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Il Pecorino di Osilo

Cenni storici.
Il Pecorino di Osilo è identificabile con il casu cottu a fogu citato da diversi viaggiatori e studiosi dell’Isola sin dai primi del ‘900. Questi evidenziarono la  capacità dell’arte casearia dei pastori osilesi e lo stretto legame commerciale, ancor oggi molto attivo, con la vicina città di Sassari.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
E’ un formaggio da latte crudo di pecora, a pasta semicotta, con stagionatura che solitamente si protrae oltre i 60 giorni. Si presenta di forma cilindrica e ridotte  dimensioni, con peso di 1,6-1,8 chilogrammi, con facce piane e scalzo diritto o leggermente convesso con bordo tagliente e talvolta leggermente sollevato. La crosta è  sottile, liscia sia nei piatti che nello scalzo, untuosa, dura, rigida, di colore giallo paglierino che talvolta non è uniforme ed assume tonalità ambrata con zone più scure di  colore paglierino intenso. La pasta, anch’essa sui toni del paglierino, presenta rada e minuta occhiatura e, nelle forme stagionate, di bianchi cristalli minuti. Essa, al  tatto, è liscia, rigida e moderatamente umida. L’odore è lattico mediamente intenso di latte cotto e burro fuso, con sensazioni aromatiche che richiamano debolmente  quelle olfattive. Il sapore è lievemente acidulo, sapido, con note di nocciole tostate, e moderatamente piccante nelle forme mature; la pasta in bocca si presenta dura,  lievemente friabile, non adesiva, solubile e finemente granulosa; la persistenza in bocca è media.


Produzione e lavorazione.
Il Pecorino di Osilo viene prodotto in alcune zone della Sardegna settentrionale ed in particolare nel territorio di Osilo e nelle aree limitrofe dei comuni di Sassari,  Ploaghe, Nulvi, Codrongianus e Tergu e recentemente, in seguito all’insediamento di diversi pastori osilesi, nella pianura della Nurra.
Il latte utilizzato viene munto da pecore di razza Sarda allevate al pascolo, caratterizzato da essenze foraggere tipiche delle zone collinari e pianeggianti della zona di  produzione. La lavorazione e la stagionatura vengono condotte ancora secondo tradizione artigianale presso l’azienda o l’abitazione del pastore. Si utilizza in genere una  caldaia in rame stagnato, detta su lapiolu, nella quale viene trasformato il latte proveniente dalla mungitura della sera e del mattino. La coagulazione del latte  crudo e filtrato avviene alla temperatura di 36-37 °C e prevede l’impiego di caglio liquido di vitello; la rottura del coagulo si protrae sino a ridurre la cagliata in granuli  delle dimensioni di un chicco di grano o mais; a questa segue un riscaldamento, detto di semicottura, della cagliata rotta sino alla temperatura di circa 45 °C. La massa  caseosa viene quindi lasciata depositare sul fondo della caldaia e successivamente modellata sottosiero a formare un cilindro allungato. Il taglio, in tante porzioni quante  sono le forme da ottenere, viene eseguito sottosiero o su un tavolo spersore. Le porzioni avvolte in un telo vengono sistemate negli stampi e sottoposte a  pressatura per qualche ora con l’impiego di presse in legno. Durante questa fase vengono effettuati i rivoltamenti avendo cura nella sistemazione dei teli al fine di  rendere lisci i piatti della forma. In qualche caso l’operazione di pressatura è sostituita dalla sosta, detta di stufatura, in apposito cassone caldo e umido. Il formaggio è  salato in salamoia satura e per galleggiamento per circa 24 ore e con rivoltamento dopo 12 ore. Un breve periodo di asciugatura precede la stagionatura che si protrae  oltre i 60 giorni. Le forme periodicamente rivoltate vengono all’occorrenza trattate superficialmente con una miscela di olio e aceto. 

 

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Il Pecorino di Nule

Cenni storici.
Alla fine dell’Ottocento il Casalis, storico illustre della Sardegna, cita in merito al paese di Nule “... si fanno formaggi assai reputati, specialmente quelli di autunno ...”


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
È un formaggio da latte crudo di pecora, a pasta semicotta, con stagionatura che solita-
mente si protrae oltre i 60 giorni. Ha forma cilindrica con facce piane e scalzo diritto o
leggermente convesso e pezzatura da 2,5 a 3,5 chilogrammi. La crosta è sottile e liscia,
di colore giallo paglierino; la pasta, compatta o con rada e minuta occhiatura, è di
colore dal bianco al giallo paglierino, mentre la consistenza è semi-dura o dura; l’odore
ed aroma richiamano il latte di pecora; il sapore dolce ed aromatico nelle forme giova-
ni, diventa deciso e lievemente piccante nel formaggio maturo.


