Romagna Dop - Proposta di modifica unionale del disciplinare
Proposta di modifica unionale del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta (DOC) dei vini «Romagna».
(21A00396)
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
COMUNICATO
(GU n.23 del 29-1-2021)
Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ai
sensi del decreto ministeriale 7 novembre 2012, recante la procedura
a livello nazionale per l'esame delle domande di protezione delle DOP
e IGP dei vini e di modifica dei disciplinari, tuttora vigente ai
sensi dell'art. 90, comma 3, della legge n. 238 del 12 dicembre 2016,
nelle more dell'adozione del nuovo decreto sulla procedura in
questione, in applicazione della citata legge n. 238/2016, nonche'
del regolamento delegato UE n. 33/2019 della Commissione e del
regolamento di esecuzione UE n. 34/2019 della Commissione,
applicativi del regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio
n. 1308/2013;
Visto il decreto ministeriale 22 settembre 2011, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 235 - 8 ottobre 2011
con il quale e' stata riconosciuta la denominazione di origine
controllata dei vini «Romagna» ed approvato il relativo disciplinare
di produzione;
Visto il decreto ministeriale 30 novembre 2011, pubblicato sul
sito internet del Ministero - Sezione qualita' - Vini DOP e IGP e
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 295 - 20
dicembre 2011, con il quale e' stato consolidato il disciplinare
della DOP «Romagna»;
Visto il decreto ministeriale 7 marzo 2014, pubblicato sul citato
sito internet del Ministero - Sezione qualita' - Vini DOP e IGP, con
il quale e' stato aggiornato il disciplinare di produzione della DOP
dei vini «Romagna»;
Visto il decreto ministeriale 8 gennaio 2019, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 21 - 25 gennaio 2019
e sul citato sito internet del Ministero - Sezione qualita' - Vini
DOP e IGP, con il quale e' stato modificato il disciplinare di
produzione della DOP dei vini «Romagna»;
Visto il decreto ministeriale 8 agosto 2019, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 200 - 27 agosto 2019
e pubblicato sul citato sito internet del Ministero - Sezione
qualita' - Vini DOP e IGP, con il quale e' stato da ultimo modificato
il disciplinare di produzione della DOP dei vini «Romagna»;
Vista la Gazzetta ufficiale dell'Unione europea n. C18 del
20/01/2020, concernente la pubblicazione della comunicazione di
approvazione della modifica ordinaria ai sensi dell'art. 17 del Reg.
UE n. 33/ 2019, al disciplinare di produzione della DOP dei vini
«Romagna», di cui al predetto decreto ministeriale 8 agosto 2019;
Esaminata la documentata domanda, presentata per il tramite della
Regione Emilia Romagna, su istanza del Consorzio tutela Vini di
Romagna con sede in Faenza (RA), intesa ad ottenere la modifica del
disciplinare di produzione della DOP dei vini «Romagna» nel rispetto
della procedura di cui al citato decreto ministeriale 7 novembre
2012;
Considerato che per l'esame della predetta domanda e' stata
esperita la procedura di cui agli articoli 6, 7 e 10 del decreto
ministeriale 7 novembre 2012, relativa alle modifiche «non minori»
dei disciplinari, che comportano modifiche al documento unico, ai
sensi della preesistente normativa dell'Unione europea, e in
particolare:
e' stato acquisito il parere favorevole della Regione Emilia
Romagna;
e' stato acquisito il parere favorevole del Comitato nazionale
vini DOP e IGP sulla proposta di modifica del disciplinare di
produzione della DOC dei vini «Romagna» relativamente all'inserimento
della categoria di prodotti vitivinicoli Vino Spumante di Qualita'
(VSQ) per le tipologie Bianco Vino Spumante e Rosato Vino Spumante.
Considerato che ai sensi del citato reg. UE n. 33/2019, entrato
in vigore il 14 gennaio 2019, le predette modifiche sono considerate
«unionali» e come tali seguono l'analoga procedura stabilita dalla
preesistente normativa dell'Unione europea per le modifiche non
minori e, pertanto, nelle more dell'adozione del nuovo decreto sulla
procedura nazionale relativa alle domande di protezione delle DOP e
IGP dei vini e di modifica dei disciplinari, sono da seguire per la
pubblicizzazione nazionale delle domande di modifiche «unionali» le
disposizioni di cui al decreto ministeriale 7 novembre 2012;
Provvede alla pubblicazione dell'allegata proposta di «modifica
unionale» del disciplinare di produzione della denominazione di
origine controllata dei vini «Romagna».
Le eventuali osservazioni alla suddetta proposta di modifica del
disciplinare di produzione, in regola con le disposizione contenute
nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642
«Disciplina dell'imposta di bollo» e successive modifiche ed
integrazioni, dovranno essere inviate dagli interessati al Ministero
delle politiche agricole, alimentari e forestali Ufficio PQAI IV, Via
XX Settembre, 20 - 00187 Roma, oppure al seguente indirizzo di posta
elettronica certificata: saq4@pec.politicheagricole.gov.it - entro
sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della predetta proposta.
Allegato
Proposta di modifica unionale del disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata dei vini «Romagna».
1. Alla denominazione di origine controllata dei vini «Romagna» e' stata aggiunta la categoria di prodotto Vino Spumante di Qualita' (VSQ - Categoria 5), pertanto all'articolo 1 «denominazione e vini» del disciplinare di produzione della medesima DOC viene indicata, per le tipologie Bianco Vino Spumante e Rosato Vino Spumante, anche la predetta categoria VSQ.
2. All'articolo 1 - denominazione e vini - il testo del comma 1:
«1.1. La denominazione di origine controllata "Romagna" e' riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione, per le seguenti tipologie, specificazioni aggiuntive o menzioni geografiche aggiuntive:
Albana spumante dolce (categoria Vino Spumante);
Bianco spumante (categoria Vino Spumante)
Rosato spumante (categoria Vino Spumante)
Cagnina;
Pagadebit, anche nella versione frizzante;
Sangiovese, anche con la specificazione novello e riserva;
Sangiovese passito (categoria Vino);
Sangiovese superiore, anche con la specificazione riserva;
Trebbiano, anche nella versione frizzante e spumante."»,
e' sostituito con il seguente testo :
«1.1. La denominazione di origine controllata "Romagna" e' riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione, per le seguenti tipologie, specificazioni aggiuntive o menzioni geografiche aggiuntive:
- Albana spumante dolce (categoria Vino Spumante);
- Bianco spumante (categoria Vino Spumante, Vino Spumante di qualita')
- Rosato spumante (categoria Vino Spumante, Vino Spumante di qualita')
- Cagnina;
- Pagadebit, anche nella versione frizzante;
- Sangiovese, anche con la specificazione novello e riserva;
- Sangiovese passito (categoria Vino);
- Sangiovese superiore, anche con la specificazione riserva;
- Trebbiano, anche nella versione frizzante e spumante.».
3. Conseguentemente alla modifica di cui al punto 1, all'articolo 9 «Legame con l'ambiente geografico» del disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata «Romagna», sono inseriti i riferimenti ai prodotti vitivinicoli ai quali viene attribuita la predetta Categoria VSQ.
