vigenti e
devono essere muniti di:
a) locale per il ricevimento ed il primo trattamento delle cosce suine;
b) celle dotate di apparecchiature o sistemi idonei a mantenere l'umidità e la temperatura ai
livelli prescritti nelle norme vigenti per le fasi di salagione e riposo;
c) altri locali indipendenti per le operazioni di stagionatura.
- I locali di stagionatura devono essere muniti di superfici finestrate tali da consentire
una opportuna ventilazione ed un adeguato ricambio dell'aria. Tali locali possono essere
muniti di attrezzature idonee a mantenere il giusto equilibrio e le caratteristiche termoigrometriche proprie dell'ambiente.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA E
Esemplare di modulo per la richiesta di riconoscimento del produttore
Foto delle fasi di lavorazione del prosciutto di Parma.
Altri documenti richiamati:
- Legge n°26/90 (scheda A)
- Decreto Ministeriale n°253/93 (scheda A)
SCHEDA F
ELEMENTI COMPROVANTI IL LEGAME CON L'AMBIENTE GEOGRAFICO
PREMESSA
Gli elementi riportati nella precedente scheda D a testimonianza della originarietà del
prosciutto di Parma e della relativa materia prima dalle aree geografiche rispettivamente
delimitate consentono già di dimostrare ampiamente, attraverso l'excursus storico, lo stretto e
profondo legame tra le produzioni agricole e la trasformazione del prodotto con le aree di
riferimento, legame vieppiù rinsaldato e confermato dall'evoluzione dei fattori sociali,
economici, produttivi e di esperienza umana consolidatisi e stratificatisi nel corso dei secoli.
Per quanto riguarda l'area delimitata della provenienza della materia prima (animali vivi e
carni) esistono fattori geografici, ambientali, e di esperienza produttiva nell'allevamento
assolutamente costanti e caratterizzanti, come sarà più diffusamente rappresentato ai prossimi
punti F.2 e seguenti. Per quanto riguarda viceversa la più ristretta zona di trasformazione nella
quale insistono tutti i prosciuttifici riconosciuti, i fattori ambientali, climatici, naturali ed
umani costituiscono, nella loro irripetibile combinazione, un irriproducibile "unicum".
EVOLUZIONE DELL'ALLEVAMENTO DEL SUINO PESANTE NELLA ITALIA CENTRO-SETTENTRIONALE.
Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari scavi si deduce che l'allevamento del bestiame
suino, bovino ed ovino si è sviluppato nel nord Italia nel periodo neolitico.
Inizialmente però, come risulta dai reperti ossei ritrovati in proporzione omogenea, il
bestiame veniva allevato unicamente per soddisfare le necessità della famiglia o del villaggio.
Solo in epoca etrusca viene praticato un tipo di allevamento stabile e specializzato, il cui
obiettivo è la produzione di carne suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non
solo a soddisfare i fabbisogni locali ma anche alla esportazione.
Particolare menzione meritano, a tal proposito, gli scavi del Forcello, un insediamento
Etrusco (V sec. a.C.) posto a Sud di Mantova, sul terrazzo della sponda destra del Mincio, non
molto lontano da Andes, località che diede i natali a Virgilio.
In detta località furono trovati un numero notevolissimo di reperti e, tra essi, ben 50.000 resti
di ossa animali, di cui il 60% appartenenti alla specie suina, segno evidente della predilezione
degli etruschi per l'allevamento del maiale; seguono in ordine di importanza gli ovini ed i
bovini.
Dallo studio delle ossa si poté dedurre che i maiali erano stati macellati in età adulta a 2 o 3
anni ed inoltre che proporzionalmente mancavano molti arti posteriori. L'allevamento del
maiale ha sempre costituito uno fra i più importanti rami dell'industria zootecnica italiana.
Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati presenti in Italia 2.507.798 capi di cui
322.099 scrofe.
Nel 1926, secondo il Fotticchia, i capi allevati in Italia assommano a 2.750.000 di cui
1.400.000 in Italia settentrionale e 570.000 nell'Italia centrale.
All'inizio del secolo, e fino alla Prima Guerra Mondiale, tre sono i sistemi di allevamento
tradizionalmente praticati:
- l'allevamento familiare, un tempo il più diffuso nella valle padana; esso si basa su un
limitato numero di capi, generalmente ben curati, alimentati con residui di cucina e prodotti
ortivi. Tali capi sono destinati all'autoconsumo ed in parte al rifornimento delle salumerie
locali. Questo allevamento è andato riducendo via via la sua importanza con il diffondersi
della specializzazione;
- l'allevamento allo stato brado o semibrado era preminente lungo l'Appennino ed i suoi
contrafforti, nonché sulle Prealpi lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed
i boschi di quercia;
- l'allevamento di tipo industriale primeggiava in Lombardia ed in Emilia già nel secolo
scorso, perché collegato al caseificio per lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero e
latticello), dell'industria molitoria (farinette, crusca e cruschello) e della brillatura del riso
(pula di riso).
Il 1872 può essere indicato come l'anno in cui ebbe inizio in Italia la moderna suinicoltura.
Infatti in quell'anno, per iniziativa del Ministero dell'Agricoltura, che si avvalse dell'opera
dell'Istituto Sperimentale di Zootecnia di Reggio Emilia, furono importati dall'Inghilterra in
alcune province della Valle Padana i primi riproduttori Yorkshire.
LE RAZZE INDIGENE
Esistevano in Italia molte razze indigene, che, con l'introduzione della Yorkshire, a seguito
dei ripetuti incroci fatti nell'intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all'ingrasso,
maggiore precocità e con scheletro più ridotto, finirono per veder sminuire la loro importanza
e la loro identità.
Le razze più diffusamente allevate in Italia centro settentrionale ed ancora presenti agli inizi
della Prima Guerra Mondiale, divise per regioni, sono le seguenti:
- Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour, a mantello nero, orecchie pendenti,
maschera facciale bianca, allevata sulla riva destra del Po; la Garlasco che si allevava invece
sulla riva sinistra; razza un po’ più ridotta con pelle e setole color rosso giallastro. Le
caratteristiche di entrambe le razze erano la robustezza, la precocità e la buona attitudine al
pascolo.
- Lombardia: si allevava la razza Lombarda dal mantello nero rossiccio con varie
macchie bianche, di grande mole, facile da ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso
di 200-220 Kg.
- Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel parmense anche nel piacentino ed
in parte a Reggio Emilia. Essa era caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole
nere, molto prolifica, alta, robusta, viveva al pascolo per la maggior parte dell'anno.
Altra razza emiliana che occupava un'area assai più estesa della parmigiana (bolognese,
modenese e parte del reggiano, del mantovano e del Veneto), di taglia ancor maggiore della
precedente, era la Bolognese, a setole corte, rade, tra le quali traspariva la cute di color rosso
violaceo. Le sue carni, come riferisce il Marchi nel suo testo del 1914, "hanno costituito la
fama degli zamponi di Modena, delle mortadelle, spalle e bondole di Bologna".
- Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa in tutta la Romagna e
detta appunto razza Romagnola. Lo Stanga (Suinicultura pratica, 1922) la considerava una
sottorazza della Bolognese. Le caratteristiche che contraddistinguevano la razza Romagnola
erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm. al garrese), il tronco cilindrico con linea dorsolombare convessa e soprattutto la cosiddetta linea sparta, "costituita da robustissime irte e fitte
setole che trovansi lungo tutta la linea dorsale" (Ballardini).
- Veneto: oltre alle razze lombarda e la romagnola nel veneto troviamo anche la razza
Friulana, rustica, facile da ingrassare, sia al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite
ma di mediocre fertilità.
- Toscana: terra ricca di boschi di leccio, quercia, castagno e cerro che costituivano
ambiente ideale per il pascolo dei suini; si allevavano tre razze: la Cinta, la Cappuccia e la
Maremmana. Di esse la più importante era la Cinta senese, maiale lungo ed alto, con tronco
cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso retratta.