Produzione e lavorazione.
Il Pecorino di Nule viene prodotto in alcune zone della Sardegna settentrionale ed in
particolare nel territorio di Nule, comune della provincia di Sassari, e nelle aree limitro-
fe del Goceano.
Il latte utilizzato viene munto da pecore di razza Sarda allevate al pascolo, praticato in
particolare nell’Altopiano di Nule caratterizzato da essenze foraggere tipiche. La
lavorazione, condotta ancora artigianalmente, prevede in genere l’impiego di una calda-
ia in rame stagnato nella quale viene trasformato il latte proveniente dalla mungitura
della sera e del mattino. La coagulazione del latte crudo, opportunamente filtrato,
avviene alla temperatura di 36-40 °C e prevede l’impiego di caglio liquido di vitello; la
rottura del coagulo, praticata di sovente con uno spino in legno, si protrae sino a
ridurre la cagliata in granuli delle dimensioni di un chicco di riso. Segue il riscaldamento
dei granuli di cagliata, detto di semicottura, sino alla temperatura di circa 42 °C, quindi
la massa caseosa viene lasciata depositare sul fondo della caldaia e successivamente
tagliata in porzioni quante sono le forme da ottenere. Le porzioni di cagliata vengono
sistemate negli stampi, sottoposte a frugatura manuale, pressatura e rivoltamenti. Le
forme, tenute in ambiente caldo umido, acquisiscono adeguata acidità e pertanto
spurgano. Il formaggio, salato a secco o in salamoia satura, dopo un breve periodo di
asciugatura viene avviato alla stagionatura che dura dai 60 ai 120 giorni per la tipolo-
gia semistagionato e da 120 giorni ad un anno per lo stagionato. Durante la maturazio-
ne le forme vengono periodicamente rivoltate e trattate con olio extravergine di oliva
e/o aceto.

 

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Axridda


Cenni storici.
Su casu cun s’axridda, il formaggio con l’argilla o più brevemente axridda, deve il nome all’impiego della polvere di argilla che viene cosparsa sul prodotto durante la  stagionatura.
Nella zona sud orientale dell’Isola erano presenti affioramenti naturali di argilla che venivano utilizzati dagli abitanti per vari usi: sostitutivo del talco per i neonati, come  impacchi per la cura di problemi alle articolazioni, in sostituzione della calce per imbiancare le pareti delle abitazioni, all’interno dei forni per la cottura del pane.  Attualmente in località Funtana Piroi, nel comune di Escalaplano in provincia di Cagliari, viene coltivata una cava dalla quale vengono estratti ogni anno circa 100.000  tonnellate di argille, caolini e feldspati. L’uso dell’argilla sul formaggio si perde a memoria d’uomo e può essere quindi ragionevolmente ipotizzato un uso superiore ai 100 anni.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
È un formaggio da latte crudo di pecora o capra, a pasta cruda, con stagionatura superiore ai 60 giorni e sino ai 2 anni.
E’ di forma cilindrica, con peso da 2,0 a 4,0 chilogrammi, presenta facce piane e scalzo diritto o leggermente convesso, crosta liscia o leggermente rugosa, sottile e  asciutta, di colore grigio o nocciola. La pasta è semidura, friabile, di colore bianco o giallo paglierino. Ha odori e aromi di fieno, animale e tostato e sapore acidulo,  giustamente sapido e piccante.


Produzione e lavorazione.
Viene prodotto esclusivamente nel comune di Escalaplano, al confine tra le zone del Gerrei ed Ogliastra, nella Sardegna sud orientale.
Il latte utilizzato viene munto da pecore e capre allevate al pascolo, sull’altipiano ad una quota compresa tra i 300 ed i 670 metri, caratterizzato da una flora spontanea  varia e ricca in essenze aromatiche, tra le quali spicca il timo.
Il latte fresco, intero, crudo, di pecore o capre allevate al pascolo, dopo filtrazione e riscaldamento fino a 35-36°C in caldaia di rame stagnato, detta su cadhàrxiu, viene coagulato con caglio di vitello, o più raramente, con caglio in pasta di capretto o agnello. Tra l’aggiunta del caglio e la rottura, spinta fino ad ottenere granuli delle  dimensioni di un chicco di riso, trascorrono circa 45-60 minuti. La cagliata viene quindi depositata in stampi cilindrici o tronco conici. Le forme vengono salate  normalmente a secco e tenute in freschi ambienti di stagionatura. L’applicazione dell’argilla avviene quando il formaggio è considerato asciutto, cioè quando ha formato  la crosta. Le modalità di applicazione sono di tre tipi:
1) impasto di acqua e argilla;
2) impasto di olio di lentischio o di oliva;
3) applicazione diretta della polvere sul grasso trasudato dalla forma o dopo l’oliatura.
Le forme ricoperte di argilla si presentano di colore bruno se l’impasto è fresco, mentre tendono a diventare grigie man mano che l’argilla si asciuga.
Con tale cappatura si conseguono diversi obiettivi: si migliora la conservazione del formaggio che risente in misura minore di condizioni ambientali non ottimali (cantine a bassa umidità e temperature elevate), si riduce la frequenza dei rivoltamenti e protegge il formaggio da muffe ed acari.