4. All'articolo 9 - Legame con l'ambiente geografico- il testo vigente, di seguito riportato:
«A) Informazioni sulla zona geografica
1) Fattori naturali rilevanti per il legame
Il disciplinare "Romagna" DOC tiene conto delle aree di insediamento storiche e tradizionali della viti-vinicoltura romagnola, esaltando le migliori espressioni dell'interazione "vitigno/ambiente". L'areale di coltivazione di Sangiovese, Albana, Trebbiano romagnolo, Bombino bianco e Terrano comprende parte dei territori di quattro province (Bologna, Ravenna, Forli-Cesena e Rimini), con particolare riferimento alla collina, e si possono individuare due zone principali ben distinte: una pre-collinare, che si estende dalle falde delle ultime formazioni collinari degli Appennini fino alla via Emilia, comprendendo una fascia di terreni tendenzialmente piani appartenenti al Quaternario recente, e una zona nettamente collinare ascrivibile all'era Terziaria. Il periodo piu'
attivo dell'emersione dei rilievi della Romagna e' infatti riferibile a Miocene superiore, Pliocene e Postpliocene. L'Appennino romagnolo ha un'origine geologica comune e si compone, in linea generale, di formazioni calcaree e argillose. La formazione geologica che, per la sua estensione, maggiormente caratterizza la Romagna e' la "Marnoso-arenacea", una fascia piu' o meno ampia di stratificazioni successive e alternate di arenarie torbiditiche e marne. Durante il periodo Messiniano, quando il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano Atlantico, si depositarono rocce evaporitiche (gesso, anidrite, salgemma) che in Romagna sono ben visibili nella "Vena del gesso".
Seguono poi le deposizioni del Pliocene, a dominante argillosa, che si presentano spesso con la tipica morfologia a "calanchi", riscontrabile nelle valli basse. Da questa successione di rocce e'
abbastanza naturale che siano derivati, per effetto dell'erosione naturale e dell'intervento dell'uomo, terreni piu' o meno calcarei, argillosi, misti e, dove sono intervenute azioni di dilavamento ed erosione chimica, terreni residuali di costituzione diversa. In passato si distinguevano "terreni vergini o integrali", di formazione recente e di composizione strettamente connessa alla roccia madre, e "terreni residuali", decalcificati, ferrettizzati, antichi. Tra questi due estremi si ponevano i "terreni parzialmente ferrettizzati" (mezze savanelle) e le "terre rosse" (savanelle), completamente decalcificate. Recenti studi di zonazione hanno permesso di approfondire la conoscenza dei suoli e valutare anche l'influenza di questi su alcuni dei vitigni principali. Partendo dalla SS 9, via Emilia, e risalendo verso monte, si incontrano dapprima le "terre parzialmente decarbonatate della pianura pedemontana", a pendenza molto debole (0,2-1%), che si sono formate in sedimenti fluviali a tessitura media. Sono suoli molto profondi, con buona disponibilita' di ossigeno, elevata capacita' di acqua disponibile e buona fertilita' naturale; da scarsamente a moderatamente calcarei nell'orizzonte lavorato e con contenuti in calcare decisamente piu' elevati negli orizzonti profondi. A seguire si incontrano le "terre scarsamente calcaree del margine appenninico", costituite da suoli formatisi in sedimenti argilloso-limosi deposti dai fiumi, profondi, a tessitura moderatamente fine o fine, moderatamente calcarei in superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Possono essere soggetti a ristagno idrico. Le "terre limose dei terrazzi antichi" sono estese paleosuperfici, pianeggianti o dolcemente inclinate, formate da sedimenti fluviali a varia tessitura, con una componente superficiale talvolta di origine eolica. Sono terreni molto profondi, a tessitura fine o media su fine, non calcarei, strutturalmente poco stabili e soggetti a ristagno idrico. Per conservare o migliorare la fertilita' fisico-idrologica necessitano di buoni apporti di sostanza organica. Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote comprese tra 130 e 380 m slm, si trovano le "terre calcaree del basso Appennino, localmente associate a calanchi", suoli che si sono formati in rocce prevalentemente argillose o pelitiche, con intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica, e si presentano con profondita' variabile da moderata a molto profonda, a tessitura media, da scarsamente a fortemente calcarei. Talora sono presenti orizzonti con accumulo di carbonati di calcio e possono presentare il substrato di roccia tenera (peliti) entro i 100 cm di profondita'.
Infine si arriva in prossimita' della formazione Marnoso-arenacea,
che ha dato origine alle "terre calcaree del basso Appennino con
versanti a franapoggio e reggipoggio". Le quote sono tipicamente tra
110 e 430 m slm. Sono suoli moderatamente ripidi, da moderatamente a
molto profondi, a tessitura media, calcarei e che possono presentare
il substrato roccioso entro i 100 cm di profondita'. Nel basso
Appennino romagnolo, l'unita' geologica maggiormente diffusa,
dall'Imolese al Forlivese, e' la formazione delle argille azzurre,
mentre passando al Cesenate tendono a prevalere i terreni calcarei
riconducibili alla formazione Marnoso-arenacea, che poi tendono a
diminuire sul territorio riminese, dove la viticoltura si sviluppa in
modo particolare sulle "terre calcaree del basso Appennino riminese",
che comprendono suoli formati in rocce prevalentemente argillose o
pelitiche, con intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica (Formazione
delle argille azzurre e formazione delle arenarie di Borello).
Un'area marginale delle viticoltura si trova sulle "terre dei Gessi
del basso Appennino riminese", con suoli che si sono formati in rocce
stratificate di marne gessose e tripolacee. Altra formazione degna di
menzione e' la "Vena dello Spungone" che caratterizza in particolare
il Forlivese, anche se parte dal Faentino-Brisighellese per arrivare
fino a Bertinoro, una delle aree di elezione dell'Albana. Per quanto
riguarda il clima, partendo dalla via Emilia con sommatorie termiche
intorno ai 2000- 2200 gradi giorno (indice di Winkler), si arriva
intorno al 1400-1600 gradi giorno delle aree piu' alte della
viticoltura.
2) Fattori umani rilevanti per il legame.
La vite e il vino hanno sempre giocato ruoli economici,
sociali, politici e ideologici fondamentali nella storia di molti
paesi e, come noto, la storia e' in grado di modellare persone e
paesaggi. E cio' e' vero anche per la Romagna, un'area i cui confini
geografici sono stati dibattuti per secoli senza mai arrivare ad una
definizione unanime, ma che trova nel carattere della sua gente un
filo conduttore comune. Lucio Gambi scrisse che la "romagnolita', e'
in primo luogo uno stato d'animo, un'isola del sentimento, un modo di
vedere e di comportarsi" e forse e' proprio per questo che la Romagna
e' stata piu' spesso definita, non con limiti fisici o amministrativi
bensi' attraverso i comportamenti umani, come quell'area in cui,
chiedendo da bere, viene spontaneamente offerto vino e non acqua.