Altre caratteristiche di detta razza riguardano la testa molto lunga, le orecchie piccole portate
in avanti, un mantello color nero ardesia a setola sottile e folta, con fascia bianca che,
partendo dal garrese, scende alle spalle e cinge tutto il torace estendendosi anche agli arti
anteriori. La cinta era prolifica e precoce. Il Dondi ne fa una accurata descrizione e riferisce
che "la carne è ottima e molto saporita e sono noti nel commercio i prodotti senesi di
salumeria, in particolar modo salsicce, mortadelle e prosciutti, prodotti in notevole quantità da
stabilimenti locali che di preferenza attingono la materia prima dalla montagna senese". Il
Mascheroni (Zootecnia speciale, 1927) afferma che "questa razza è allevata ed ingrassata al
bosco, sia durante la buona che la cattiva stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile.
L'alimentazione si basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui produzione in ghianda è
variabilissima, integrata con beveroni, farina di castagne, granoturco e crusche".
- Umbria: la popolazione suina umbra, genericamente chiamata Perugina variava
parecchio dal monte al piano.
In montagna prevalevano i suini "da macchia" a manto scuro e setole abbondanti, con testa
lunga e orecchie pendenti; maiali nel complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei
boschi. Vi erano poi i suini perugini di collina e di pianura, molto simili alla razza Cappuccia
della Toscana; erano caratterizzati da alta statura, da testa di media lunghezza con orecchie
pendenti, da una linea dorso lombare convessa accompagnata da groppa spiovente e da coscie
e natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con setole poco abbondanti ed arti
quasi sempre balzani.
In collina ed in pianura, dove esistevano zone boschive, l'allevamento era semibrado; se
mancava il pascolo in genere prevaleva l'allevamento da riproduzione per la produzione di
lattoni, riservando all'ingrasso solo qualche capo.
DALLE RAZZE AUTOCTONE ALLA SUINICOLTURA MODERNA
La sostituzione delle popolazioni suine locali con razze selezionate più produttive, iniziata già
alla fine del secolo scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto lenta e graduale. Ciò, non
tanto per le difficoltà proprie del settore primario nell'acquisire ed introdurre le novità
emergenti, ma per il fatto che pure molto lenta e graduale è stata l'evoluzione dei sistemi di
allevamento.
Finché brado e semibrado hanno rappresentato per molte regioni i sistemi più comuni e più
economici per l'ingrasso del maiale, la rusticità, la resistenza, l'attitudine al pascolo e più in
generale la capacità di procurarsi cibo hanno rappresentato condizioni prioritarie ed
irrinunciabili; detti caratteri sono propri delle razze autoctone, affermatesi sul territorio per
selezione naturale.
Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, anche a seguito della notevole
espansione nella valle padana degli allevamenti da latte, andarono via via aumentando le
richieste di lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai caseifici. Gli ingrassatori
rivolgevano le loro preferenze ai maiali di grande taglia, sufficientemente rustici, dotati di
elevata capacità di utilizzare il siero, i cruscami e le farine; caratteristiche che si riscontravano
nei prodotti di incrocio delle razze locali con il verro Yorkshire-Large White.
Contemporaneamente, poiché a causa del disboscamento era andato scomparendo il sistema
brado e semibrado per l'ingrasso dei maiali, in Emilia Romagna, in Toscana ed in Umbria si
era affermato l'allevamento delle scrofe per la produzione di suinetti, ricercati dagli
ingrassatori della valle padana.
Questa suddivisione di compiti tra regioni diverse nell'allevamento del suino favorì ed
accelerò il processo già iniziato di incrociare le popolazioni suine, e tra esse in primo luogo la
Romagnola, la Cinta senese, la Perugina e la Cappuccia, razze rustiche e di buona taglia, con
verri della più precoce e più selezionata razza Large White.
Vi è da osservare a questo punto che, nonostante l'affermarsi degli allevamenti industriali,
permane e si accentua, proprio in questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali fino al peso
di 160-180 Kg ed oltre.
Il motivo va ricercato nel fatto che la produzione del suino pesante trova concordi sia i
suinicoltori che gli operatori industriali.
L'industria richiedeva, come richiede tuttora, carcasse pesanti per disporre di carni mature,
adatte a conferire ai prodotti lavorati e stagionati, primi fra tutti i prosciutti, quelle
insuperabili caratteristiche organolettiche che hanno reso famosa nel mondo la salumeria
italiana.
I caseifici dell'Emilia e della bassa Lombardia, in grande maggioranza orientati alla
produzione del formaggio "grana", iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle
bovine e lo svezzamento dei vitelli, e chiudevano a fine novembre, quando le vacche
andavano in asciutta.
I suini, allevati per il consumo del siero e del latticello, venivano perciò acquistati verso il
mese di marzo al peso di 35-45 Kg (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del caseificio,
durante l'inverno, nel periodo più adatto per la lavorazione delle carni, considerato che ancora
non esistevano i frigoriferi. Durante i 9-10 mesi di permanenza nelle porcilaie il suino
raggiungeva il peso di 160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva le esigenze del
mercato e quelle del caseificio.
Un solo ciclo annuale consentiva, d'altra parte, di meglio ammortizzare il costo della rimonta
nonché di contenere le perdite per malattie e per mortalità, molto più frequenti nel periodo di
ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema riguarda l'alto consumo di
alimenti necessari, nell'ultima fase dell'ingrasso, per produrre 1 Kg di incremento. Però
bisogna tener presente che, in detta fase, più di un terzo del valore nutritivo della dieta era
fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza.
La produzione di incroci utilizzando verri Large White e scrofe di razze locali continuò per
alcuni anni anche dopo l'ultima guerra mondiale. Però, già da tempo, le razze autoctone, a
seguito dei ripetuti incroci, al fine di ottenere animali più adatti al caseificio, finirono, come
sopra accennato, per perdere la loro importanza fino ad essere sostituite da una popolazione
avente le caratteristiche proprie del Large White.
Soggetti "fumati" (Large White x Romagnola) provenienti dal mercato di Cesena e soggetti
"grigi" o "tramacchiati" provenienti dalla Toscana (Large White x Cinta) erano presenti in
qualche porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni '50. In questo stesso periodo, in
conseguenza delle più approfondite conoscenze in fatto di alimentazione e dello sviluppo
dell'industria mangimistica, incominciarono ad affermarsi allevamenti specializzati suini non
collegati ai caseifici.
A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina subisce in Italia, e soprattutto nel
Nord, un sensibile aumento.
Contro una consistenza media, nel quinquennio 1951-1955, di 3.320.000 capi si passa nel
1962 a 4.800.000 unità.
Incrementa la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si estende l'ingrasso suino; però
all'aumento dei capi concorrono pure gli allevamenti specializzati, per lo più senza terra, non
collegati ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da attività extra agricole, dediti
di preferenza alla riproduzione piuttosto che all'ingrasso.
Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, e con l'aiuto dei centri di controllo
genetico istituiti dal Ministero dell'Agricoltura (1960), si diede inizio ad un serio programma
di selezione delle razze Large White e Landrace.
Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicoltura avendo sempre come traguardo la
produzione di un suino pesante, dotato dei requisiti richiesti dall'industria di trasformazione in
continua e rapida espansione.
Dal 1960 al 1970 furono molte ed importanti le tecnologie innovative introdotte negli
allevamenti, specie in quelli da riproduzione.
Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da poche unità, condizione irrinunciabile
per combattere le pericolose malattie neonatali, si passò, nel giro di pochi anni, alla
concentrazione di centinaia di fattrici in allevamenti industriali completamente automatizzati.
Dette innovazioni, che consentirono la produzione di suinetti anche negli allevamenti
intensivi della valle padana, modificarono gli equilibri, durati per molti decenni, tra le regioni
del Nord, prevalentemente dedite all'ingrasso e quelle del Centro, specializzate nella
riproduzione.
Mentre nel Nord la suinicoltura trovò motivo per un ulteriore rafforzamento ed espansione, la
Romagna, e le Regioni dell'Italia centrale si avviarono ad una ristrutturazione dell'intero
settore suinicolo.
La consistenza della popolazione suina italiana passa dai 4.800.000 capi nel 1962 ai
9.014.600 del 1981, con un incremento medio annuo del 4,4%.
Negli anni immediatamente successivi, e più precisamente fino al 1987, si assiste ad un
ulteriore incremento dei capi suini, ma con un ritmo di crescita molto più modesto rispetto al
decennio precedente. Però, anche a seguito della necessità di ristrutturazione sopra
evidenziata, l'espansione risulta meno accentuata nelle regioni del Centro Italia.