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Il Semicotto di capra

Cenni storici.
In Sardegna l’allevamento della capra, e probabilmente la trasformazione del suo latte, risale al Settecento, quando nell’Isola erano presenti oltre duecentomila capi caprini.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Il formaggio, ottenuto da latte di capra, è a pasta semicotta e la stagionatura è solitamente superiore ai 60 giorni e può raggiungere i 16-18 mesi. Il prodotto, di  pezzatura di circa 2,5 - 3,0 chilogrammi, è di forma cilindrica a scalzo diritto o leggermente convesso. La crosta è sottile, liscia o lievemente rugosa, untuosa,  moderatamente dura ed elastica; il colore è giallo paglierino, che imbrunisce con la stagionatura, talvolta non uniforme per la presenza di lievi sfumature dai toni  bianchi ed aranciati. La pasta è bianca o lievemente paglierina, compatta o con rada occhiatura, liscia, untuosa e mediamente elastica. L’odore è lattico, vegetale e  floreale di miele; il sapore è dolce, leggermente acido, rinfrescante, con sensazioni aromatiche lattiche ed animali di brodo di carne. La pasta è morbida e solubile nelle  forme giovani, mentre è dura e friabile nelle forme stagionate. Con la maturazione si avvertono inoltre note di piccante e presenza di cristalli, e la sua persistenza in bocca aumenta.


Produzione e lavorazione.
Il formaggio è prodotto nell’intero territorio regionale. Nella produzione artigianale, generalmente, si utilizza latte crudo, mentre nella produzione industriale il latte è sottoposto ad un riscaldamento detto di termizzazione o di pastorizzazione. Il latte, di norma addizionato di fermenti lattici naturali contenuti in innesti appositamente preparati, è coagulato a temperatura di 37-39 °C con caglio liquido di vitello o caglio in pasta di agnello o capretto. La coagulazione avviene in circa 30 minuti, quindi si rompe la cagliata fino ad ottenere granuli della dimensione di un chicco di mais; segue il riscaldamento, detto di semicottura, dei granuli immersi nel siero fino alla  temperatura di 41-43°C. La pasta, separata dal siero e distribuita in stampi cilindrici, è collocata in ambienti dedicati caldi ove avviene una moderata acidificazione.  L’indomani si effettua la salatura, in genere immergendo le pezze di formaggio in salamoia oppure, più di rado, a secco. La durata di stagionatura è di almeno 60 giorni  per l’ottenimento del semicotto, cosiddetto giovane, e si protrae fino a 12-18 mesi per la tipologia stagionata.

 

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Il Bonassai

Cenni storici.
La tecnologia del Bonassai è stata messa a punto dall’Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna negli anni sessanta e quindi trasferita in diversi caseifici isolani. Il  suo nome è dato dalla località, nelle vicinanze di Sassari, in cui aveva sede l’Istituto.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Formaggio, da latte di pecora di razza Sarda, a pasta molle e breve periodo di maturazione. Si presenta in forma di parallelepipedo a base quadrata o rettangolare,  facce piane e peso da 1,1 a 2,2 chilogrammi. La crosta è bianca e sottile; la pasta si presenta bianca, compatta, molle e mantecata; l’odore e l’aroma richiamano il latte  di pecora fermentato, mentre il sapore è gradevolmente acidulo. È tipicamente un formaggio da tavola.


Produzione e lavorazione.
Il Bonassai, prodotto nell’intero territorio regionale, prevede l’impiego di latte filtrato e riscaldato sino a temperatura di pastorizzazione; quindi, dopo raffreddamento  alla temperatura di circa 36°C, viene inoculato con i fermenti lattici contenuti in un lattoinnesto. La coagulazione del latte si effettua con caglio liquido di vitello, mentre  la rottura del coagulo avviene sino ad ottenere granuli della dimensione di una nocciola. La cagliata, trasferita in stampi forati di forma quadrata o rettangolare, è  sistemata in ambienti caldo umidi al fine di favorirne l’acidificazione e lo spurgo del siero. Il Bonassai viene salato in salamoia e stagionato in locali con una temperatura  di circa 8°C ed elevata umidità relativa. Durante la stagionatura, che si completa in 20 - 30 giorni, le forma sono periodicamente rivoltate. Previa  toelettatura, il prodotto è immesso in commercio, generalmente con la superficie cosparsa di fecola di patate che ha lo scopo di asciugare la crosta e migliorarne  l’aspetto.