Indubbiamente si tratta di un retaggio legato alla particolare
situazione del passato, per cui le acque erano spesso non potabili e
il vino svolgeva un'importante azione disinfettante. La storia e la
letteratura classica ci parlano spesso di una Romagna particolarmente
produttiva, senza negare, pero', produzioni di eccellenza: i vini di
Cesena in epoca Romana e anche successiva, l'Albana di Bertinoro,
come pure la "rosseggiante" Cagnina senza dimenticare il Pagadebito
gentile. A seguire alcune informazioni sulla diffusione e l'impiego
dei principali vitigni tradizionali della Romagna, contemplati dal
presente Disciplinare. Terrano. La dominazione bizantina potrebbe
essere stata il momento in cui il Refosco d'Istria o Terrano d'Istria
si e' diffuso in Romagna. Sta di fatto che, in tempi storici, ha dato
origine ad un vino molto apprezzato chiamato "Cagnina", riconosciuto
a DOC con DPR 17-03-1988 (Cagnina di Romagna). Riferisce Giovanni
Manzoni che la Cagnina e' un'uva probabilmente originaria della
Jugoslavia, "tenuta in gran pregio sebbene anticamente fosse piccola
di grappolo e di acini radi. Coltivata in Romagna gia' nel 1200 in
alcune piane del Cesenate, del Forlivese e del Ravennate, fu poi
limitata solamente a qualche modesto vigneto, come lo e' ancora oggi,
per la sua scarsa resa". Diversi gli scritti e i componimenti poetici
tra Ottocento e Novecento che attestano la diffusione e
l'apprezzamento della Cagnina in Romagna. Bombino bianco. Localmente
detto Pagadebito gentile, da cui il nome del vino. L'origine del
vitigno non e' nota, ma si tratta di varieta' diffusa lungo tutta la
fascia adriatica della Penisola con nomi diversi nelle varie regioni,
ma che richiamano spesso la sua capacita' produttiva. Secondo
Hohnerlein-Buchinger l'etimo sarebbe da "produce tanto da pagare i
debiti", in realta' la produttivita', specie in collina, non e'
elevatissima ma costante negli anni; infatti si tratta di varieta'
rustica e con sottogemme fertili, tanto che se una gelata tardiva
puo' compromettere gravemente la produzione della maggior parte degli
altri vitigni, con il Pagadebito e' comunque garantita una buona
produzione. Nell'area di Bertinoro un tempo si facevano vigneti misti
di Albana gentile e Pagadebiti proprio per compensare una eventuale
carenza produttiva del primo vitigno. La prima citazione scritta di
un "Pagadebito bianco" tra le viti "de' contorni di Rimino" e'
dell'Acerbi e risale al 1825. Nell'ambito della mostra ampelografica
tenutasi a Forli' nel 1876 si ebbe la possibilita' di confrontare tra
loro grappoli di Pagadebito provenienti da diversi areali e si
convenne che "Il Pagadebito gentile di Forli', di Bertinoro, e di
Predappio si differenzia dal Pagadebito verdone per gli acini piu'
sferici, meno grossi, meno verdi e piu' dolci". Storicamente e' stata
riconosciuta una particolare e pregevole tradizione di coltivazione
del Pagadebito nell'areale di Bertinoro, messa in evidenza anche nel
Disciplinare della DOC "Pagadebit di Romagna" accolto con DPR
17-03-1988. Sangiovese. La zona di diffusione principale del
Sangiovese si colloca tra Romagna e Toscana ed e' in questi due
territori che da tempi storici si sono venuti a delineare vari
biotipi, ma soprattutto vini differenti, frutto dell'interazione
specifica e peculiare di territori diversi con questo vitigno. Nello
studio della storia di un vino si fa spesso riferimento ai miti e
alle religioni dei popoli, ma non bisogna trascurare un altro
elemento fondamentale, la "tipicita'", poiche' essa passa attraverso
il territorio, la metodologia di produzione e il contesto temporale e
sociale. Per quanto riguarda il Sangiovese la prima attestazione
scritta della sua coltivazione in territorio Toscano risale alla fine
del 1500 (Soderini), ma Cosimo Villifranchi nella seconda meta' del
Settecento parla di un "San Gioveto romano" coltivato in particolare
nel Faentino. E' conservato all'Archivio di Stato di Faenza l'atto
notarile del 1672 che cita in podere Fontanella di Pagnano, comune di
Casola Valsenio, "tre filari di Sangiovese". Per alcuni linguisti
assunse in Appennino tosco-romagnolo il nome "Sangue dei gioghi"
cioe' dei monti, contratto in dialetto locale in "sanzves". Secondo
Beppe Sangiorgi, le prime citazioni del Sangiovese in Romagna
riguardano l'area faentina imolese. Tra Settecento e Ottocento sono
poi numerosi i poemi e ditirambi che lodano questo vino. Nel 1839, il
conte Gallesio giunse a Forli', da Firenze, percorrendo la strada
aperta dal granduca Pietro Leopoldo lungo il corso del fiume Montone
ed ebbe modo di descrivere i vigneti incontrati nel percorso: "le
vigne ... sono tutte a ceppi bassi attaccati ad un picciolo palo come
in Francia, le uve che vi si coltivano sono per la maggior parte il
Sangiovese di Romagna". Nei vecchi testi, quindi, viene spesso
identificato un Sangiovese coltivato in Romagna con caratteristiche
sue proprie che lo fanno distinguere da quelli coltivati in altre
aree, ma soprattutto va rimarcato come fosse diverso l'approccio
enologico al vitigno rispetto alla Toscana: in Romagna si vinificava
in purezza, mentre in Toscana si trattava piu' spesso di uvaggi (come
il ben noto Chianti) o di tagli con altri vitigni. Questa
caratteristica e' stata contemplata nel Disciplinare "Romagna"
Sangiovese: l'uso della menzione geografica aggiuntiva per i vini di
Sangiovese e' subordinata all'utilizzo di almeno il 95% di uve del
vitigno. La DOC "Sangiovese di Romagna", confluita nella DOC
"Romagna", fu istituita con DPR 09-07-1967. Trebbiano romagnolo. I
"Trebbiani" sono una famiglia di vitigni molto antichi che hanno
trovato alcune zone di elezione che gli hanno tributato la seconda
parte del nome: Trebbiano romagnolo, piuttosto che toscano, modenese,
abruzzese, per citarne alcuni. Nel Trecento il Trebbiano veniva
annoverato tra i vini "di lusso" del medioevo, mentre in tempi piu'
recenti appare un'immagine piu' differenziata del Trebbiano, che
viene considerato anche un vino di carattere semplice. Lo citano il
Soderini nel Cinquecento, il Trinci Settecento e tra la fine
dell'Ottocento e l'inizio del Novecento diversi autori cercano di
mettere ordine tra le diverse tipologie e sinonimie. In Romagna si
coltivava in prevalenza il Trebbiano della fiamma, cosi' detto
perche' i grappoli esposti al sole prendono una colorazione
giallo-rossastra. Nel Molon (1906) si legge che il vitigno era
coltivato soprattutto nelle province di Forli' e Ravenna, meno nel
Cesenate, dove prevaleva l'Albana e si riporta quanto affermato da
Pasqualini e Pasqui in merito all'apprezzamento del Trebbiano nei
filari di pianura, nonostante l'elevata umidita'. La sua vasta
diffusione e' dovuta alla capacita' di adattarsi alle piu' diverse
tipologie di terreno e condizioni climatiche, alla costante
produttivita' ed alle caratteristiche del vino: gradevole, corretto e
facilmente commerciabile. Con il DPR 31-08-1973 viene istituita la
DOC "Trebbiano di Romagna", che ricomprende un'area di coltivazione
che si estende dalla collina verso quelle aree di pianura dove i
terreni sono piu' argillosi o argilloso-sabbiosi. Vini amabili,
frizzanti e spumanti. La presenza in Romagna di vitigni tipicamente a
maturazione medio-tardiva o tardiva (Trebbiano, Pagadebiti) faceva
si' che il sopraggiungere del freddo invernale bloccasse la
fermentazione lasciando nei vini residui zuccherini piu' o meno
importanti. Da qui l'uso di bere vini dolci o amabili nel periodo
autunno-invernale e vini frizzanti e spumanti nell'estate successiva
la vendemmia. Infatti i vini con residuo zuccherino, una volta messi
in bottiglia, riprendevano a fermentare con l'arrivo dei primi caldi,
originando una frizzantatura naturale. Vi era quindi una tradizione,
se si vuole involontaria, di spumanti e frizzanti, che con
l'accrescersi delle conoscenze enologiche e' stata perfezionata:
l'uso del freddo in cantina consente di preservare profumi e aromi e
l'uso di lieviti selezionati consente di ottimizzare le
fermentazioni.