Negli ultimi anni, peraltro, l'emanazione, in alcune regioni del nord, di normative locali di
tipo ambientalistico, tali da rendere più problematico il mantenimento delle attuali strutture e,
ancora di più, il reperimento di aree idonee per nuovi allevamenti, ha creato i presupposti per
un potenziamento dell'allevamento anche nelle zone omogenee delle regioni dell'Italia
centrale dove comunque, come dianzi richiamato, la tradizione contadina di una produzione di
un suino pesante è ugualmente antichissima.
PREMESSA
Vi è, peraltro, un ulteriore elemento – attuale, scientificamente provato, normato a livello
comunitario – che comprova il legame esistente tra la materia prima e la zona geografica, in
funzione di un insieme di requisiti specifici e vocazionali.
Infatti, se è vero che la caratterizzazione produttiva di natura zootecnica è strettamente
funzionale ai requisiti del prodotto a denominazione di origine, tanto da assumere tratti
distintivi esclusivi e peculiari con riferimento all'area geografica, è altrettanto vero che il
riconoscimento di questa peculiarità - che definisce il legame di cui si discute - interviene a
conferma di quanto fin qui sostenuto.
Il tratto distintivo che collega territorio, produzione agricola e trasformazione del
prodotto a denominazione di origine "prosciutto di Parma" è indiscutibilmente sintetizzabile
nel concetto di "suino pesante", più volte specificato nella presente scheda e nella precedente
scheda D, nella stessa legislazione nazionale di protezione e sempre richiamato, nella forma e
nella sostanza, dal presente disciplinare, con particolare riferimento alle prescrizioni
produttive di cui alla precedente scheda C.
E' quindi assolutamente pertinente sottolineare che questo particolare indirizzo
produttivo della suinicoltura delle aree delimitate, insieme alla definizione di suino pesante, è
stata riconosciuta formalmente a livello comunitario attraverso la legislazione concernente la
classificazione commerciale delle carcasse suine.
Il Regolamento (CEE) n. 3220 del 13 novembre 1984 costituisce l'ultimo
aggiornamento introdotto dalla Commissione sulla materia.
Entrato in vigore a partire dall'1 gennaio 1989, tale dispositivo introduce metodi di
misura oggettivi per la valutazione della percentuale di carne magra contenuta nelle carcasse,
suddividendole in cinque classi commerciali con le lettere della sigla EUROP e la possibilità,
per ogni Paese, di introdurre una classe speciale denominata "S".
In sede di applicazione del regolamento in questione, unicamente all'Italia è stata
riconosciuta la presenza sul territorio di due popolazioni suine:
a) una di "suino leggero", macellato a pesi conformi alle medie europee;
b) l'altra di "suino pesante", macellato a pesi di 150-160 chilogrammi, le cui carni
sono destinate alla trasformazione.
Conseguentemente, con Decisione della Commissione del 21 dicembre 1988, si è
autorizzata la distinzione delle carcasse in "leggere" (peso morto < a 120 chilogrammi) e
"pesanti" (peso morto > a 120 chilogrammi), con la derivante applicazione di due formule
nettamente diverse nella valutazione commerciale.
Sul piano attuativo nazionale, poi, è noto che il competente dicastero ha elaborato un
piano per dare attuazione all'articolo 3, comma 4, del citato Regolamento (CEE) n. 3220/84,
per la messa a punto di criteri di valutazione della qualità della carne che possano essere
associati a quelli della qualità del magro.
Interpretare lo sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale, normato in sede
comunitaria, come un riconoscimento dell'esistenza di requisiti diversificati che, con totale
sovrapposizione, si identificano con quelli previsti dal presente disciplinare, comporta
l'identificazione della categoria "suino pesante" con quella insistente nell'area delimitata e ad
essa legata da precise motivazioni storiche, economiche e sociali.
Ne consegue che il riconoscimento della presenza di due popolazioni così
profondamente diverse sullo stesso territorio nazionale costituisce una formale anticipazione
del riconoscimento del legame che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici.
In sintesi quanto sopra esposto sta a significare che:
- la materia prima utilizzabile per la produzione di prosciutto di Parma è tratta
unicamente dal cosiddetto "suino pesante";
- la Comunità ha riconosciuto attraverso la Decisione del 21 dicembre 1988 l'esistenza
in Italia e solo in Italia di due popolazioni suinicole, una delle quali "leggera" e conforme alle
medie europee, l'altra "pesante", conforme alle esigenze della industria salumiera, tradizionali
e storicamente affermate e documentate;
- il suddetto riconoscimento ha indotto ad autorizzare la definizione di due categorie di
carcasse con la conseguente applicazione di formule nettamente diversificate nella loro
valutazione commerciale;
- la normazione dello sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale riconosce
l'esistenza di requisiti peculiari che, non casualmente, si sovrappongono con quelli previsti
dalle prescrizioni contenute nel presente disciplinare e che, ancora senza casualità,
identificano la categoria del "suino pesante" insistente, come ampiamente documentato,
nell'area delimitata in quanto ad essa legata da precise motivazioni storiche, sociali e
produttive;
- il riconoscimento comunitario costituisce pertanto un sostanziale riconoscimento del
legame al contesto geografico di riferimento.
ZONA TIPICA DI PRODUZIONE
Come già riportato alla scheda B, la zona tipica di produzione del Prosciutto di Parma
comprende il territorio della provincia di Parma posto a sud della via Emilia a distanza da
questa non inferiore a cinque chilometri, fino ad una altitudine non superiore a 900 metri,
delimitato ad est dal corso del fiume Enza e ad ovest dal corso del torrente Stirone. Tale zona
è favorita da eccezionali condizioni ecologiche, climatiche e ambientali. Infatti solo qui
arriva, preziosa ed unica, l'aria che "prosciuga" e rende dolce ed esclusivo il prosciutto di
Parma. Aria che giunge dal mare della Versilia, si addolcisce tra gli ulivi e i pini della Val
Magra, si asciuga ai passi appenninici (Cisa, Lagastrello, Cirone) arricchendosi del profumo
dei castagni fino a soffiare tra i prosciutti delle valli parmensi. Proprio per sfruttare al meglio
tali brezze, gli stabilimenti di produzione sono orientati trasversalmente al flusso dell'aria e
sono dotati di grandi e numerose finestre, affinché l'aerazione possa dare il suo decisivo
contributo per quei processi enzimatici e di trasformazione biochimica del prodotto che
caratterizzano il Prosciutto di Parma.
Tali trasformazioni biochimiche, che si verificano nella lunga fase di stagionatura seguono un
loro preciso andamento proprio grazie alle condizioni ecologiche che caratterizzano le valli
parmensi e che in misura così ottimale non si verificano in alcun altro luogo.
Ciò è tanto più facilmente constatabile raffrontando il prosciutto di Parma con altri prodotti
sottoposti ad artificiosi trattamenti allo scopo di conferire ad essi l'aspetto, ma niente altro che
l'aspetto, di una regolare maturazione. Si tratta di prodotti i quali, sia per l'effetto dell'alto
tenore di sale sia in seguito alla esposizione in ambienti necessariamente condizionati in
assenza delle ideali condizioni naturali, si prosciugano in breve tempo e, in particolare,
assumono (più esternamente che nelle parti interne) l'aspetto esteriore del prosciutto che ha
subito un razionale e naturale processo di stagionatura, senza però averne né il profumo né la
fragranza né la dolcezza caratteristica.
La zona "a monte" della zona tipica di produzione del prosciutto di Parma è inoltre
caratterizzata dalla mancanza di insediamenti produttivi che possano, attraverso emissioni
liquide e/o gassose, determinare fenomeni di inquinamento ambientale. Tale caratterizzazione
è peraltro preservata dalla legge di tutela 13/2/90 n° 26, la quale, infatti, prevede che: "Ai fini
della salvaguardia delle condizioni proprie dell'ambiente di produzione da cui dipendono le
caratteristiche organolettiche e merceologiche del prosciutto di Parma, l'insediamento
nell'ambito della zona tipica di industrie insalubri di prima classe - così come individuate a
norma dell'articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con Regio decreto 27
luglio 1934, n. 1265 - e di ogni altra attività che pregiudichi un equilibrato mantenimento
delle condizioni ambientali, è subordinato al preventivo favorevole parere del comitato
regionale per l'inquinamento atmosferico competente per territorio". La adozione di così
severe norme (per "azienda insalubre di primo grado" la norma nazionale citata considera
praticamente quasi tutte le attività manifatturiere e perfino le stalle per bovini) è giustificata
solo da una radicata consapevolezza di necessità obiettiva di salvaguardia e tutela ambientale.