 

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La Fruhe o Casu Axedu

Cenni storici.
Il termine fruhe, riferito al latte cagliato e lasciato inacidire, è da ricondurre, secondo alcuni studiosi, etimologicamente al latino frugem, che significa frugale. È un  antichissimo prodotto della trasformazione del latte negli ovili isolani e, da secoli, è alimento base nella dieta dei pastori sardi. La variante, salata e stagionata, detta  merca deriva dalla melca romana citata da autori latini nel 25 a. C. e nel II secolo d. C.
La denominazione varia a seconda della zona di produzione, ricordiamo: Fruhe, Frue, Viscidu, Bìschidu, Cagiadda, Casu e fitta, Casu axedu, Casu ageru.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
È un formaggio fresco, a coagulazione prevalentemente acida, ed a pasta molle, prodotto con latte di capra e/o di pecora di razza Sarda. Si presenta privo di crosta, in  piccoli cubi irregolari di colore bianco porcellana lucido, con una pasta compatta, morbida, liscia, fresca, solubile. L’odore è mediamente intenso di cagliata acida e  yogurt. Il sapore è gradevolmente acidulo con buona freschezza in bocca e sensazioni aromatiche che riprendono lievemente quelle olfattive. La persistenza in bocca è  giustamente lieve. Nel prodotto stagionato, solitamente impiegato nella preparazione delle minestre, aumenta la consistenza della pasta ed il sapore diviene  leggermente salato e talvolta piccante.


Produzione e lavorazione.
Il formaggio è prodotto nell’intero territorio regionale ed in particolare nei territori dell’Ogliastra e del Nuorese.
Il latte intero, dopo filtrazione, viene versato all’interno di paioli di ridotta capacità e, in genere, riscaldato sino a raggiungere valori di temperatura di poco superiori ai  60°C per pochi minuti. Successivamente esso è raffreddato sino valori di temperatura di circa 35 °C, ritenuti idonei all’aggiunta dell’innesto ricco di fermenti lattici  naturali ed al successivo versamento del caglio di vitello, agnello o capretto. Immediatamente dopo il latte viene trasferito all’interno di vaschette per uso alimentare  che vengono poggiate su ripiani all’interno di ambienti di incubazione, a temperatura di circa 25 °C, per circa 20 ore in modo da favorire il lento e graduale processo di  acidificazione della cagliata. Durante tale periodo si compiono anche le fasi di coagulazione, definite di presa ed indurimento, che si concludono, di solito, con la rottura  della cagliata, volta a favorire lo spurgo del siero, praticata con un coltello da cucina e con l’ottenimento di piccoli cubi di circa 5 centimetri di lato. Terminata la fase di  incubazione le vaschette vengono chiuse, mediante l’utilizzo di una macchina termosaldatrice e di pellicole per uso alimentare, e trasferite in locali di conservazione a bassa temperatura. Il prodotto è pronto per il consumo già il giorno successivo alla preparazione ma la sua durata si protrae anche per due o tre settimane.
La variante detta merca, che prevede un’adeguata perdita di siero, la salatura a secco e la conservazione sotto sale, in genere all’interno di orci di terracotta, può essere  stagionata e conservata per diversi mesi.

 

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Il Casizolu di pecora

Cenni storici. Nell’Isola la produzione delle paste filate ovine, dette pirittas, foggiate dalle abili mani femminili, affonda le sue radici nella tradizione agropastorale antica  di secoli.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Formaggio a pasta filata prodotto con metodiche artigianali da latte di pecore di razza Sarda allevate al pascolo. Ha forma a pera con testina, che consente al prodotto  di essere legato, appeso e stagionato in questa posizione. Il peso è varabile da 750 grammi a 1,5 chilogrammi. 
La crosta è sottile e liscia, di colore dal bianco al giallo paglierino; la pasta è compatta ed elastica, di colore paglierino tenue, con odore lattico e sapore dolce, lattico e  leggermente acidulo.


Produzione e lavorazione.
La produzione avviene in alcune zone della Sardegna centro orientale ed in particolare nel territorio del Goceano e della provincia di Nuoro.
Il latte, crudo ed intero, è di fine lattazione e pertanto con acidità da microflora naturale abbastanza spinta. Al latte, riscaldato alla temperatura di coagulazione, viene  aggiunto caglio liquido di vitello. La rottura della cagliata viene eseguita con la chiova, o in alcune zone con un attrezzo tradizionale, detto sa moriga, sino ad ottenere  granuli della dimensione di un cece. La massa, dopo blanda cottura, viene lasciata depositare sul fondo della caldaia facilitandone manualmente il compattamento. Dopo  il recupero, la cagliata viene posta a maturare, solitamente per un giorno in primavera-estate e due giorni in inverno, all’interno di contenitori in terracotta  smaltata. Il raggiungimento del giusto grado di acidificazione della pasta viene valutato praticamente immergendone piccole porzioni in acqua calda e sottoponendole a  filatura. A questo punto la pasta viene tagliata in fette, immersa in acqua calda e impastata mediante un cucchiaio di legno. Le forme vengono modellate manualmente  e con cura, al fine di eliminare pieghe e spazi vuoti ed ottenere un’adeguata formatura del collo e chiusura della testa. Le perette, dopo immersione in acqua fredda al fine di consolidare la forma, vengono salate in salamoia per alcune ore in funzione del peso. Dopo qualche giorno, in cui vengono lasciate asciugare, le forme vengono  legate a coppie con legacci di rafia o corda ed appese in locali areati. La maturazione varia da 5 a 30 giorni ed, in alcuni casi, si protrae per qualche mese ed il prodotto  viene destinato alla grattugia.