B) Informazioni sulla qualita' o sulle caratteristiche del
prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente
geografico I diversi tipi di suolo che si incontrano negli areali di
coltivazione della DOC Romagna, dalle argille evolute di Predappio,
alle sabbie molasse del Messiniano tra il Faentino e il Forlivese, al
calcare di Bertinoro o ancora alle arenarie e alle argille di
Brisighella, non possono non influenzare le note sensoriali dei vini
su di essi prodotti. In particolare, il Sangiovese in purezza tende
ad acquisire caratteri distintivi ben percepibili a seconda delle
aree di coltivazione delle uve e gia' all'inizio del Novecento il
dott. Savelli, sulla base delle numerose analisi chimiche effettuate
nel suo laboratorio, aveva suddiviso i vini di Sangiovese in tre
gruppi: "uno speciale Sangiovese in alcune localita' dell'ex
circondario di Forli' (Predappio e Civitella); un tipo, molto vicino
al precedente per caratteri chimici ed organolettici, prodotto
nell'ex circondario di Cesena; un tipo, diverso dai due precedenti,
prodotto nell'ex circondario di Rimini". Le differenze (minore grado
alcolico, minore estratto, maggiore acidita' ed in particolare una
maggiore sapidita' del Sangiovese di Rimini) derivavano dal fatto che
nel Riminese l'uva Sangiovese veniva vinificata con una certa
quantita' di Trebbiano, tradizione che si e' ormai persa, anche se
rimangono alcuni di questi tratti distintivi. Altra nota importante
per la coltivazione del Sangiovese e' relativa al clima: per una
corretta maturazione occorre privilegiare altitudini medio-basse ed
esposizioni nei quadranti da sud a ovest, onde conseguire un perfetto
soddisfacimento delle sue esigenze termiche (1800-2000 gradi giorno).
Per rendere merito delle differenze tra i vini di Sangiovese ottenuti
in situazioni pedo-climatiche differenti, per quei produttori che
intendono massimizzare l'interazione vitigno/ambiente, nel rispetto
di una tradizione tipicamente romagnola che vuole il Sangiovese
vinificato sostanzialmente da solo, sono state identificate le
"sottozone" che possono fregiarsi di una menzione geografica
aggiuntiva rispetto a "Romagna DOC Sangiovese". L'interazione
"vitigno-ambiente-uomo", per il Sangiovese, verra' meglio specificata
al punto C). I vini ottenuti con la varieta' Terrano si presentano in
genere abbastanza freschi, profumati e con un certo residuo
zuccherino, come vuole la tradizione, anche se qualche viticoltore ha
cercato di potenziarne la struttura, come richiedeva il mercato del
2000. Anche per quanto riguarda i vini bianchi, la varieta' di suoli
e di situazioni meso-climatiche riscontrabili sul territorio della
Denominazione "Romagna", consentono di ottenere tipologie differenti:
da vini piu' freschi a prevalente componente floreale, magari anche
frizzanti o spumanti, a vini bianchi piu' strutturati, con sentori di
frutta matura e talora aromi terziari derivati dalla vinificazione
e/o affinamento in legno.
C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui
alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B). A partire dagli anni
'70 il miglioramento della tecnica agronomica ed enologica e' stato
importante e la Romagna ha recepito bene l'innovazione del settore
viti-vinicolo, facendo perno, pero', su una tradizione ormai
consolidata. Ne sono conseguiti una razionalizzazione
nell'allestimento e nella gestione degli impianti e un radicale
miglioramento delle strutture e delle tecniche enologiche in cantina.
Il risultato e' stato che anche nei vini della tradizione romagnola
si e' assistito ad un importante miglioramento del livello
qualitativo. Un altro cambiamento importante e' legato agli studi di
zonazione viticola, che hanno contribuito ad una migliore definizione
degli ambienti pedo-climatici piu' idonei per i vari vitigni, ma
soprattutto hanno aumentato la sensibilita' dei viticoltori nei
confronti della scelta varietale, portandoli a porsi in maniera piu'
critica di fronte a questa questione. Per quanto riguarda il
Sangiovese, l'esperienza e la perizia che i viti-vinicoltori hanno
acquisito in relazione ai vari contesti ambientali e culturali ha
permesso di connotare in modo piu' preciso alcune produzioni locali,
definendo quelle che sono definite "sottozone". Partendo da ovest
verso est si incontrano le seguenti aree tipiche per la produzione
del Sangiovese:
Serra. Storicamente e' indicato in Romagna come un territorio
molto vocato. Il clima e' tendenzialmente continentale e poco
mitigato dalla rilevante distanza dal mare. In generale i vini
possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, esaltati da una
corretta esposizione delle vigne.
Brisighella. Comprensorio particolare anche per il
microclima, che ha altresi' consentito il consolidarsi di una
tradizione oleicola importante. L'areale ricomprende anche i terreni
prossimi alla vena del gesso, oltre a suoli ricchi di arenarie e
argilla, che consentono di avere vini di buona struttura, eleganti,
con note floreali e fruttate spiccate e una buona freschezza.
Marzeno. In questo territorio si trova un primo affioramento
importante della formazione dello "Spungone" che si intercala alle
argille azzurre plio-pleistoceniche. Territorio aspro e forte, che
imprime forza anche ai vini che qui si producono. Il fruttato tende a
prevalere decisamente sul floreale.
Modigliana. Qui il territorio si inasprisce ulteriormente
consentendo di produrre vini dalla struttura decisa, potenti, austeri
e longevi.
Oriolo. Una zona con un terreno particolare, caratterizzato
dalla presenza di sabbie gialle che spesso affiorano tra terreni
argillosi o limoso-argillosi. A seconda dell'esposizione e della
prevalenza di sabbia o argilla e' possibile ottenere vini di grande
struttura che acquisiscono la giusta morbidezza solo dopo un certo
affinamento, oppure vini fruttati e floreali piu' pronti e di buon
equilibrio.
Castrocaro-Terra del Sole. Terre della cosiddetta Romagna
Toscana, hanno risentito molto dell'influenza del Granducato, tanto
che la definizione dell'area deriva piu' dalla storia e tradizione
locale che non da una differenza sostanziale con i prodotti della
limitrofa area di Oriolo.
Predappio. Il Sangiovese di questo territorio ha sempre
goduto di una nomea importante tramandata dalla tradizione popolare
orale. Soprattutto dal biotipo locale ad acino allungato, si
ottengono vini dal fruttato molto evidente e con tannini piuttosto
duri e austeri.
Meldola. L'areale era gia' coltivato in epoca romana e da
allora si e' evoluta e stratificata la tecnica agricola che ha
portato agli attuali risultati anche nel settore enologico.
L'esposizione principale da Nord-Ovest a Nord-Est consente di avere
vini di Sangiovese fini e dal profilo aromatico fruttato.
Bertinoro. Tradizionalmente territorio di Albana (che qui
vanta una lunga tradizione) ha scoperto solo recentemente una buona
vocazione anche per il Sangiovese, che presenta una struttura
importante che necessita di tempi di maturazione abbastanza lunghi.
Cesena. Citati anche dagli Autori classici latini, i vini di
Cesena hanno sempre goduto di una chiara fama. Il Sangiovese su
queste colline riesce a ricomprendere in se' una struttura importante
ma mai eccessiva e un fruttato di ciliegia matura sempre ben
percepibile. Struttura ed eleganza insieme.