L'attuale quadro normativo nazionale, che costituisce parte integrante del presente
disciplinare, in via formale e sostanziale, altro non rappresenta che la consolidazione e
conseguente codificazione del percorso che i fattori umani e produttivi hanno storicamente
compiuto, in contesti geografici ed ambientali particolari, nell'ambito delle aree
rispettivamente vocate ai fini della produzione della materia prima destinata ad
approvvigionare la lavorazione del prosciutto di Parma e della trasformazione del prosciutto
di Parma stesso, aree rigorosamente identificate e delimitate.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA F
Regolamento (CEE) n°3220/84;
Decisione della Commissione del 21 dicembre 1988
Decisione della Commissione del 20 novembre 1989
Decreto del Ministero dell'Agricoltura e Foreste del 24 febbraio 1989
Copia di articoli riportanti cenni sul legame tra la produzione e l'area geografica delimitata.
Altri documenti richiamati:
- Riferimenti bibliografici già contenuti nella scheda D punto D.6;
- Bibliografia già allegata alla scheda D.
SCHEDA G
STRUTTURA DI CONTROLLO PREVISTA DALL'ARTICOLO 10 DEL REGOLAMENTO CEE N° 2081/92.
Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli
output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di
controllo, degli allevatori, macellatori, sezionatori, dei produttori, degli stagionatori e dei
porzionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle
quantità prodotte e nel rispetto degli adempimenti previsti nelle precedenti schede e nel piano
dei controlli, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche,
iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo,
secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.
SCHEDA H
ELEMENTI SPECIFICI DELLA PRESENTAZIONE, IDENTIFICAZIONE ED ETICHETTATURA DEL PROSCIUTTO DI PARMA
PREMESSA
Il vigente dispositivo di legge e regolamentare nazionale dispone per il prosciutto di Parma
regole particolari relativamente alla identificazione del prodotto sia nel contesto del circuito
produttivo (materia prima) sia al momento della sua preparazione finale, sia nel momento
della presentazione nella fase commerciale.
Il dispositivo vigente prevede infatti timbri, sigilli e contrassegni che identificano la
produzione protetta ai vari livelli delle fasi di lavorazione, in un concatenarsi di momenti
identificativi e certificativi di tutti i "passaggi" del prodotto: dalla materia prima al prosciutto
stagionato e oltre.
Infatti, come già prospettato nella precedente scheda C, è prevista nel contesto del circuito
della produzione protetta la seguente sequenza:
- timbro/i di cui alla scheda C., apposto/i dall'allevatore;
- timbro di cui alla scheda C apposto dal macellatore;
- sigillo metallico di cui alla scheda C apposto a cura del produttore;
- contrassegno a fuoco "corona ducale" di cui alla scheda C apposto alla presenza degli
incaricati dell'Organismo abilitato.
Anzitutto il contrassegno a fuoco "corona ducale" a cinque punte contenente la parola
"Parma": il primo simbolo risale al 1963; esso è stato successivamente modificato attraverso
nuovi provvedimenti, l'ultimo dei quali - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana il 31 agosto 1991 - è stato il Decreto Ministeriale 26 agosto 1991. Il contrassegno
"corona ducale" è il marchio a fuoco apposto al termine della stagionatura dei prosciutti che
presentano, una volta effettuati gli opportuni controlli, tutti i requisiti merceologici e
qualitativi richiesti dal disciplinare. La corona ducale vale come marchio sia di identificazione
sia di qualificazione del prosciutto di Parma, nel senso che svolge la duplice funzione di
identificare il prodotto tra gli altri prosciutti crudi assicurandone l'autenticità e di garantire che
il prodotto stesso ha subito tutti i passaggi produttivi previsti e che tutti i passaggi stessi sono
stati identificati dai soggetti interessati. Il contrassegno "corona ducale" è accompagnato, a far
tempo dal 1° ottobre 1991, da una sigla di identificazione del produttore, attribuito dal
Consorzio del Prosciutto di Parma al momento del riconoscimento e dell'abilitazione
dell'azienda. In ogni caso solo la presenza del contrassegno "corona ducale" accompagnato
dalla sigla del produttore consente, qualsiasi sia la forma di presentazione del prodotto (con
osso, disossato, in tranci o affettato e preconfezionato), la legittima qualificazione del
prodotto medesimo come prosciutto di Parma. Per quanto riguarda il contrassegno “corona
ducale” presente sulle confezioni di prodotto affettato e preconfezionato, la sigla del
produttore, posizionata sotto il contrassegno stesso, è sostituita con una sigla identificativa del
soggetto che ha posto in essere le operazioni di affettamento e confezionamento e si distingue
da quella del produttore.
Il Consorzio di tutela custodisce le matrici degli strumenti per l'apposizione del contrassegno
che sono affidati agli ispettori dell’Organismo di controllo. Gli strumenti stessi, di proprietà
del Consorzio di tutela incaricato, sono affidati agli Ispettori in occasione della apposizione
dei contrassegni sui prosciutti. Gli incaricati stessi hanno, nella circostanza del loro lavoro,
piena responsabilità della custodia, gestione ed utilizzazione degli strumenti e rispondono in
via disciplinare e, se del caso, giudiziaria, di eventuali negligenze, omissioni o usi impropri.
In conclusione, il più rilevante elemento distintivo del prosciutto di Parma - anzi l'unico
elemento formale discriminante - a livello di presentazione del prodotto nella fase
commerciale è pertanto costituito dal contrassegno "corona ducale". E' solo la presenza del
contrassegno che consente infatti l'uso legittimo e legale della denominazione di origine:
senza la "corona ducale" un prodotto non può essere denominato, né sulle etichette o
confezioni, né sui documenti di vendita, né all'atto della transazione commerciale (intero,
affettato e preconfezionato ovvero alla vendita frazionata al dettaglio). Il "plus valore"
rappresentato dal contrassegno "corona ducale" è peraltro attestato dai non infrequenti casi di
rinvenimento di prosciutti di tipo comune sui quali sono state addirittura apposti contrassegni
"corona" contraffatti, in violazione quindi di norme penali previste sia dalla normativa
speciale che da quella generale.
Anche la riproduzione grafica del contrassegno "corona ducale" non è nella libera
disponibilità di chiunque (neppure con riferimento a prodotti autentici: essa infatti, comunque
utilizzata, è riservata al Consorzio del Prosciutto di Parma, il quale può, volta per volta e per
singole e precise iniziative, autorizzare terzi alla produzione grafica del simbolo del
contrassegno, ponendo le condizioni e le limitazioni che ritiene opportune e predisponendo i
controlli del caso. Ogni riproduzione del simbolo del contrassegno non autorizzato è
perseguibile penalmente e civilmente.
Si è già riferito che la apposizione del contrassegno corona ducale è l'ultimo elemento, in
ordine cronologico, identificativo e qualificativo del prodotto tutelato; esso infatti può essere
apposto solo su prosciutti che rechino il sigillo metallico "C.P.P." apposto all'inizio della
lavorazione. Si tratta di un sigillo metallico, il cui simbolo è stato approvato con Decreto
Ministeriale 9 ottobre 1978 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del
19 ottobre 1978) recante il mese e l'anno dell'inizio lavorazione che viene applicato a cura del
produttore sulle cosce fresche pervenute nello stabilimento e che intende avviare alla
produzione protetta. Tale sigillo è elemento indispensabile per il computo del periodo minimo
di stagionatura e, inoltre, equivale alla data di produzione ai sensi delle vigenti leggi nazionali
in materia di vigilanza sanitaria delle carni.
Il sigillo è apposto solo sulle cosce fresche provenienti da macelli abilitati e munite dal timbro
a fuoco numerato attribuito, per ragioni di identificazione, a ciascun macello, nonché
accompagnate dalla documentazione sanitaria e merceologica prescritta e che risponda alle
caratteristiche sostanziali e qualitative, ivi compreso il rispetto delle parametrazioni oggettive
di cui alla scheda B; il sigillo stesso non può essere apposto su cosce fresche prive di alcuno
dei suddetti requisiti ed una sua eventuale applicazione indebita è sanzionata per legge.