 

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Il Casizolu

 

Cenni storici.
Nell’Isola la produzione delle paste filate vaccine è documentata sin dal 1200, quando venivano spediti, verso la Penisola, caciocavallini dalle Basiliche di Saccargia e  Scano Montiferro.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Formaggio a pasta filata da latte intero di vacche allevate prevalentemente al pascolo.
Presenta forma a pera con testina, con peso varabile da 500 grammi a 3,0 chilogrammi. La crosta è sottile, elastica e liscia, di colore giallo paglierino; la pasta è  compatta, liscia, elastica, mantecata, morbida, di maggiore consistenza con la stagionatura, di colore paglierino tenue, odore lattico di burro e yogurt e sapore delicato,  dolce, lattico o gradevolmente acidulo. La persistenza in bocca è lieve nelle forme giovani mentre diventa media nelle forme stagionate.


Produzione e lavorazione.
Il Casizolu viene prodotto nell’intero territorio regionale. La denominazione varia a seconda della zona di produzione: casizolu, tittighedda, figu, fighedda, sa buledda, sa  zucchitta, peretta. Il latte, crudo nelle produzioni artigianali e riscaldato sino a temperature di termizzazione o pastorizzazione nelle produzioni industriali, viene, di  solito, aggiunto di un innesto particolarmente ricco in fermenti lattici e successivamente coagulato a 35-38°C con caglio liquido di vitello, di agnello o di capretto. La  coagulazione avviene in 30-40 minuti con successiva rottura del coagulo sino alla riduzione dei granuli di cagliata alle dimensioni assimilabili a quelle di una nocciola. In  alcuni casi si procede al riscaldamento, detto di semicottura, dei granuli di cagliata immersi nel siero fino alla temperatura di 42-43° C. La pasta viene quindi recuperata  e deposta, in ambienti caldi, all’interno di contenitori in acciaio inossidabile, in materiale plastico per alimenti o in terracotta smaltata, nei quali prosegue e  si completa il processo di acidificazione.
Quando la pasta ha raggiunto un’acidità tale da consentirne la filatura viene tagliata a fette, immersa in acqua riscaldata alla  temperatura di circa 90 °C ed impastata e filata con spatole in legno o in metallo, nella lavorazione artigianale, o con impastatrici meccaniche, nella lavorazione  industriale; segue il taglio della pasta in porzioni di dimensioni variabili e la formatura, manuale o meccanica. Il Casizolu viene quindi immerso in acqua fresca per  alcune decine di minuti al fine di consolidare la forma, e salato in salamoia per alcune ore in funzione del peso. Dopo qualche giorno di asciugatura le forme vengono  legate a coppie con legacci di rafia o corda ed appese in locali areati a temperatura ambiente. La maturazione varia da pochi giorni sino a qualche mese a seconda delle  dimensioni e del grado di sapidità che si intende raggiungere. 

 

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Il Greviera di Ozieri

Cenni storici.
La produzione del Greviera di Ozieri, detto anche Griviera o Gruviera, viene storicamente riportata alla seconda metà dell’Ottocento ed è legata alla diffusione nel  territorio ozierese dell’allevamento della razza vaccina Bruno Alpina, all’importazione dei tori della stessa razza dalla Svizzera ed al contatto in terra sarda e svizzera  degli imprenditori locali con casari dediti alla produzione del Gruyére. La citazione del Greviera di Ozieri è riportata in una pubblicazione del 1898-1899 del Ministero di  Agricoltura, Industria e Commercio - Direzione generale dell’Agricoltura – relativa al “Corso di caseificio presso la Regia Scuola Agraria di Sassari”. In essa si legge della  preparazione di una “Qualità di formaggio fabbricato in Ozieri: Griviera”; ed inoltre “Ad Ozieri presero parte al corso molti produttori importanti, alcuni amministratori  comunali, ed anche taluni studenti del Ginnasio, apprendendo con profitto i nuovi perfezionamenti dell’arte casearia. I signori Cocco, Basoli, Pietri, ecc. fabbricano già  ottimi formaggi tipo Gruyére.”