San Vicinio. Comprende l'area in cui si esprime al massimo
grado la formazione Marnoso-arenacea romagnola. I suoli Celincordia
"Celincordia" [CEL, in riferimento alla Carta dei suoli dell'Emilia
Romagna, scala 1:250.000. Classificazione Soil Taxonomy (Chiavi
1990): loamy, mixed, mesic Typic Ustochrepts. Legenda FAO (1990):
Haplic Calcisols)], specialmente ad altitudine inferiore ai 150-200 m
slm, si sono rivelati quelli piu' vocati alla coltivazione del
Sangiovese, che fornisce mosti e vini molto equilibrati, con un buon
rapporto tra alcolicita' e acidita' e una tannicita' piuttosto dolce.
Longiano. I vini dell'area sono caldi e ricchi, con un
fruttato molto evidente e una buona struttura, che puo' essere
guidata con adeguati accorgimenti agronomici anche verso espressioni
molto forti, che pero' finiscono per penalizzare la naturale eleganza
del connubio tra il vitigno e il territorio.
Anche per gli altri vitigni l'interazione col suolo porta a
varianti interessanti e talora particolarmente significative. La
predilezione del Bombino bianco, come del resto dell'Albana, per
l'areale bertinorese e' sicuramente da mettere in relazione con i
terreni poveri e calcarei derivati dalla formazione geologica dello
Spungone, che proprio in quest'area presenta le sue "emergenze" piu'
significative. I suoli riescono a contenere la naturale vigoria di
questi vitigni, consentendo un miglior equilibrio vegeto-produttivo e
di conseguenza una piu' equilibrata composizione dei mosti; mentre il
calcare contribuisce alla maggiore finezza olfattiva dei vini. Nei
terreni argillosi di pianura, che limitano naturalmente la vigoria e
la produttivita' del Trebbiano romagnolo, si riescono ad ottenere
vini di buona struttura e con una buona finezza aromatica, nonostante
il vitigno sia normalmente definito "neutro". Vini di Trebbiano con
maggiore struttura si ottengono nei terreni piu' poveri di collina.
Buona finezza olfattiva anche per i vini ottenuti da uve coltivate su
terreni sabbiosi (Terrano e Trebbiano, ad esempio). Anche le Albane
tendono a differenziarsi sui vari tipi di suolo: vini strutturati e
con sentori di miele e albicocca essiccata nei terreni piu'
argillosi, fruttato di albicocca piu' deciso nell'Imolese e sentori
piu' floreali nelle Albane del Faentino. La tradizione di vini
frizzanti e spumanti ottenuta a partire dai vitigni bianchi romagnoli
e' stata molto migliorata grazie all'introduzione del freddo e di
altre tecnologie in cantina, senza dimenticare che la maggior cura
nella produzione e nella scelta delle uve in campo ha fatto comunque
la sua parte.»,
e' sostituito con il seguente testo:
«A) Informazioni sulla zona geografica
1) Fattori naturali rilevanti per il legame
Il disciplinare "Romagna" DOC tiene conto delle aree di
insediamento storiche e tradizionali della viti-vinicoltura
romagnola, esaltando le migliori espressioni dell'interazione
"vitigno/ambiente". L'areale di coltivazione di Sangiovese, Albana,
Trebbiano romagnolo, Bombino bianco e Terrano comprende parte dei
territori di quattro province (Bologna, Ravenna, Forli-Cesena e
Rimini), con particolare riferimento alla collina, e si possono
individuare due zone principali ben distinte: una pre- collinare, che
si estende dalle falde delle ultime formazioni collinari degli
Appennini fino alla viaEmilia, comprendendo una fascia di terreni
tendenzialmente piani appartenenti al Quaternario recente, e una zona
nettamente collinare ascrivibile all'era Terziaria. Il periodo piu'
attivo dell'emersione dei rilievi della Romagna e' infatti riferibile
a Miocene superiore, Pliocene e Postpliocene. L'Appennino romagnolo
ha un'origine geologica comune e si compone, in linea generale, di
formazioni calcaree e argillose. La formazione geologica che, per la
sua estensione, maggiormente caratterizza la Romagna e' la
"Marnoso-arenacea", una fascia piu' o meno ampia di stratificazioni
successive e alternate di arenarie torbiditiche e marne. Durante il
periodo Messiniano, quando il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano
Atlantico, si depositarono rocce evaporitiche (gesso, anidrite,
salgemma) che in Romagna sono ben visibili nella "Vena del gesso".
Seguono poi le deposizioni del Pliocene, a dominante argillosa, che
si presentano spesso con la tipica morfologia a "calanchi",
riscontrabile nelle valli basse. Da questa successione di rocce e'
abbastanza naturale che siano derivati, per effetto dell'erosione
naturale e dell'intervento dell'uomo, terreni piu' o meno calcarei,
argillosi, misti e, dove sono intervenute azioni di dilavamento ed
erosione chimica, terreni residuali di costituzione diversa. In
passato si distinguevano "terreni vergini o integrali", di formazione
recente e di composizione strettamente connessa alla roccia madre, e
"terreni residuali", decalcificati, ferrettizzati, antichi. Tra
questi due estremi si ponevano i "terreni parzialmente ferrettizzati"
(mezze savanelle) e le "terre rosse" (savanelle), completamente
decalcificate. Recenti studi di zonazione hanno permesso di
approfondire la conoscenza dei suoli e valutare anche l'influenza di
questi su alcuni dei vitigni principali. Partendo dalla SS 9, via
Emilia, e risalendo verso monte, si incontrano dapprima le "terre
parzialmente decarbonatate della pianura pedemontana", a pendenza
molto debole (0,2-1%), che si sono formate in sedimenti fluviali a
tessitura media. Sono suoli molto profondi, con buona disponibilita'
di ossigeno, elevata capacita' di acqua disponibile e buona
fertilita' naturale; da scarsamente a moderatamente calcarei
nell'orizzonte lavorato e con contenuti in calcare decisamente piu'
elevati negli orizzonti profondi. A seguire si incontrano le "terre
scarsamente calcaree del margine appenninico", costituite da suoli
formatisi in sedimenti argilloso- limosi deposti dai fiumi, profondi,
a tessitura moderatamente fine o fine, moderatamente calcarei in
superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Possono essere
soggetti a ristagno idrico. Le "terre limose dei terrazzi antichi"
sono estese paleosuperfici, pianeggianti o dolcemente inclinate,
formate da sedimenti fluviali a varia tessitura, con una componente
superficiale talvolta di origine eolica. Sono terreni molto profondi,
a tessitura fine o media su fine, non calcarei, strutturalmente poco
stabili e soggetti a ristagno idrico. Per conservare o migliorare la
fertilita' fisico-idrologica necessitano di buoni apporti di sostanza
organica. Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote comprese
tra 130 e 380 m slm, si trovano le "terre calcaree del basso
Appennino, localmente associate a calanchi", suoli che si sono
formati in rocce prevalentemente argillose o pelitiche, con
intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica, e si presentano con
profondita' variabile da moderata a molto profonda, a tessitura
media, da scarsamente a fortemente calcarei. Talora sono presenti
orizzonti con accumulo di carbonati di calcio e possono presentare il
substrato di roccia tenera (peliti) entro i 100 cm di profondita'.
Infine si arriva in prossimita' della formazione Marnoso-arenacea,
che ha dato origine alle "terre calcaree del basso Appennino con
versanti a franapoggio e reggipoggio". Le quote sono tipicamente tra
110 e 430 m slm. Sono suoli moderatamente ripidi, da moderatamente a
molto profondi, a tessitura media, calcarei e che possono presentare
il substrato roccioso entro i 100 cm di profondita'. Nel basso
Appennino romagnolo, l'unita' geologica maggiormente diffusa,
dall'Imolese al Forlivese, e' la formazione delle argille azzurre,
mentre passando al Cesenate tendono a prevalere i terreni calcarei
riconducibili alla formazione Marnoso-arenacea, che poi tendono a
diminuire sul territorio riminese, dove la viticoltura si sviluppa in
modo particolare sulle "terre calcaree del basso Appennino riminese",
che comprendono suoli formati in rocce prevalentemente argillose o
pelitiche, con intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica (Formazione
delle argille azzurre e formazione delle arenarie di Borello).