Sigillo: costituito da una corona circolare dove appariranno impressi a rilievo la sigla CPP e la
data di inizio della lavorazione, espressa con il mese (indicato con le prime tre lettere) e con
l'anno (indicato con le ultime due cifre in numeri arabi).
Il timbro indelebile apposto a caldo dal macello è costituito da una base comune recante la
sigla "PP" e da una sigla alfa-numerica (una lettera e due cifre) identificativa di ogni macello
abilitato. Il macello appone il proprio timbro sulle cosce fresche ricavate dai suini provenienti
da allevamenti riconosciuti, scortate dai certificati di origine e di conformità attestanti
l'avvenuto rispetto delle prescrizioni produttive nelle fasi di allevamento e che presentino gli
elementi di caratterizzazione qualitativa dei prosciutti per le cosce fresche da destinare alla
produzione protetta. Anche il timbro del macello, per il fatto di essere numerato e quindi
identificativo di ogni singola azienda di macellazione, svolge un ruolo rilevante - oltre che dal
punto di vista della certezza della "ricostruzione" della provenienza di tutti i prosciutti nella
fase di lavorazione (e spesso anche a stagionatura ultimata) - anche in funzione di controllo.
Timbro a fuoco: costituito dalla sigla fissa "PP" e da una sigla mobile di identificazione del
macello costituita da una lettera e da due numeri, da riportare nello spazio sottostante in luogo
dei punti.
Le regole per la etichettatura del prosciutto di Parma intero con osso, intero confezionato,
presentato in tranci o affettato non prescindono, naturalmente, da quelle di ordine generale
fissate, in particolare, dal Decreto Legislativo 27 giugno 1992 n° 109 che a sua volta è il
provvedimento di recepimento delle Direttive 89/395 CEE e 89/396 CEE concernenti
l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari. Tali regole sono state
recepite nel disciplinare di produzione approvato con Regolamento (CEE) n. 1107 del
12.06.96.
Il disciplinare stesso richiede peraltro, per ciascuno dei tipi di presentazione del
prosciutto di Parma alcune peculiari indicazioni obbligatorie, ed in particolare:
a) per il prosciutto di Parma intero con osso:
- "prosciutto di Parma - denominazione di origine protetta";
- la sede dello stabilimento di produzione;
b) per il prosciutto di Parma confezionato intero o presentato in tranci:
- "prosciutto di Parma - denominazione di origine protetta";
- la sede dello stabilimento di confezionamento;
- la data di produzione, qualora il sigillo (di cui alla precedente scheda H) non risulti più
visibile;
c) per il prosciutto di Parma affettato e preconfezionato:
- le confezioni presentano una parte comune posizionata al vertice sinistro superiore della
confezione, rispondente a tutte le caratteristiche e le condizioni specificamente previste dalla
Direttiva Affettamento e comunque riportante il contrassegno "corona ducale" e le diciture:
* prosciutto di Parma denominazione di origine protetta ai sensi della Legge 13 febbraio 1990
n° 26 e del Regolamento (CEE) n.1107 del 12.06.96;
* confezionato sotto il controllo dell’Organismo autorizzato.
- la sede del laboratorio di confezionamento;
- la data di produzione (inizio stagionatura; quella riportata sul sigillo di cui alla precedente
scheda H).
E' vietata l'utilizzazione di qualificativi quali, "classico", "autentico", "extra", "super", e di
altre qualificazioni, menzioni ed attribuzioni abbinate alla denominazione di vendita, ad
esclusione di "disossato" ed "affettato".
E' vietato utilizzare, in alternativa o in aggiunta alla denominazione protetta, qualsiasi altra
denominazione o qualificazione geografica del prodotto, comunque attinente a comuni
compresi nella zona tipica di produzione di cui alla scheda C.
I divieti di cui alla presente scheda H si estendono, in quanto compatibili, anche alla
reclamizzazione pubblicitaria ed alla promozione in qualsiasi forma del prosciutto tutelato.
L'uso delle denominazioni geografiche riferentisi ai comuni compresi nella zona tipica di
produzione o loro variazioni, deformazioni, derivazioni o abbreviazioni è vietato nella ditta,
ragione o denominazione sociale o marchio d'impresa a meno che l'imprenditore interessato
non ne dimostri la utilizzazione - con riferimento al prosciutto - da epoca anteriore alla data di
entrata in vigore della legge 4 luglio 1970, n. 506.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA H
Verbale di deposito marchio "corona ducale" del 1963
Verbale di deposito del marchio "corona ducale" del 1973 (e modifica di quella del 1963)
Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 4
Certificato di deposito del marchio "corona ducale" del 1987 (strumentale alla registrazione
OMPI)
Decreto Ministeriale 26 agosto 1991
Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 3
Decreto Ministeriale 4 agosto 1986
Altri documenti richiamati:
- Legge 13 febbraio 1990 n°26 (scheda A);
- Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n°253 (scheda A);
- Accordi Bilaterali (Scheda I)
SCHEDA I
CONDIZIONI DA RISPETTARE IN FORZA DI DISPOSIZIONI NAZIONALI E/O INTERNAZIONALI.
Il Prosciutto di Parma DOP, già protetto a livello nazionale ed in forza di una serie di accordi
e convenzioni bilaterali, è attualmente protetto ai sensi del Regolamento (CEE) n.1107 del
12.06.96.
Il Prosciutto di Parma DOP è tutelato contro ogni tipo di usurpazione in virtù della normativa
comunitaria e nazionale vigente ed il Consorzio incaricato dal Ministero delle politiche
agricole alimentari e forestali svolge azione di tutela, valorizzazione, salvaguardia e vigilanza
sul mercato ai sensi dell’articolo 14 della Legge 526/99.
DIRETTIVA CONCERNENTE LE OPERAZIONI DI AFFETTAMENTO E CONFEZIONAMENTO DEL PROSCIUTTO DI PARMA
CAPITOLO 1
NORME GENERALI
Art. 1
Definizioni
1. Ai sensi della presente direttiva si intende:
- per “disciplinare”, il disciplinare di produzione del Prosciutto di Parma;
- per “legge di tutela”, la legge 13 febbraio 1990 n° 26 (Tutela della denominazione di origine
Prosciutto di Parma);
- per “regolamento di esecuzione”, il regolamento di esecuzione della legge di tutela, approvato
con Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993, n° 253;
- per “Istituto”, l’Istituto Parma Qualità;
- per “marchio consortile”, il contrassegno di identificazione e qualificazione del Prosciutto di
Parma di cui all’art. 1 della legge ed il cui simbolo è stato approvato, da ultimo, dal Decreto
Ministeriale. 23 agosto 1994, allegato. 3;
- per “operazioni di confezionamento”, tutte le operazioni pertinenti all’affettamento e al
confezionamento del Prosciutto di Parma, ivi comprese quelle di verifica dei prosciutti con osso,
quelle di disossatura e quelle di incartonamento;
- per “mattonella”, il prosciutto disossato e opportunamente predisposto per essere affettato.
Art. 2
Riferimenti normativi
1. Le operazioni di confezionamento sono disciplinate dalla legge di tutela, dal regolamento di
esecuzione e dalla presente direttiva, emanata ai sensi dell’art. 12 comma 1 della legge stessa.
2. La presente direttiva, costituente “disposizione concernente il confezionamento del Prosciutto di
Parma”, è approvata dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e inserita nel
disciplinare di produzione del Prosciutto di Parma.
3. Eventuali modificazioni potranno essere apportate secondo la medesima procedura; in caso di
sopravvenute norme imperative le modificazioni sono apportate senza formalità.
4. Sono da intendersi quali imperative anche le normative adottate e le relative procedure
eventualmente richieste da Paesi esteri importatori.
CAPITOLO 2
RICONOSCIMENTO DEL LABORATORIO DI CONFEZIONAMENTO
Art. 3
Ubicazione laboratori di confezionamento
1. Le operazioni di affettamento e confezionamento del “Prosciutto di Parma” sono effettuate presso
laboratori situati nella zona tipica di cui all’art. 2 comma 1 della legge, attrezzati in modo specifico
e preventivamente riconosciuti dall’Istituto.