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Il formaggio, ottenuto da latte crudo intero di vacca, generalmente di razza Bruna o Bruno-Sarda, è a pasta semicotta ed occhiata, con stagionatura che solitamente si  protrae oltre i 90 giorni. Ha forma cilindrica con scalzo e piatti leggermente convessi. Le pezzature sono due: la tradizionale di 2,5-4 chilogrammi e la più recente di 10- 2 chilogrammi. 
La crosta è consistente, liscia o lievemente rugosa, di colore giallo paglierino che assume colori più scuri con la stagionatura; la pasta è morbida, elastica con  caratteristica occhiatura, uniforme e diffusa, dovuta alle fermentazioni da batteri propionici; il colore va dal giallo paglierino al giallo intenso. L’odore è lievemente  animale, di cuoio e vegetale di funghi; il sapore, delicato nelle forme giovani, diventa deciso e leggermente piccante con la stagionatura.


Produzione e lavorazione.
La produzione avviene negli allevamenti della piana del comune di Ozieri, cittadina distante circa 50 chilometri da Sassari, nella Sardegna settentrionale. 
Il latte intero, ottenuto dalla mungitura manuale o meccanica di vacche di razza Bruna o Bruno-Sarda, viene caseificato con metodi artigianali in appositi locali aziendali. 
Il latte crudo filtrato, talvolta aggiunto di innesto preparato a partire dal siero residuo della lavorazione del giorno precedente, viene coagulato mediante impiego di  caglio di vitello alla temperatura di 35-38 °C in circa 20-30 minuti. La cagliata, rotta fino all’ottenimento di granuli delle dimensioni di chicco di riso o mais, viene  sottoposta a cottura sino a 48 °C. Successivamente la massa caseosa, lasciata depositare sul fondo della caldaia, viene quindi modellata, sempre sotto siero, a forma di  cilindro allungato. Il cilindro viene porzionato con un coltello di acciaio in forme che, solitamente avvolte in un telo, vengono depositate all’interno di stampi cilindrici e  pressate per qualche ora (in genere 8 ore). Durante questa fase vengono effettuati i rivoltamenti avendo cura di sistemare i teli adeguatamente al fine di rendere lisci i  piatti della forma. Il formaggio è salato in salamoia satura, per galleggiamento, per un tempo che orientativamente rispetta un rapporto di 8-10 ore per chilogrammo di  formaggio per le forme di minori dimensioni e di 4-5 ore per chilogrammo di formaggio per le forme di pezzatura maggiore; alla metà del tempo di salatura si effettua  un rivoltamento. Un periodo di asciugatura della durata di 10 giorni precede la stagionatura che si protrae solitamente oltre i 90 giorni.
In stagionatura le forme vengono, periodicamente, rivoltate e sottoposte a cure che solitamente prevedono l’oliatura della superficie con olio d’oliva.

 

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La Fresa

Cenni storici.
Formaggio di probabile epoca romana, così come lascia intendere il termine latino fresus che significa schiacciato, dal quale deriva il nome; lo stesso  termine ricorda la forma piatta con bordi arrotondati di tal cacio. Viene anche indicato come fresa ‘e attunzu a denotare la stagione principe della lavorazione di  questo prodotto:  l’autunno.
Nel 1908 il Prof. Fascetti, illustre studioso del settore, descriveva la Fresa sulla rivista “L’industria lattiera e Zootecnia”.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Formaggio, a pasta molle e cruda, a breve maturazione, ottenuto da latte intero di vacca, o più raramente da latte ovino. Ha forma tipicamente schiacciata, quadrata,  con spigoli arrotondati, facce piane e scalzo di circa 7-8 centimetri. Il peso varia da 1,5 a 3,0 chilogrammi. La crosta, di colore giallo carico, è molto sottile, liscia sullo  scalzo e lievemente rugosa sui piatti, lievemente umida, morbida ed elastica. La pasta di colore dal bianco al giallo paglierino è molle, mantecata, untuosa, talvolta con  rada e minuta occhiatura; il sapore è delicato, lievemente acidulo, l’odore e l’aroma richiamano quello del burro.


Produzione e lavorazione.
La Fresa è prodotta nell’intero territorio isolano. In particolare nelle aree della Sardegna centro occidentale: Marghine, Planargia e Montiferru.
Nella preparazione artigianale la coagulazione del latte, talvolta addizionato di un lattoinnesto naturale ottenuto lasciando acidificare il latte a temperatura ambiente, è  ottenuta mediante l’impiego di caglio liquido di vitello, o più di rado, di caglio in pasta di capretto.
La rottura della cagliata viene eseguita inizialmente con la rotella e quindi direttamente con le mani sino ad ottenere dei granuli di dimensioni di una nocciola; questi  vengono raccolti in stampi cilindrici e le forme, avvolte in teli di cotone, pressate leggermente, quindi salate ed esposte al sole per alcune ore al fine di ottenere una  gradevole colorazione gialla della crosta.
La successiva maturazione avviene in 7-20 giorni. 