Un'area marginale delle viticoltura si trova sulle "terre dei Gessi
del basso Appennino riminese", con suoli che si sono formati in rocce
stratificate di marne gessose e tripolacee. Altra formazione degna di
menzione e' la "Vena dello Spungone" che caratterizza in particolare
il Forlivese, anche se parte dal Faentino-Brisighellese per arrivare
fino a Bertinoro, una delle aree di elezione dell'Albana. Per quanto
riguarda il clima, partendo dalla via Emilia con sommatorie termiche
intorno ai 2000- 2200 gradi giorno (indice di Winkler), si arriva
intorno al 1400-1600 gradi giorno delle aree piu' alte della
viticoltura.
2) Fattori umani rilevanti per il legame.
La vite e il vino hanno sempre giocato ruoli economici,
sociali, politici e ideologici fondamentali nella storia di molti
paesi e, come noto, la storia e' in grado di modellare persone e
paesaggi. E cio' e' vero anche per la Romagna, un'area i cui confini
geografici sono stati dibattuti per secoli senza mai arrivare ad una
definizione unanime, ma che trova nel carattere della sua gente un
filo conduttore comune. Lucio Gambi scrisse che la "romagnolita', e'
in primo luogo uno stato d'animo, un'isola del sentimento, un modo di
vedere e di comportarsi" e forse e' proprio per questo che la Romagna
e' stata piu' spesso definita, non con limiti fisici o amministrativi
bensi' attraverso i comportamenti umani, come quell'area in cui,
chiedendo da bere, viene spontaneamente offerto vino e non acqua.
Indubbiamente si tratta di un retaggio legato alla particolare
situazione del passato, per cui le acque erano spesso non potabili e
il vino svolgeva un'importante azione disinfettante. La storia e la
letteratura classica ci parlano spesso di una Romagna particolarmente
produttiva, senza negare, pero', produzioni di eccellenza: i vini di
Cesena in epoca Romana e anche successiva, l'Albana di Bertinoro,
come pure la "rosseggiante" Cagnina senza dimenticare il Pagadebito
gentile. A seguire alcune informazioni sulla diffusione e l'impiego
dei principali vitigni tradizionali della Romagna, contemplati dal
presente Disciplinare. Terrano. La dominazione bizantina potrebbe
essere stata il momento in cui il Refosco d'Istria o Terrano d'Istria
si e' diffuso in Romagna. Sta di fatto che, in tempi storici, ha dato
origine ad un vino molto apprezzato chiamato "Cagnina", riconosciuto
a DOC con DPR 17-03-1988 (Cagnina di Romagna). Riferisce Giovanni
Manzoni che la Cagnina e' un'uva probabilmente originaria della
Jugoslavia, "tenuta in gran pregio sebbene anticamente fosse piccola
di grappolo e di acini radi. Coltivata in Romagna gia' nel 1200 in
alcune piane del Cesenate, del Forlivese e del Ravennate, fu poi
limitata solamente a qualche modesto vigneto, come lo e' ancora oggi,
per la sua scarsa resa". Diversi gli scritti e i componimenti poetici
tra Ottocento e Novecento che attestano la diffusione e
l'apprezzamento della Cagnina in Romagna. Bombino bianco. Localmente
detto Pagadebito gentile, da cui il nome del vino. L'origine del
vitigno non e' nota, ma si tratta di varieta' diffusa lungo tutta la
fascia adriatica della Penisola con nomi diversi nelle varie regioni,
ma che richiamano spesso la sua capacita' produttiva. Secondo
Hohnerlein-Buchinger l'etimo sarebbe da "produce tanto da pagare i
debiti", in realta' la produttivita', specie in collina, non e'
elevatissima ma costante negli anni; infatti si tratta di varieta'
rustica e con sottogemme fertili, tanto che se una gelata tardiva
puo' compromettere gravemente la produzione della maggior parte degli
altri vitigni, con il Pagadebito e' comunque garantita una buona
produzione. Nell'area di Bertinoro un tempo si facevano vigneti misti
di Albana gentile e Pagadebiti proprio per compensare una eventuale
carenza produttiva del primo vitigno. La prima citazione scritta di
un "Pagadebito bianco" tra le viti "de' contorni di Rimino" e'
dell'Acerbi e risale al 1825. Nell'ambito della mostra ampelografica
tenutasi a Forli' nel 1876 si ebbe la possibilita' di confrontare tra
loro grappoli di Pagadebito provenienti da diversi areali e si
convenne che "Il Pagadebito gentile di Forli', di Bertinoro, e di
Predappio si differenzia dal Pagadebito verdone per gli acini piu'
sferici, meno grossi, meno verdi e piu' dolci". Storicamente e' stata
riconosciuta una particolare e pregevole tradizione di coltivazione
del Pagadebito nell'areale di Bertinoro, messa in evidenza anche nel
Disciplinare della DOC "Pagadebit di Romagna" accolto con DPR
17-03-1988. Sangiovese. La zona di diffusione principale del
Sangiovese si colloca tra Romagna e Toscana ed e' in questi due
territori che da tempi storici si sono venuti a delineare vari
biotipi, ma soprattutto vini differenti, frutto dell'interazione
specifica e peculiare di territori diversi con questo vitigno. Nello
studio della storia di un vino si fa spesso riferimento ai miti e
alle religioni dei popoli, ma non bisogna trascurare un altro
elemento fondamentale, la "tipicita'", poiche' essa passa attraverso
il territorio, la metodologia di produzione e il contesto temporale e
sociale. Per quanto riguarda il Sangiovese la prima attestazione
scritta della sua coltivazione in territorio Toscano risale alla fine
del 1500 (Soderini), ma Cosimo Villifranchi nella seconda meta' del
Settecento parla di un "San Gioveto romano" coltivato in particolare
nel Faentino. E' conservato all'Archivio di Stato di Faenza l'atto
notarile del 1672 che cita in podere Fontanella di Pagnano, comune di
Casola Valsenio, "tre filari di Sangiovese". Per alcuni linguisti
assunse in Appennino tosco-romagnolo il nome "Sangue dei gioghi"
cioe' dei monti, contratto in dialetto locale in "sanzves". Secondo
Beppe Sangiorgi, le prime citazioni del Sangiovese in Romagna
riguardano l'area faentina imolese. Tra Settecento e Ottocento sono
poi numerosi i poemi e ditirambi che lodano questo vino. Nel 1839, il
conte Gallesio giunse a Forli', da Firenze, percorrendo la strada
aperta dal granduca Pietro Leopoldo lungo il corso del fiume Montone
ed ebbe modo di descrivere i vigneti incontrati nel percorso: "le
vigne ... sono tutte a ceppi bassi attaccati ad un picciolo palo come
in Francia, le uve che vi si coltivano sono per la maggior parte il
Sangiovese di Romagna". Nei vecchi testi, quindi, viene spesso
identificato un Sangiovese coltivato in Romagna con caratteristiche
sue proprie che lo fanno distinguere da quelli coltivati in altre
aree, ma soprattutto va rimarcato come fosse diverso l'approccio
enologico al vitigno rispetto alla Toscana: in Romagna si vinificava
in purezza, mentre in Toscana si trattava piu' spesso di uvaggi (come
il ben noto Chianti) o di tagli con altri vitigni. Questa