Art. 4
Istanza di riconoscimento
1. L’impresa che intende procedere all’affettamento e confezionamento del Prosciutto di Parma deve
presentare istanza all’Istituto indicando:
a) l’iscrizione alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Parma;
b) la ragione sociale, la sede della ditta e le generalità dei legali rappresentanti;
c) la sede del laboratorio di confezionamento;
d) gli estremi dell’autorizzazione sanitaria unitamente alla descrizione dei locali e degli
impianti;
e) la capacità produttive e i volumi approssimativi di produzione;
f) la ragione e la sede dei fornitori delle confezioni, fatto salvo quanto previsto dal successivo
art. 9;
2. L’impresa, contestualmente all’istanza di cui al punto precedente, si impegna, oltre che ad
informare l’Istituto in relazione a qualsiasi variazione dei dati già forniti, alla osservanza di tutte le
prescrizioni di legge e delle direttive dello stesso emanate in materia di affettamento e
confezionamento di Prosciutto di Parma.
Art. 5
Requisiti per il riconoscimento
1. Ogni laboratorio per essere considerato idoneo al confezionamento del Prosciutto di Parma secondo
le fasi e le modalità indicate nel regolamento e nella presente direttiva, deve essere munito di
autorizzazione sanitaria attestante la conformità a requisiti igienico-strutturali equivalenti a quelli
previsti dalla normativa comunitaria, con particolare riferimento alla direttiva 77/99/CEE e
successive modifiche.
2. Al fine di ottenere il riconoscimento di idoneità il laboratorio deve almeno essere munito di:
a) locale di pre-pulitura e disosso;
b) cella frigorifera per la conservazione delle “mattonelle”;
c) locale di preparazione del prodotto, di affettamento e confezionamento;
d) cella frigorifera per la conservazione del Prosciutto di Parma confezionato;
e) locale di incartonamento e spedizione.
3. La struttura del laboratorio deve inoltre prevedere spogliatoi separati per il personale addetto
all’affettamento e deve essere tale da impedire spostamenti di personale direttamente dal locale di
affettamento e pre-confezionamento a quello per lo stoccaggio del prodotto pronto per
l’incartonamento.
4. Il Prosciutto di Parma deve essere affettato separatamente da altri prodotti e previa accurata
pulizia dei macchinari.
5. Qualora le operazioni di disossatura si svolgano presso locali non compresi nell’ambito del
laboratorio di affettamento ovvero non di pertinenza di uno stabilimento di produzione, gli stessi
locali devono essere muniti di requisiti igienico-strutturali equivalenti a quelli previsti dalla
normativa comunitaria ed essere comunque situati nella zona tipica di cui all’art. 2 comma 1 della
legge.
Art. 6
Procedure per il riconoscimento
1. L’Istituto, espletati gli accertamenti ritenuti necessari, provvede al riconoscimento del laboratorio
ed alla attribuzione di uno specifico numero di identificazione.
2. Gli accertamenti di cui al comma precedente sono effettuati da apposita Commissione
comprendente un incaricato dell’Istituto, uno degli ufficiali sanitari competente per il territorio ed
un tecnico della stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari di Parma, i quali
decidono unanimemente.
Art. 7
Revoca del riconoscimento
1. Indipendentemente dai rimedi giudiziari consentiti dalla normativa vigente, il riconoscimento può
essere revocato dall’Istituto nei casi di violazione del disciplinare, di inosservanza delle direttive di
attuazione nonché nel caso di revoca dell’autorizzazione sanitaria prescritta.
2. In determinate circostanza il riconoscimento può esser revocato in via cautelare in attesa del
giudizio della magistratura.
Art. 8
Albo dei laboratori di confezionamento
1. L’Istituto istituisce e tiene l’albo dei laboratori riconosciuti idonei al confezionamento del Prosciutto
di Parma.
CAPITOLO 3
PRODUTTORI DI CONFEZIONI
Art. 9
Abilitazione e revoca
1. Le imprese cui fanno riferimento i laboratori di confezionamento riconosciuti devono notificare la
ragione sociale e la sede del fornitore del materiale di confezionamento e/o delle confezioni
contestualmente alla istanza di cui al precedente art. 4 o anche successivamente, in tempo
comunque utile, all’Istituto.
2. L’Istituto, con apposito formale provvedimento, riconosce il produttore di materiale di
confezionamento e/o di confezioni autorizzandolo alla riproduzione del marchio consortile sulle
stesse.
3. Il produttore di materiale di confezionamento e/o di confezioni si obbliga alla osservanza delle
prescrizioni stabilite dall’Istituto e, in particolare, si assoggetta ad ogni tipo di controllo inerente la
produzione delle specifiche confezioni per il Prosciutto di Parma, ivi comprese le verifiche della
rispondenza tra la quantità delle confezioni giacenti, quella originale e quella che risulta utilizzata.
4. Indipendentemente dai rimedi giudiziari consentiti dalla normativa vigente, l’autorizzazione alla
riproduzione del marchio consortile può essere revocata, anche senza particolari formalità
dall’Istituto, nei casi di violazione del disciplinare e/o di inosservanza delle prescrizioni stabilite.
CAPITOLO 4
CONFEZIONE DEL PROSCIUTTO DI PARMA
Art. 10
Tecnologie della confezione
1. Il confezionamento del Prosciutto di Parma può avvenire in confezioni in atmosfera protettiva
ovvero sottovuoto ovvero attraverso altri sistemi eventualmente individuati alla luce della
evoluzione delle tecnologie di produzione.
2. I materiali costitutivi la confezione devono essere di ottimo livello tecnologico e atti a fornire tutte
le opportune garanzie sulla perfetta conservazione del prodotto e comunque essere conformi alle
norme vigenti nazionali e comunitarie.
3. Le confezioni possono essere di dimensioni, forma e peso variabili.
4. E’ obbligatorio l'uso di interfoglio alle condizioni indicate nei commi 1, 2 e 3 del successivo
art. 12. E’ invece ammesso il confezionamento senza interfoglio nel caso in cui vengano
assicurate le condizioni di cui al comma 4 del medesimo art. 12.
Art. 11
Approvazione della grafica delle confezioni
1. L’impostazione grafica e le diciture riportate sulla confezione devono essere conformi alle
prescrizioni contenute nella legge di tutela, nel regolamento di esecuzione e nella presente
direttiva nonché ad ogni altra norma imperativa eventualmente sopravvenuta.
2. L’impresa confezionatrice comunica l’impostazione grafica e le diciture riportate sulle confezioni
in via preventiva all’Istituto, il quale ne formalizza l’approvazione oppure dispone con
provvedimento motivato eventuali modificazioni e/o integrazioni.
3. In ogni caso la approvazione della veste grafica delle confezioni non potrà essere formalizzata
prima della adozione del provvedimento di cui al precedente art. 9, comma 2.
4. L’impresa confezionatrice si impegna a trasmettere all’Istituto copia dei documenti amministrativi
inerenti l’ordinativo e il ritiro delle confezioni.
CAPITOLO 5
CARATTERISTICHE MERCEOLOGICHE
Art. 12
Tipologia Prosciutto di Parma preaffettato e confezionato
1. Per l’affettamento ed il confezionamento del Prosciutto di Parma possono essere utilizzati
prosciutti con un tenore di umidità inferiore al 60% ed un valore di attività dell'acqua non
superiore a 0,91.
2. Ai fini dell’individuazione delle condizioni minime per l’affettamento, tali prosciutti sono
suddivisi in due classi di peso per ognuna delle quali sono individuati i tempi minimi di
stagionatura e il Termine Minimo di Conservazione (TMC). Tale ultimo elemento varia in
dipendenza del periodo di stagionatura e della modalità di confezionamento (atmosfera
protettiva con interfoglio, atmosfera protettiva senza interfoglio, o sottovuoto).
3. Le condizioni di cui sopra sono riportate nella seguente tabella:
Nel caso cui il confezionamento avvenga senza interfoglio, esso dovrà avvenire esclusivamente
in atmosfera protettiva.
4. Per il magazzinaggio ed il trasporto del Prosciutto di Parma confezionato in osservanza della
presente direttiva devono essere rispettate le norme di cui alle vigenti normative comunitarie e
nazionali con particolare riferimento alla temperatura di conservazione nonché alle
attrezzature proprie dei mezzi di trasporto.