 

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Il Dolce Sardo Arborea

Cenni storici.
Negli anni ’50 nell’ambito di un importante processo di Riforma Fondiaria, voluta dall’On. Antonio Segni allora Ministro per l’Agricoltura e le Foreste, venne riorganizzato il caseificio costruito  negli anni ‘30 dalla Società Anonima Bonifiche Sarde e si diede vita nel 1956 alla Cooperativa Assegnatari Associati Arborea.
La cooperativa, con lo scopo di provvedere alla vendita diretta dei prodotti ottenuti dalla lavorazione del latte conferito dalle aziende produttrici dei soci, rileva lo stabilimento, segnando  l'avvio di un autentico fenomeno imprenditoriale e di un processo di valorizzazione del comparto lattiero caseario in Sardegna. In tale contesto ha inizio la produzione del Dolce Sardo  Arborea.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Formaggio vaccino a pasta molle e cruda e breve stagionatura. Il prodotto ha forma cilindrica a facce piane e scalzo diritto o lievemente convesso e bordi arrotondati. La pezzatura è di circa  1,3 chilogrammi; la crosta è molto sottile, liscia sullo scalzo e lievemente rugosa o rigata sui piatti, lievemente untuosa, morbida ed elastica. Il colore è uniformemente bianco avorio. La  pasta è bianca, molle, con leggera occhiatura, mantecata, fondente e solubile con intenso e gradevole odore ed aroma di burro e latte fresco, e sapore dolce, burroso e delicato.
La persistenza è lieve.


Produzione e lavorazione.
Viena prodotto ad Arborea, cittadina della Sardegna centro occidentale in provincia di Oristano.
Il latte vaccino intero, filtrato e riscaldato sino a temperature di pastorizzazione, viene aggiunto di un innesto particolarmente ricco in fermenti lattici e successivamente coagulato con caglio  di vitello. A seguito della coagulazione avviene la rottura delicata della cagliata in granuli delle dimensioni di nocciola, che depositati negli stampi, danno forme, che giustamente acidificate e  liberate del siero, vengono salate in salamoia e stagionate per 15 giorni in locali adeguatamente freddi ed umidi.

 

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Il Gioddu

Cenni storici.
Il Gioddu, prodotto ovino e/o caprino, è un latte fermentato acido alcolico. Nell’Isola viene indicato con diverse denominazioni a seconda della zona di produzione: miciuratu, mezzoraddu, mizzuraddu, junchetta, latte ischidu. Vittorio Angius, illustre storico della Sardegna, descrisse nel 1840 la dedizione che il pastore dedicava alla preparazione della coltura madre naturale,  detta sa madrighe, ... preso un pane, lo tagliano a fette, lo immergono nel latte cotto intiepidito e vel lasciano finchè questo inacidisca, allora colasi e si mescola ad altro latte che fu cotto, in mancanza del pane può usarsi il grano ...


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Il prodotto ha caratteristiche che si avvicinano in parte al russo kefir ed all’asiatico koumis ed in parte al bulgaro yogurt. Si presenta di colore bianco porcellana, di consistenza cremosa e  densa, con intenso odore lattico e sapore delicatamente acidulo e fresco.


Produzione e lavorazione.
Prodotto in tutto il territorio della Sardegna, conserva la semplice tecnica di produzione artigianale.
Il latte filtrato viene riscaldato sino a quando sulla superficie si forma una pelle sottile o sinché questa pelle non inizia a sollevarsi; in tali condizioni la massa di latte raggiunge temperature  comprese tra 80 e 95 °C. Segue il raffreddamento all’interno di un recipiente in terracotta fino alla temperatura di incubazione di 45-46 °C. Ad una piccola quantità di latte così intiepidito si  aggiunge sa madrighe, che altro non è che un concentrato di fermenti lattici e lieviti, in misura dell’1-2% circa della massa da coagulare. Il tutto si versa nel restante latte, si rimescola  deguatamente e si conserva alla temperatura di incubazione per qualche ora.
In genere il recipiente, accuratamente avvolto da panni in lana, viene posto in luogo tiepido.
Trascorso il tempo necessario alla coagulazione acida, il Gioddu è pronto per il consumo oppure per essere raffreddato e conservato per qualche giorno.

 

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La Ricotta gentile

Cenni storici. 
In Sardegna la produzione della ricotta gentile, o ricotta fresca di pecora, ha certamente origine antichissima, quasi certamente contemporanea alla lavorazione del latte per la produzione di  formaggio.