caratteristica e' stata contemplata nel Disciplinare "Romagna"
Sangiovese: l'uso della menzione geografica aggiuntiva per i vini di
Sangiovese e' subordinata all'utilizzo di almeno il 95% di uve del
vitigno. La DOC "Sangiovese di Romagna", confluita nella DOC
"Romagna", fu istituita con DPR 09-07-1967. Trebbiano romagnolo. I
"Trebbiani" sono una famiglia di vitigni molto antichi che hanno
trovato alcune zone di elezione che gli hanno tributato la seconda
parte del nome: Trebbiano romagnolo, piuttosto che toscano, modenese,
abruzzese, per citarne alcuni. Nel Trecento il Trebbiano veniva
annoverato tra i vini "di lusso" del medioevo, mentre in tempi piu'
recenti appare un'immagine piu' differenziata del Trebbiano, che
viene considerato anche un vino di carattere semplice. Lo citano il
Soderini nel Cinquecento, il Trinci Settecento e tra la fine
dell'Ottocento e l'inizio del Novecento diversi autori cercano di
mettere ordine tra le diverse tipologie e sinonimie. In Romagna si
coltivava in prevalenza il Trebbiano della fiamma, cosi' detto
perche' i grappoli esposti al sole prendono una colorazione
giallo-rossastra. Nel Molon (1906) si legge che il vitigno era
coltivato soprattutto nelle province di Forli' e Ravenna, meno nel
Cesenate, dove prevaleva l'Albana e si riporta quanto affermato da
Pasqualini e Pasqui in merito all'apprezzamento del Trebbiano nei
filari di pianura, nonostante l'elevata umidita'. La sua vasta
diffusione e' dovuta alla capacita' di adattarsi alle piu' diverse
tipologie di terreno e condizioni climatiche, alla costante
produttivita' ed alle caratteristiche del vino: gradevole, corretto e
facilmente commerciabile. Con il DPR 31-08-1973 viene istituita la
DOC "Trebbiano di Romagna", che ricomprende un'area di coltivazione
che si estende dalla collina verso quelle aree di pianura dove i
terreni sono piu' argillosi o argilloso-sabbiosi. Vini amabili,
frizzanti, spumanti e spumanti di qualita'. La presenza in Romagna di
vitigni tipicamente a maturazione medio-tardiva o tardiva (Trebbiano,
Pagadebiti) faceva si' che il sopraggiungere del freddo invernale
bloccasse la fermentazione lasciando nei vini residui zuccherini piu'
o meno importanti. Da qui l'uso di bere vini dolci o amabili nel
periodo autunno-invernale e vini frizzanti e spumanti nell'estate
successiva la vendemmia. Infatti i vini con residuo zuccherino, una
volta messi in bottiglia, riprendevano a fermentare con l'arrivo dei
primi caldi, originando una frizzantatura naturale. Vi era quindi una
tradizione, se si vuole involontaria, di spumanti e frizzanti, che
con l'accrescersi delle conoscenze enologiche e' stata perfezionata:
l'uso del freddo in cantina consente di preservare profumi e aromi e
l'uso di lieviti selezionati consente di ottimizzare le
fermentazioni. L'elaborazione dei vini spumanti e vini spumanti di
qualita' rappresenta quindi il risultato dell'innovazione tecnologica
nel processo di elaborazione che, partendo dall'ancestrale
rifermentazione in bottiglia applicata fino al secolo scorso, si e'
poi evoluta anche verso l'elaborazione in autoclave, coniugando la
migliore tecnica enologica attuale con la tradizione secolare del
territorio.
B) Informazioni sulla qualita' o sulle caratteristiche del
prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente
geografico. I diversi tipi di suolo che si incontrano negli areali di
coltivazione della DOC Romagna, dalle argille evolute di Predappio,
alle sabbie molasse del Messiniano tra il Faentino e il Forlivese, al
calcare di Bertinoro o ancora alle arenarie e alle argille di
Brisighella, non possono non influenzare le note sensoriali dei vini
su di essi prodotti. In particolare, il Sangiovese in purezza tende
ad acquisire caratteri distintivi ben percepibili a seconda delle
aree di coltivazione delle uve e gia' all'inizio del Novecento il
dott. Savelli, sulla base delle numerose analisi chimiche effettuate
nel suo laboratorio, aveva suddiviso i vini di Sangiovese in tre
gruppi: "uno speciale Sangiovese in alcune localita' dell'ex
circondario di Forli' (Predappio e Civitella); un tipo, molto vicino
al precedente per caratteri chimici ed organolettici, prodotto
nell'ex circondario di Cesena; un tipo, diverso dai due precedenti,
prodotto nell'ex circondario di Rimini". Le differenze (minore grado
alcolico, minore estratto, maggiore acidita' ed in particolare una
maggiore sapidita' del Sangiovese di Rimini) derivavano dal fatto che
nel Riminese l'uva Sangiovese veniva vinificata con una certa
quantita' di Trebbiano, tradizione che si e' ormai persa, anche se
rimangono alcuni di questi tratti distintivi. Altra nota importante
per la coltivazione del Sangiovese e' relativa al clima: per una
corretta maturazione occorre privilegiare altitudini medio-basse ed
esposizioni nei quadranti da sud a ovest, onde conseguire un perfetto
soddisfacimento delle sue esigenze termiche (1800-2000 gradi giorno).
Per rendere merito delle differenze tra i vini di Sangiovese ottenuti
in situazioni pedo- climatiche differenti, per quei produttori che
intendono massimizzare l'interazione vitigno/ambiente, nel rispetto
di una tradizione tipicamente romagnola che vuole il Sangiovese
vinificato sostanzialmente da solo, sono state identificate le
"sottozone" che possono fregiarsi di una menzione geografica
aggiuntiva rispetto a "Romagna DOC Sangiovese". L'interazione
"vitigno-ambiente- uomo", per il Sangiovese, verra' meglio
specificata al punto C). I vini ottenuti con la varieta' Terrano si
presentano in genere abbastanza freschi, profumati e con un certo
residuo zuccherino, come vuole la tradizione, anche se qualche
viticoltore ha cercato di potenziarne la struttura, come richiedeva
il mercato del 2000. Anche per quanto riguarda i vini bianchi, la
varieta' di suoli e di situazioni meso- climatiche riscontrabili sul
territorio della Denominazione "Romagna", consentono di ottenere
tipologie differenti: da vini piu' freschi a prevalente componente
floreale, magari anche frizzanti o spumanti, a vini bianchi piu'
strutturati, con sentori di frutta matura e talora aromi terziari
derivati dalla vinificazione e/o affinamento in legno.
C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui
alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B). A partire dagli anni
'70 il miglioramento della tecnica agronomica ed enologica e' stato
importante e la Romagna ha recepito bene l'innovazione del settore
viti-vinicolo, facendo perno, pero', su una tradizione ormai
consolidata. Ne sono conseguiti una razionalizzazione
nell'allestimento e nella gestione degli impianti e un radicale
miglioramento delle strutture e delle tecniche enologiche in cantina.