CAPITOLO 6
NORME DI PRESENTAZIONE ED ETICHETTATURA DELLA CONFEZIONE
Art. 13
Veste grafica della confezione
1. La confezione di Prosciutto di Parma, di qualsiasi forma, dimensione e peso, deve presentare una
parte comune – pari al 25% della superficie della parte superiore della confezione – costituita da
un triangolo posizionato al vertice sinistro superiore della confezione stessa, di fondo nero,
riportante il marchio consortile e le diciture di legge: “Prosciutto di Parma” – denominazione di
origine protetta ai sensi della legge 13 febbraio ’90 n° 26 e del Reg. CE n. 1107/96 – confezionato
sotto il controllo dell’Istituto Parma Qualità. La veste grafica di tale confezione corrisponde a
quella indicata nella riproduzione grafica che si allega alla presente direttiva e che ne costituisce
parte integrante. I rimanenti spazi sono di pertinenza aziendale e sono utilizzati a discrezione
Peso
prodotto
Stagionatura TMC atmosfera
protettiva con
interfoglio
TMC atmosfera
protettiva senza
interfoglio
TMC
sottovuoto
Fino a 9,5 kg 13 mesi 90 giorni 60 giorni 150 giorni
Fino a 9,5 kg 15 mesi 120 giorni 90 giorni 150 giorni
Oltre 9,5 kg 16 mesi 90 giorni 60 giorni 150 giorni
Oltre 9,5 kg 18 mesi 120 giorni 90 giorni 150 giorni
dell’interessato nel rispetto delle norme regolamentari in materia di etichettatura per il prosciutto
tutelato.
2. Per quanto riguarda il contrassegno “corona ducale” presente sulle confezioni di prodotto affettato
e preconfezionato, la sigla del produttore, posizionata sotto il contrassegno stesso, è sostituita con
una sigla identificativa del soggetto che ha posto in essere le operazioni di affettamento e
confezionamento e si distingue da quella del produttore.
3. Nel caso in cui la confezione di prosciutto affettato e preconfezionato sia presentata alla vendita
previa piegatura in due o più parti e il campo visivo di riferimento per il consumatore sia
rappresentato solo da una porzione della confezione nel suo complesso, ai fini della
predisposizione della veste grafica di cui al presente articolo la superficie di riferimento non sarà
quella dell’intera confezione, ma la porzione visibile al consumatore al momento della
presentazione per la vendita del prodotto. Tali confezioni dovranno essere piegate e chiuse con
etichette riportanti le diciture di legge che non permettano l’apertura delle stesse senza essere
danneggiate, in modo che, una volta aperte, non siano più idonee ad essere immesse in
commercio.
4. Qualora la confezione di Prosciutto di Parma sia realizzata nel rispetto di tutte le condizioni
indicate al successivo comma 4, la suddetta parte comune della confezione è costituita da un
triangolo con fondo trasparente posizionato al vertice sinistro superiore della confezione e pari al
18% della superficie della parte superiore della stessa, al cui vertice rimane una parte di fondo nero
sul quale è posizionato il logo comunitario della DOP. La veste grafica di tale confezione
corrisponde a quella indicata nella riproduzione grafica che si allega alla presente direttiva e che
ne costituisce parte integrante.
5. Le condizioni richiamate dal precedente comma 3 sono le seguenti:
a. il prodotto è confezionato in atmosfera protettiva e senza l’uso dell’interfoglio;
b. il TMC non è superiore a 25 giorni (a far tempo dalla data di confezionamento);
c. le confezioni devono essere solo a peso variabile, con un peso minimo di 110 grammi;
d. la stagionatura del prosciutto utilizzato deve essere di almeno 16 mesi;
e. la confezione è interamente trasparente sia nella parte frontale che nel retro;
f. in deroga a quanto prescritto dal precedente comma 2, sulla confezione non appare nessun
altro segno grafico, marchio o dicitura ad eccezione di quanto contenuto nel suddetto
triangolo e nell’etichetta tecnica (che può essere posizionata sia sul fronte che sul retro della
confezione);
g. la superficie dell’etichetta tecnica non può superare il 13% della superficie del fronte o del
retro della confezione;
h. l’etichetta tecnica deve obbligatoriamente contenere, oltre alle diciture di legge (ricordiamo,
tra le altre, la dicitura “Garantito dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
ai sensi dell’art. 10 del reg. CE 510/06”), la ragione/denominazione sociale dell’azienda
produttrice di Prosciutto di Parma (“impresa di lavorazione”) che ha stagionato il prodotto o
che lo ha commercializzato, oppure del confezionatore che ha affettato il prodotto; è fatta
salva la possibilità di indicare a fianco della denominazione sociale in questione, separata da
un trattino o posta tra parentesi, la ragione/denominazione sociale della società controllante
o di quella controllata o collegata. Le dimensioni minime dei caratteri della denominazione
aziendale devono essere pari a 2,6 mm; il font di tali caratteri è libero. Tale denominazione
deve essere posizionata immediatamente sotto la denominazione “Prosciutto di Parma”
come indicato nella riproduzione grafica allegata al presente articolo;
i. per l’azienda produttrice, è possibile far precedere la denominazione aziendale dalle sole
diciture “prodotto da” o “prodotto e confezionato da” (in italiano o altra lingua);
diversamente, il confezionatore che non è anche azienda produttrice deve necessariamente
far precedere l’indicazione della propria ragione/denominazione sociale dalla specifica
“confezionato da” (in italiano o altra lingua);
j. l’obbligo di cui ai precedenti punti h. e i. può essere ottemperato anche riportando la
ragione/denominazione sociale in questione nel fronte della confezione, sotto il triangolo
trasparente, con le modalità e le disposizioni previste per la confezione classica, fatta salva la
diversa dimensione dei caratteri.
6. Le caratteristiche grafiche e le dimensioni delle diciture e dei marchi contenuti nel triangolo
consortile di cui ai precedenti commi 1 e 3 sono indicati nelle riproduzioni grafiche che si allegano
alla presente direttiva e che ne costituiscono parte integrante.
7. Qualora la forma delle confezioni sia irregolare a tal punto da non permettere un adeguato
posizionamento del triangolo al vertice sinistro superiore (con riferimento ad entrambe le versioni
di cui ai precedenti commi), quest’ultimo dovrà essere adattato alla forma della confezione stessa
come indicato, a titolo esemplificativo, nelle riproduzioni grafiche allegate alla presente direttiva.
Art. 14
Nome del produttore-confezionatore
1. Le confezioni di Prosciutto di Parma di cui al comma 1 del precedente articolo 13, devono
riportare la ragione/denominazione sociale dell’azienda produttrice di Prosciutto di Parma
(“impresa di lavorazione”) che ha stagionato il prodotto o che lo ha commercializzato, oppure
del confezionatore che ha affettato il prodotto; tale denominazione deve essere posizionata in
modo lineare nella parte adiacente al triangolo ed iscritta su un fondo trasparente-satinato come
indicato nelle riproduzioni grafiche allegate al presente articolo, che costituiscono parte
integrate della presente direttiva.
2. La ragione/denominazione sociale di cui al comma precedente deve avere caratteri di colore
nero con dimensione minima di 4,5 mm; il font di tali caratteri è libero.
3. Tale obbligo sussiste anche se la ragione/denominazione sociale o il marchio dell’azienda
produttrice che ha stagionato o commercializzato il prodotto o del confezionatore sono presenti
in altro modo sulla stessa confezione.
4. In ottemperanza a quanto prescritto dal precedente comma 1, può essere riportato un solo
nominativo tra i tre soggetti sopra indicati (produttore o produttore che ha commercializzato o
confezionatore) con l’esclusione di ulteriori riferimenti ad altri soggetti, fatta salva la possibilità
di indicare a fianco della ragione/denominazione sociale in questione, separata da un trattino o
posta tra parentesi, la ragione/denominazione sociale della società controllante o di quella
controllata o collegata.
5. La ragione/denominazione sociale dell’azienda produttrice inserita nella confezione può
eventualmente essere fatta precedere dalle sole diciture “prodotto da” o “prodotto e
confezionato da” (in italiano o altra lingua), nel caso in cui l’azienda abbia posto in essere tali
attività e non si sia limitata alla sola commercializzazione del prodotto.