In Sardegna i candidi fiocchi di ricotta, ottenuti dalla cottura del siero che residua dalla lavorazione del formaggio, hanno rappresentato per decenni il prodotto povero dell’ovile, il nutrimento,  che giornalmente accompagnava il pane carasau, dei pastori e servi pastori intenti nelle campagne alla cura delle greggi e lontani da casa per lunghi mesi.
Nell’Isola esistono diverse tipologie di ricotte, principalmente legate alla filiera casearia ovina, destinate alla tavola, talvolta alla grattugia, ed alla preparazione di piatti e dolci. 


Le Ricotte


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Prodotto lattiero caseario, a breve conservazione, di forma tronco conica e peso di 1,5-1,8 chilogrammi, ha bianca struttura finissima, morbida e fioccosa consistenza; odore lattico e sapore  dolce e delicato. Il suo consumo a tavola, ed in genere l’impiego, avviene nei giorni immediatamente successivi alla produzione.

Produzione e lavorazione.
La Ricotta gentile viene prodotta nell’intero territorio regionale ed è ottenuta con un adeguato riscaldamento del siero residuo della caseificazione del latte di pecora. 
La lavorazione artigianale prevede l’impiego, dopo filtrazione con un telo di cotone, del siero residuo della caseificazione del latte di pecora; questo viene trasferito in una caldaia in rame stagnato, detta su lapiolu, mantenuto in agitazione e riscaldato a 60-70 °C. Talvolta al siero, avente temperatura superiore ai 55 °C, si aggiunge del latte e del sale fino. Il riscaldamento del  siero sino all’affioramento della ricotta, che avviene ad una temperatura di circa a 80 °C, viene accompagnato da un delicato movimento della massa praticato con una chiova in legno. La  ricotta affiorata viene prelevata con una spannarola e versata negli appositi stampi tronco-conici, detti fuscelle. Dopo breve spurgo su un tavolo spersoio, le forme vengono trasferite in  frigorifero e consumate nel giro di pochi giorni.

 

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Le Ricotte stagionate

Cenni storici.
In Sardegna la produzione delle ricotte stagionate, ad eccezione della ricotta mustia, è presumibilmente legata alla presenza nell’Isola, nella prima metà del Novecento, dei casari del centro- sud Italia.


Descrizione e caratteristiche sensoriali.
Le Ricotte stagionate hanno foggia e pezzatura diversa: troncoconica e peso di 1,2-3,5 chilogrammi (moliterna), cilindrica e peso di 3,0-3,2 chilogrammi (toscanella), sferica e peso di 2,5- 3,2 chilogrammi (testa di morto o greca), appiattita ed irregolarmente cilindrica e peso di 0,8-2,0 chilogrammi (mustia).
La moliterna, la toscanella e la testa di morto presentano una pasta bianca di una certa consistenza, odore delicato e gusto sapido, talvolta piccante. La mustia, sottoposta a giusta affumicatura, presenta una crosta ambrata; pasta bianca, compatta, tenera, con odore lattico e lievemente affumicato, mentre il sapore è fresco, leggermente salato.


Produzione e lavorazione.
Le ricotte stagionate, prodotte nell’intero territorio regionale, sono ottenute da un adeguato riscaldamento del siero residuo della caseificazione del latte di pecora, giustamente asciugate,  talvolta pressate all’interno di teli, salate ed alcuni casi affumicate (ricotta mustia).
I prodotti sono conservabili per mesi. La lavorazione artigianale prevede l’impiego, dopo filtrazione con un telo di cotone, del siero residuo della caseificazione del latte di pecora; questo  viene trasferito in una caldaia in rame stagnato, detta su lapiolu, mantenuto in agitazione e riscaldato a 60 - 70 °C. Talvolta al siero, avente temperatura superiore ai 55 °C, si aggiunge del  latte e del sale fino. Il riscaldamento del siero sino all’affioramento della ricotta, che avviene intorno a 80 - 85 °C, viene a questo punto accompagnato da un delicato movimento della massa  praticato con una chiova in legno. Lo strato di ricotta affiorato viene quindi generalmente rotto, al fine di favorirne la perdita di acqua, e di seguito prelevato con una spannarola e versato  negli stampi. Dopo breve spurgo su tavolo spersoio, le forme vengono avvolte in teli ben stretti e sottoposte a leggera pressatura per qualche ora. Segue la salatura a secco con l’impiego di  sale fino e nella ricotta mustia, dopo 24-48 ore, l’affumicatura. Questa viene condotta per circa due ore in apposito affumicatoio dove il fuoco, ottenuto da essenze aromatiche, viene  abilmente gestito dal pastore e le forme, disposte su un graticcio di canne, vengono di tanto in tanto rivoltate. 
La ricotta così preparata è pronta per il consumo già dopo qualche giorno, ma si conserva bene anche per mesi.

 

 

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Fonte : Regione Sardegna Agricoltura www.sardegnaagricoltura.it

 



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