Il risultato e' stato che anche nei vini della tradizione romagnola
si e' assistito ad un importante miglioramento del livello
qualitativo. Un altro cambiamento importante e' legato agli studi di
zonazione viticola, che hanno contribuito ad una migliore definizione
degli ambienti pedo-climatici piu' idonei per i vari vitigni, ma
soprattutto hanno aumentato la sensibilita' dei viticoltori nei
confronti della scelta varietale, portandoli a porsi in maniera piu'
critica di fronte a questa questione. Per quanto riguarda il
Sangiovese, l'esperienza e la perizia che i viti-vinicoltori hanno
acquisito in relazione ai vari contesti ambientali e culturali ha
permesso di connotare in modo piu' preciso alcune produzioni locali,
definendo quelle che sono definite "sottozone". Partendo da ovest
verso est si incontrano le seguenti aree tipiche per la produzione
del Sangiovese:
Serra. Storicamente e' indicato in Romagna come un territorio
molto vocato. Il clima e' tendenzialmente continentale e poco
mitigato dalla rilevante distanza dal mare. In generale i vini
possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, esaltati da una
corretta esposizione delle vigne.
Brisighella. Comprensorio particolare anche per il
microclima, che ha altresi' consentito il consolidarsi di una
tradizione oleicola importante. L'areale ricomprende anche i terreni
prossimi alla vena del gesso, oltre a suoli ricchi di arenarie e
argilla, che consentono di avere vini di buona struttura, eleganti,
con note floreali e fruttate spiccate e una buona freschezza.
Marzeno. In questo territorio si trova un primo affioramento
importante della formazione dello "Spungone" che si intercala alle
argille azzurre plio-pleistoceniche. Territorio aspro e forte, che
imprime forza anche ai vini che qui si producono. Il fruttato tende a
prevalere decisamente sul floreale.
Modigliana. Qui il territorio si inasprisce ulteriormente
consentendo di produrre vini dalla struttura decisa, potenti, austeri
e longevi.
Oriolo. Una zona con un terreno particolare, caratterizzato
dalla presenza di sabbie gialle che spesso affiorano tra terreni
argillosi o limoso-argillosi. A seconda dell'esposizione e della
prevalenza di sabbia o argilla e' possibile ottenere vini di grande
struttura che acquisiscono la giusta morbidezza solo dopo un certo
affinamento, oppure vini fruttati e floreali piu' pronti e di buon
equilibrio.
Castrocaro-Terra del Sole. Terre della cosiddetta Romagna
Toscana, hanno risentito molto dell'influenza del Granducato, tanto
che la definizione dell'area deriva piu' dalla storia e tradizione
locale che non da una differenza sostanziale con i prodotti della
limitrofa area di Oriolo.
Predappio. Il Sangiovese di questo territorio ha sempre
goduto di una nomea importante tramandata dalla tradizione popolare
orale. Soprattutto dal biotipo locale ad acino allungato, si
ottengono vini dal fruttato molto evidente e con tannini piuttosto
duri e austeri.
Meldola. L'areale era gia' coltivato in epoca romana e da
allora si e' evoluta e stratificata la tecnica agricola che ha
portato agli attuali risultati anche nel settore enologico.
L'esposizione principale da Nord-Ovest a Nord-Est consente di avere
vini di Sangiovese fini e dal profilo aromatico fruttato.
Bertinoro. Tradizionalmente territorio di Albana (che qui
vanta una lunga tradizione) ha scoperto solo recentemente una buona
vocazione anche per il Sangiovese, che presenta una struttura
importante che necessita di tempi di maturazione abbastanza lunghi.
Cesena. Citati anche dagli Autori classici latini, i vini di
Cesena hanno sempre goduto di una chiara fama. Il Sangiovese su
queste colline riesce a ricomprendere in se' una struttura importante
ma mai eccessiva e un fruttato di ciliegia matura sempre ben
percepibile. Struttura ed eleganza insieme.
San Vicinio. Comprende l'area in cui si esprime al massimo
grado la formazione Marnoso-arenacea romagnola. I suoli Celincordia
"Celincordia" [CEL, in riferimento alla Carta dei suoli dell'Emilia
Romagna, scala 1:250.000. Classificazione Soil Taxonomy (Chiavi
1990): loamy, mixed, mesic Typic Ustochrepts. Legenda FAO (1990):
Haplic Calcisols)], specialmente ad altitudine inferiore ai 150-200 m
slm, si sono rivelati quelli piu' vocati alla coltivazione del
Sangiovese, che fornisce mosti e vini molto equilibrati, con un buon
rapporto tra alcolicita' e acidita' e una tannicita' piuttosto dolce.
Longiano. I vini dell'area sono caldi e ricchi, con un
fruttato molto evidente e una buona struttura, che puo' essere
guidata con adeguati accorgimenti agronomici anche verso espressioni
molto forti, che pero' finiscono per penalizzare la naturale eleganza
del connubio tra il vitigno e il territorio.
Anche per gli altri vitigni l'interazione col suolo porta a
varianti interessanti e talora particolarmente significative. La
predilezione del Bombino bianco, come del resto dell'Albana, per
l'areale bertinorese e' sicuramente da mettere in relazione con i
terreni poveri e calcarei derivati dalla formazione geologica dello
Spungone, che proprio in quest'area presenta le sue "emergenze" piu'
significative. I suoli riescono a contenere la naturale vigoria di
questi vitigni, consentendo un miglior equilibrio vegeto-produttivo e
di conseguenza una piu' equilibrata composizione dei mosti; mentre il
calcare contribuisce alla maggiore finezza olfattiva dei vini. Nei
terreni argillosi di pianura, che limitano naturalmente la vigoria e
la produttivita' del Trebbiano romagnolo, si riescono ad ottenere
vini di buona struttura e con una buona finezza aromatica, nonostante
il vitigno sia normalmente definito "neutro". Vini di Trebbiano con
maggiore struttura si ottengono nei terreni piu' poveri di collina.
Buona finezza olfattiva anche per i vini ottenuti da uve coltivate su
terreni sabbiosi (Terrano e Trebbiano, ad esempio). Anche le Albane
tendono a differenziarsi sui vari tipi di suolo: vini strutturati e
con sentori di miele e albicocca essiccata nei terreni piu'
argillosi, fruttato di albicocca piu' deciso nell'Imolese e sentori
piu' floreali nelle Albane del Faentino. La tradizione di vini
frizzanti, spumanti e spumanti di qualita' ottenuta a partire dai
vitigni bianchi romagnoli e' stata molto migliorata grazie
all'introduzione del freddo e di altre tecnologie in cantina, senza
dimenticare che la maggior cura nella produzione e nella scelta delle
uve in campo ha fatto comunque la sua parte. Le peculiarita' dei vini
frizzanti, dei vini spumanti, dei vini spumanti di qualita' sopra
descritte sono il risultato delle condizioni pedoclimatiche della
zona di produzione combinate con i fattori umani che tradizionalmente
hanno inciso sulle proprieta' enologiche intrinseche delle uve e
sulle tecnologie di elaborazione. In particolare, l'ambiente
geografico della zona di produzione e' caratterizzato da un clima
continentale ma sufficientemente ventilato per la vicinanza al mare
Adriatico e da terreni ben drenanti per effetto delle tecniche
agronomiche consolidate nel tempo che determinano una disponibilita'
idrica adeguata tale da consentire una ottimale maturazione dei
grappoli. Le escursioni termiche notte-giorno durante la maturazione
dei grappoli concorrono a mantenere il patrimonio aromatico ed acido
dell'uva che assicura la conseguente freschezza dei vini. Inoltre, i
viticoltori con l'esperienza hanno affinato tecniche di conduzione
dei vigneti atte a mitigare gli eccessi di calore e le variabilita'
della disponibilita' idrica che si sono verificate nell'ultimo
decennio, al fine di ottenere uve innanzitutto di ottima qualita' e
con il giusto equilibrio tra le componenti zuccherine e aromatiche,
tenendo in considerazione l'esigenza di effettuare la successiva
elaborazione per la produzione di vini frizzanti, vini spumanti e
vini spumanti di qualita' che siano in possesso di contenuto acido
adeguato.».