6. Diversamente, il confezionatore che non è anche azienda produttrice deve sempre far precedere
l’indicazione della propria ragione/denominazione sociale dalla specifica “confezionato da” (in
italiano o altra lingua).
Art. 15
Etichettatura
1. In ogni caso, oltre alle indicazioni definite al punto 1 lettera a) del precedente articolo, devono
essere riportate sulle confezioni del Prosciutto di Parma le seguenti indicazioni:
a) il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del confezionatore o
del venditore;
b) la sede del laboratorio di confezionamento;
c) la data di produzione (inizio stagionatura espressa in mese e anno);
d) il termine minimo di conservazione;
e) le modalità di conservazione (a temperatura non superiore a 10° C);
f) la quantità netta;
g) gli ingredienti.
CAPITOLO 7
CONTROLLI
Art. 16
Operazioni di controllo
1. Tutte le operazioni di confezionamento nonché quelle ad esse connesse sono effettuate, salva
l’ipotesi di cui al successivo art. 16 comma 3 – e limitatamente alle operazioni di disossatura - sotto
il continuo controllo dell’Istituto, il quale verifica altresì la rispondenza del prodotto alle
caratteristiche merceologiche definite dalla presente direttiva; ciò anche attraverso il
prelevamento di campioni e l’effettuazione delle analisi tecniche ritenute opportune.
In caso di prelevamento di campioni si osservano, in quanto applicabili, le norme di cui alla legge
30 aprile 1962 n°283 e successive modificazioni ed il relativo regolamento di esecuzione approvato
con Decreto del Presidente della Repubblica. 26 marzo 1980 n. 327.
Art. 17
Procedure di controllo
1. Gli incaricati dell’Istituto, nel presenziare alle operazioni di confezionamento provvedono a:
a) individuare la/e partita/e destinata/e all’affettamento ricavando i riferimenti necessari del
registro del produttore o, se il laboratorio non è annesso ad uno stabilimento riconosciuto,
da un documento di trasporto rilasciato dal produttore, su cui sono richiamati i riferimenti
in questione;
b) accertare il numero ed il peso dei prosciutti provvisti del contrassegno, del quale gli
incaricati stessi prescrivono la asportazione per l’affettamento previa verifica della
persistenza dei requisiti di idoneità previsti dalla legge per l’apposizione del contrassegno;
c) accertare il numero ed il peso dei prosciutti ritenuti inidonei.
2. Qualora la predisposizione delle mattonelle avvenga previa asportazione dei marchi consortili, gli
incaricati dell’Istituto procedono alla identificazione delle stesse con propri timbri da applicarsi sul
“pre-imballaggio”; in questo caso deve essere effettuata una ulteriore opportuna verifica dei timbri
già apposti al momento dell’apertura dei pre-imballaggi.
3. In alternativa a quelle previste dai precedenti commi del presente articolo, e previo specifico
accordo con gli uffici dell’Istituto, è ammessa la seguente procedura:
gli incaricati dell’Istituto:
a) individuano la/le partita/te destinata/te all’affettamento presso il produttore, ricavando i
riferimenti necessari dal registro del produttore stesso;
b) accertano il numero ed il peso dei prosciutti destinati all’affettamento, previa verifica della
persistenza dei requisiti di idoneità previsti dalla legge per l’apposizione del contrassegno
seguendo, per quanto applicabili, le procedure di cui all’art. 20 del Decreto Ministeriale 15
febbraio 1995 n. 253;
c) accertano il numero ed il peso dei prosciutti che non presentano più i requisiti di idoneità,
adottando per essi i provvedimenti previsti;
d) appongono un proprio timbro di identificazione in prossimità di uno dei contrassegni
consortili sui prosciutti considerati idonei, redigendo apposito verbale di tutte le operazioni
svolte.
4. Indipendentemente dalla metodologia seguita nelle fasi precedenti, gli incaricati dell’Istituto,
preventivamente alle operazioni di affettamento accertano l’avvenuta asportazione del
contrassegno e/o verificano sulle mattonelle la sussistenza del contrassegno stesso e,
eventualmente, del timbro di identificazione apposto per i fini di cui al precedente comma 3; in
questo caso assistono alla loro definitiva asportazione; gli incaricati, successivamente, verificano
altresì:
a) il numero ed il peso complessivo dei prosciutti a cui è stato asportato il contrassegno;
b) l’avvenuto affettamento ed il peso complessivo netto del prosciutto affettato per il
confezionamento;
c) il numero delle confezioni sulle quali è apposto il marchio consortile.
5. Per i prosciutti e le confezioni oggetto di eventuale contestazione si osservano le procedure
previste dall’art. 22 del regolamento di esecuzione.
6. Le operazioni compiute sono fatte risultare in apposito verbale compilato a cura dell’incaricato
dell’Istituto, copia del quale viene rilasciata alla ditta interessata.
7. Una volta completate le operazioni di cui ai punti 1, 2 e 3 del presente articolo, le mattonelle
devono essere sottoposte ad affettamento presso il laboratorio di destinazione indicato a verbale,
indipendentemente da eventuali passaggi di proprietà dei prodotti.
Articolo 18
Soggetti sottoposti a vigilanza
1. Tutti i soggetti ricompresi nel circuito comprendente la produzione delle confezioni, la
disossatura, la preparazione, l’affettamento ed il confezionamento del Prosciutto di Parma sono
sottoposti all’attività di vigilanza da parte del Consorzio del Prosciutto di Parma.
2. I controlli relativi al rispetto delle norme igienico-sanitarie sia di carattere generale nonché di
quelle indicate nella presente direttiva sono effettuati dall’autorità sanitaria competente per
territorio.
Art. 19
Registro del confezionatore
1. Il laboratorio di confezionamento riconosciuto deve tenere un apposito registro nel quale, per ogni
singola operazione, devono essere distintamente indicati:
a) il numero d’ordine progressivo e la data della registrazione;
51
b) il numero dell’operazione di scarico rilevabile dal registro del produttore: e, nel caso di
laboratorio riconosciuto non annesso ad uno stabilimento abilitato, gli estremi del documento
di trasporto ricevuto;
c) il numero ed il peso complessivo dei prosciutti provvisti del contrassegno;
d) il numero ed il peso complessivo dei prosciutti dai quali è stato asportato il contrassegno per il
successivo confezionamento;
e) il peso complessivo netto del prosciutto affettato;
f) il numero delle confezioni prodotte e la data di confezionamento.
Art. 20
Programmazione attività
1. L’impresa confezionatrice concorda con l’Istituto un piano operativo relativo al confezionamento
del Prosciutto di Parma allo scopo di programmare un regolare e sistematico sviluppo dei
controlli.
CAPITOLO 8
DISCIPLINA DELLE INFRAZIONI E DEI CONTENZIOSI
Art. 21
1. Qualora il fatto non costituisca reato l’inosservanza delle norme relative al confezionamento del
Prosciutto di Parma, ivi comprese quelle contenute nella presente Direttiva, costituisce violazione
della norma di cui all’art. 20 della legge di tutela.
2. La documentazione inerente alla constatazione di infrazioni che possano comportare la revoca dei
provvedimenti autorizzativi di cui ai precedenti articoli 7 e 9 viene trasmessa all’Autorità
competente per opportuna conoscenza e per gli eventuali provvedimenti sanzionatori.
CAPITOLO 9
NORME TRANSITORIE E FINALI
Art. 22
Tenuta e conservazione del registro e della documentazione
1. Il registro di cui all’art. 18 è fornito, vidimato in ciascun foglio, dall’Istituto, a richiesta e spese
dell’impresa interessata e deve essere conservato almeno fino al 31 dicembre del terzo anno
successivo a quello nel quale è stata effettuata l’ultima registrazione.
Tutte le registrazioni devono essere effettuate senza abrasioni e spazi in bianco entro il giorno
successivo a quello delle operazioni cui si riferiscono.
2. Ogni laboratorio riconosciuto è dotato di proprio registro.
3. Ciascun esemplare o copia dei verbali, redatti in base alle disposizioni del regolamento e della
presente direttiva, nonché di ogni altro documento prescritto, deve essere conservato almeno fino
al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello nel quale è stato redatto il verbale o il
documento.
« Bianco di Castelfranco Emilia Igp - Controlli da Valoritalia Srl - 2013
Consorzio di tutela del Riso del Delta del Po IGP - Riconoscimento e incarico »